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TESTO Commento su Atti 10, 34-48a;Prima Corinzi 1, 17b-24; Luca 24, 44-49a

don Raffaello Ciccone  

I domenica dopo la Dedicazione (Anno A) (23/10/2011)

Vangelo: At 10, 34-48a;1Cor 1, 17b-24; Lc 24, 44-49a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Lettura degli Atti degli Apostoli 10, 34-48a
Gli Atti degli Apostoli ci ricordano la conversione di Cornelio, un centurione che coltiva profondo rispetto per la religione d'Israele, a somiglianza dell'altro centurione di Cafarnao, ricordato da Luca (Lc7,1-10). Pregare, elargire elemosine e amare il popolo d'Israele non costituiscono, tuttavia, azioni sufficienti per far parte del popolo di Dio. D'altra parte Cornelio non ha accettato la circoncisione per cui rimane un uomo impuro, inavvicinabile dai pii israeliti, preoccupati di far parte dell'unico popolo privilegiato del Signore. Pietro è scrupoloso, preoccupato di seguire la legge, accolta e insegnata dai rabbini. A buon conto, anche Gesù non ha accolto, tra i suoi, i pagani, ribadendo così le scelte ebraiche tradizionali. E tuttavia gli avvenimenti che si susseguono, i segni e i richiami, le attese e le convergenze portano Pietro, nonostante le sue indecisioni, a seguire itinerari nuovi.
Il centurione pagano Cornelio e la sua famiglia si sono convertiti alla fede in Cristo: è un segno imprevedibile delle scelte e delle prospettive che Dio apre sul mondo. Perciò Pietro,

mentre sintetizza la fede in Gesù come contenuto essenziale del credere, sente che sta imparando, egli stesso, dai segni di novità e di conversione, quanto il Signore compie:
imprevedibilmente il Signore apre a tutti gli uomini (universalità) l'ingresso al Regno, in modo totalmente gratuito.
"Chiunque lo teme e pratica la giustizia è accetto a Lui" (v.35). Così l'elemento primo di rapporto con Dio non è più l'appartenenza ad un popolo, ma sono le disposizioni interiori,

