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TESTO Missione: e niente scuse!

don Alberto Brignoli  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/10/2011)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Forma breve: Mt 22,1-10

In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Nella nostra vita di ogni giorno, riceviamo spesso delle convocazioni a un'assemblea. Ad esempio, alle assemblee condominiali; oppure alle assemblee per i genitori, per chi ha i figli in età scolare; le riunioni in ambito parrocchiale, legate ai gruppi di interesse o di impegno; ed anche le riunioni legate all'associazionismo, alla politica, al mondo sindacale o ad altri interessi che condividiamo con altre persone. Qualche decennio fa', il senso di partecipazione assembleare era molto più forte: ora, anche sulla spinta di un individualismo portato all'assoluto, è andato perdendosi un po'.

La maggior parte di queste assemblee si svolgono nelle stesse modalità: arriva una convocazione, più o meno formale; ci si ritrova a una determinata ora, e qualcuno inizia a introdurre un tema; si apre un dibattito, spesso monopolizzato in forma molto calorosa dai più loquaci; si spera di arrivare a qualche determinazione, e poi tutti a casa propria. Fortunatamente non è sempre così: ma in moltissimi casi il senso di "incompiutezza", di "inutilità" dell'assemblea si avverte nella maggior parte dei partecipanti. Al punto che uno dei commenti principali all'uscita di un'assemblea è: "La prossima volta non ci vado più".

Frustrati come già siamo dalla maggior parte delle assemblee a cui prendiamo parte, per di più andiamo a messa quest'oggi e ci incontriamo con una Liturgia della Parola che ci parla della convocazione di Dio ad un raduno, descrittoci sia dal profeta Isaia che dall'evangelista Matteo attraverso l'immagine biblica del banchetto. Ma che tipo di raduno, di assemblea è, questo "banchetto" preparato da Dio?

Certamente, molto di più delle assemblee a cui partecipiamo nella nostra vita di ogni giorno.

Dalle letture di oggi, e facendoci pure ispirare dall'ottobre missionario, mi sembra si possa dire che la chiamata che il Signore ci rivolge a partecipare a questa assemblea è la chiamata a costruire un'assemblea (in greco "ekklesìa", ovvero una "Chiesa") in chiave profondamente missionaria.

Si tratta, innanzitutto, di un'assemblea continua, che non ha la prospettiva, come le nostre assemblee, di iniziare e di terminare in un dato periodo. Come ci ricorda Isaia, è un banchetto finale, dove addirittura Dio "eliminerà la morte per sempre". Uscendo dall'immagine simbolica usata dal profeta, una cosa che non ha fine ci dà l'idea di una cosa non statica, ma in perenne movimento, in continuo cambiamento, in cammino.

L'assemblea a cui il Signore ci chiama, allora, è quella in cui la Chiesa si senta continuamente in cammino, sulle strade degli uomini. Una delle miserie e delle tragedie più grandi per la Chiesa sarebbe quella di smettere di sentirsi in cammino, di sentirsi già arrivata, di aver concluso il proprio percorso e la propria attività. Una Chiesa che smette di essere in cammino è una Chiesa atrofizzata, paralizzata. Una Chiesa che non si sente missionaria è una chiesa morta. Una Chiesa che guarda solo ai propri problemi, che si chiude nel proprio guscio, è una Chiesa che soffoca all'interno di una stanza dove non gira aria, perché si tengono chiuse le finestre sul mondo. Quanto più la Chiesa avrà il coraggio di aprirsi al mondo, tanto più avrà la forza di rinnovarsi e di rinascere, ogni giorno.

Ancora: questo banchetto festoso, questa assemblea a cui il Signore ci chiama non è una cosa preconfezionata da lui, che dobbiamo consumare così com'è. La sua realizzazione dipende anche dalla nostra presenza, e dal nostro impegno. Che senso avrebbe un banchetto di cibi succulenti e di grasse vivande senza la presenza dei commensali? Che senso ha la storia della salvezza senza la partecipazione dell'uomo all'opera di Dio? Che senso ha, in definitiva, sentirsi cristiani appartenenti a una Chiesa, se a questa appartenenza non facciamo pure corrispondere una presenza attiva, per quanto a ognuno è dato di fare? Dio non sa che farsene di un gruppo di persone alla cui assemblea, sia pur invitati esplicitamente, non vogliono partecipare.

Dio non vuole una Chiesa fatta di "nomi" scritti in un libro di battesimo; Dio vuole una Chiesa fatta di persone che accettano di mettersi in gioco, e di mettersi in gioco fino in fondo, ognuno con le proprie capacità e le proprie possibilità. Buoni o cattivi, perfetti o imperfetti, intelligenti o ignoranti, poco conta: ciò che il Signore vuole da noi è che entriamo a fare parte di questo banchetto, e che vi entriamo con impegno, con profitto, con la voglia di costruire qualcosa. Non vuole che ci entriamo "di nascosto", per sbaglio, con l'inganno: vuole che ci entriamo "con l'abito nuziale", con il vestito bello del nostro impegno, del nostro metterci in gioco per far sì che il regno continui.

Spesso, invece, assistiamo a comunità di fede che non hanno assolutamente il senso dell'appartenenza ad un'assemblea. Il rifiuto di partecipare attivamente a questo banchetto a cui il Signore ci invita non è solamente una delle scene di questa parabola: è la triste realtà di molte delle nostre comunità cristiane.

Quanti di noi, credenti in Cristo, viviamo una vita di fede fatta di anonimato! Quanti, pur dicendoci cristiani, abbiamo paura di professare apertamente la nostra fede! Quanto spesso, davanti alla nostra partecipazione attiva alla comunità ecclesiale, accampiamo mille scuse pur di non metterci in gioco! Quanti di noi si preoccupano dell'identità cristiana delle nostre radici e si dimenticano poi del vissuto cristiano nella quotidianità! Quanto spesso ci conformiamo con una fede fatta di una messa domenicale, ma poi rifiutiamo l'invito del Signore a sfruttare in pienezza di questo banchetto a cui ci chiama...

Essere una Chiesa missionaria, oggi, significa smetterla di giocare al ribasso. Significa non avere paura di annunciare che il Signore è lo scopo della nostra vita, che è venuto perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

Ecco perché essere missionari non significa solamente partire per terre lontane a fare del bene agli altri. Significa innanzitutto sentirsi parte di una Chiesa in cammino, di una Chiesa che non ha vergogna di partecipare al banchetto a cui il Signore la invita, di una Chiesa che non sia una comunità di credenti che sta bene al suo interno ma che poi rischia di morire perché soffocata dalla piccolezza delle proprie vedute e dalla limitatezza dei propri sguardi.

"Tutti i popoli", (come ci ricorda insistentemente Isaia), tutti gli uomini, "cattivi e buoni" (come ci dice Matteo), devono entrare a far parte della nostra preoccupazione quotidiana.

Il messaggio del Vangelo è stato annunciato ad ogni uomo, perché ad ogni uomo sia data la possibilità di far parte di questo banchetto. A noi, che abbiamo la grazia ogni domenica di ascoltare questo invito, il compito di far risuonare ad ogni uomo l'appello di Gesù: "Venite alle nozze!".

 

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