identificate con il "rispetto riverenziale"(chi teme) e la condotta rispettosa della volontà divina ("praticare la giustizia").
"Gesù è il Signore di tutti": questa è la fede ed è necessaria la forza dello Spirito per accoglierla (1Cor. 12,3). Essa proclama che quell'uomo Gesù, che molti hanno conosciuto in Palestina e che è passato beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, è stato elevato, dopo la morte, al di sopra dei cieli per la risurrezione; perciò ha la Signoria del mondo ed è Dio. Ma poiché è un Dio imprevedibile, i suoi debbono continuamente scoprire scelte e atteggiamenti nuovi ogni giorno. "In verità sto rendendomi conto..." dice Pietro.
Pietro, in questo testo, mostra la sintesi della fede in Gesù. Non poteva essere più conciso e più completo, ma scopre che l'annuncio di salvezza è destinato a tutti, senza discriminazione, affermando che Dio è imparziale nel giudizio e non razzista.
L'apertura religiosa di chi riconosce Dio e la rettitudine morale sono una preparazione in cui si realizza una pre-evangelizzazione. Pietro non fa un invito alla conversione, ma sviluppa un appello alla fede in Gesù, Signore e Giudice (vv37-43). E prima ancora di ricevere il battesimo, la discesa dello Spirito Santo su Cornelio e i familiari indica, in maniera evidente, che il progetto di Dio per i pagani non passa più solo attraverso l'ebraismo, ma inserisce, anche immediatamente, nella Chiesa mediante la fede in Gesù e il battesimo. Negli Atti il dono dello Spirito, come in questo caso, però, è strettamente legato alla fede, non necessariamente al battesimo.
Perciò centrale, per la pastorale, sono la fede in Gesù, valorizzare l'uguaglianza delle persone, maturare la presenza di Dio e della sua volontà che si manifesta via via nella storia. A noi spetta il compito di cercare, di approfondire con umiltà proposte e significati, di osare nella linea dell'amore del Padre.
La sintesi che Pietro compie della vita di Gesù è fondamentale ma non è sufficientemente nota ai cristiani di oggi che, quindi, non sanno riproporla nella loro religiosità. Si parla molto di Dio e non ci si rende conto che il Dio annunciato da Gesù è il Padre. Si parla di fede ma spesso il contenuto della fede si esaurisce nella domanda: "Esiste o non esiste Dio?". Provare a interrogare nelle stesse Comunità cristiane per credere.
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1, 17b-24
Paolo si pone di fronte alla comunità di Corinto composta sia da giudei che da pagani, entrambi convertiti alla sequela di Gesù morto e risorto, disorientato dalla delusione del suo tentativo di predicare ai greci di Atene all'Areopago. Aveva fatto un discorso interessante con dotte citazioni di poeti greci e richiami alla cultura del posto, ma la rivelazione di Gesù morto e risorto ha scandalizzato gli ascoltatori per cui lo hanno abbandonato.
E' andato allora a Corinto e là ha sviluppato un comportamento ed uno stile completamente diversi. Umile, aderente all'esperienza sconcertante della vita di Gesù senza la pretesa di raddolcire il messaggio, ha cercato di far conoscere il Vangelo come "vera e gioiosa nuova notizia: Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo "(v. 17).
La sua prima lettera ai Corinzi risente di questo cambiamento e di questa nuova consapevolezza di cui non si è mai pentito. Tutta la pastorale che Paolo suggerisce, legato ancora, a volte, ad alcuni schemi e sensibilità ebraiche, propone perciò una rivoluzione di convivenza, di ricerca e di rapporti assolutamente impensabile.
Nella grave problematica delle divisioni della comunità (1,10-4,21), va sviluppato il raffronto tra la sapienza del mondo e quella cristiana (1,17-3,4). E se i giudei chiedono segni miracolosi che confermino Gesù come Messia, e i pagani chiedono la sapienza dei ragionamenti che possano convincere, noi, dice Paolo, sappiamo che è necessario diventare discepoli di Cristo crocifisso. Egli è il Messia atteso che, passando attraverso la passione e morte, viene resuscitato da Dio. Ora questo segno divino non è sufficiente per i giudei e non convince l'intelligenza dei pagani, scandalo per i primi, in quanto non era previsto che il messia atteso morisse, stoltezza per i secondi, perché: "Si è mai visto uno risorgere dai morti?".
Paolo non si fa scoraggiare poiché egli stesso, in prima persona, ha vissuto il passaggio dal non credere a Gesù al credere in Lui. Ha sperimentato lui stesso l'impossibile, e cioè che Cristo è potenza e sapienza di Dio: potenza perché apre orizzonti inconcepibili su chi è Dio, sapienza perché rivela l'intelligenza del mistero nascosto di Dio, mostrandone le profondità non ancora rivelate. Paolo chiede di fidarsi della "stoltezza e debolezza" di Dio, giudicate così dagli uomini. Proprio perché di Dio, sono più utili all'uomo della propria sapienza e forza.
Lettura del Vangelo secondo Luca 24, 44-49a
Luca racconta l'incontro di Gesù risorto con i discepoli, nel Cenacolo, a Gerusalemme dopo il ritorno dei due di Emmaus. Mentre questi stanno ancora raccontando la loro vicenda sviluppatasi lungo la strada e il loro riconoscimento di Gesù allo spezzare del pane, Gesù stesso si presenta ai suoi con il saluto della pace: dono che si manifesta all'interno della vita nuova come pienezza.
Ma questa pienezza fa paura poiché il Signore è "totalmente altrò ' ed è insostenibile. Il dubbio di fronte alla risurrezione pone per l'evangelista il problema delle prove che vengono offerte da Gesù per contrastare ogni sospetto e ogni ambiguità: è il crocifisso che è stato restituito alla vita da Dio.
La sua manifestazione crea meraviglia, stupore, paura. Siamo alla presenza dei fatti di Dio e questi provocano sempre disorientamento. Gesù rassicura i suoi e, addirittura, di fronte alla loro perplessità, chiede di poter mangiare. Qui Luca, probabilmente, mentre scrive, ha presente le comunità cristiane di origine greca che ponevano molte esitazioni sul significato della risurrezione. Mentre pensano che non ci possa essere concretezza,: intravvedono, in questi incontri, solo illusione e fantasmi. Ma Luca vuole anche dirci che il Cristo risorto continua a vivere con noi. Si fa fatica a riconoscerlo, sorgono dubbi e perplessità, eppure egli cammina con noi, ci sostiene e ci invita a guardare non il suo volto ma le sue mani e i suoi piedi: sono i segni di un amore concreto e totale, sono anche il richiamo all'operare e al camminare per le strade del mondo intero.
I discepoli reagiscono finalmente con la gioia che nel Vangelo è presente spesso: Zaccaria (1,14), Maria (1,28) e i pastori (2,10) ed ora i discepoli gioiscono manifestando così che la loro perplessità è vinta dalla forza e la concretezza del Signore. Il mangiare insieme corrisponde alla infinita tenerezza e coraggio che Gesù ha sviluppato prima di morire, stando a mensa con i peccatori. Ma dimostra anche il valore del dono e della relazione che si sviluppa nel mangiare insieme. Cosicché la risurrezione non ha cambiato il significato che Gesù aveva voluto dare con questa condivisione.
E come con i discepoli di Emmaus, riprende insieme il senso della Parola di Dio, interpretando i testi dell'Antico Testamento: è un piano di salvezza compiuto dal Signore e autenticato dalla risurrezione.
Ora non si chiude il cerchio ma si apre ad orizzonti più ampi della stessa alleanza ebraica. Luca colloca qui la problematica che sconvolge il mondo: "la conversione e la remissione dei peccati". La prima coinvolge direttamente l'uomo che sceglie di cambiare mentalità; la seconda impegna direttamente Dio che dona il suo perdono. E tutto questo è offerto a tutto il mondo, a tutti i tempi, a tutti gli uomini e a tutte le donne.

 

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