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TESTO Quello che il Padre fa', anche il Figlio lo fa allo stesso modo

Ileana Mortari - rito ambrosiano  

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Vangelo: Gv 5,19-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

La pericope inizia con le parole "In verità" ripetute: secondo il nuovo uso che ne fa il Signore, l'espressione serve a dare solennità a quello che segue; Gesù vuol far capire che il contenuto delle sue parole (il Figlio fa solo quello che vede operare da parte del Padre) è verità assoluta e vincolante la coscienza dell'uomo. Troviamo l'espressione anche al v.24, che costituisce il centro del brano delimitato dai vv.19 e 30.

All'inizio della lettura evangelica il Nazareno risponde alle accuse riportate nel v. 18: "Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio."

Certo, il Figlio è uguale al Padre; ma in verità - dice Gesù - il Figlio da sé non può far nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; cioè: quello che il Figlio fa non è per sua iniziativa, ma perché (v.20) il Padre ama il Figlio e gli manifesta tutto quello che fa. Il Padre come sorgente dell'attività del Figlio è un "leit motiv" della teologia giovannea.

C'è chiaramente, nei versetti 19-20, un'eco del Prologo che, come noto, è una sorta di sintesi anticipatoria di tutto il 4° vangelo:

Giov.1,1b: "e il Verbo era presso Dio", cioè rivolto a Dio, in contemplazione di ciò che Dio fa

Giov.1,18:

Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

*************

Giov.5, v.20 b: "e gli [al Figlio] manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati."

Quali sono queste opere più grandi (maggiori ad esempio della guarigione del paralitico)?

Spontaneamente il pensiero corre al cieco dalla nascita che riacquista la vista (Giov.9), cosa assolutamente inaudita, e poi anche alla resurrezione di Lazzaro morto da quattro giorni (Giov.11). Ma il seguito del discorso fa capire meglio di che si tratta.

v. 21: "Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole."

v.22: "Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio"

Qui, come verrà ribadito nei vv.25-30, si tratta delle due supreme opere di Dio, secondo la fede giudaica: resuscitare i morti ed esercitare il giudizio.

1°: resuscitare i morti

Il potere di suscitare la vita, non solo al momento della prima creazione, ma anche dopo la morte, è la caratteristica propria del Dio vivente. Come dice spesso la Scrittura, solo Jahvè "fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire" (1° Sam.2,6); "Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi" (Marco 12,27).

La presenza in Giov. 5,21 del verbo "egheirein" = resuscitare (lo stesso usato in Giov.5,8: "Alzati!" detto da Gesù al paralitico) può senz'altro richiamare l'opera divina della guarigione dell'infermo, visto che la malattia nella Bibbia è già di per sé un nefasto influsso della morte sull'uomo (cfr. anche Mt.10,8; Mc.1,31; Gc.5,15).

Ma, come sempre in Giovanni, occorre andare al di là del livello materiale. Il miracolo che ha

rimesso in piedi l'infermo di Betzadà simboleggiava l'atto divino che "rialza" l'uomo comunicandogli fin dal presente la vita eterna, che è la sua vera destinazione. Prima di ricevere questo dono, l'uomo "rimane nella morte". Già nel Primo Testamento: "Io non godo della morte del malvagio, - dice il Signore - ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva." (Ez.33,11).

La volontà del Padre fin dalla creazione è esclusivamente quella di salvare; secondo Giovanni è, ancor di più, quella di appagare pienamente l'uomo mediante la comunione con Sè. Gesù l'aveva rivelato a Nicodemo, fondando il suo annuncio sull'amore assoluto con cui Dio ama il mondo. Questa comunione divina, mediante la quale è vinta la morte, esige di credere al Figlio unico venuto ad annunciarla e a renderla possibile da parte di Dio (cfr. Giov.3,16). Qui si afferma che anche il Figlio comunica la vita, come il Padre.

La 2° suprema opera di Dio consiste nell'esercitare il giudizio, e anche questa opera è stata affidata al Figlio, come si afferma al v.22 e si specifica ulteriormente nei successivi vv.25-30.

"In questo brano il vangelo giovanneo ci fa vedere che, per essere uniti a Dio, dobbiamo assolutamente passare per Gesù: c'è un continuo parallelismo fra il rapporto di Gesù con Dio e il nostro rapporto con Gesù, per poter entrare in relazione con Dio. Non possiamo pretendere di conoscere la volontà di Dio da soli: è Gesù che ce la rivela. Non possiamo pretendere di custodire la Parola di Dio da soli: è attraverso Gesù che essa viene a noi." (A. Vanhoye)

Visitate il sito www.liturgiagiovane.it ed il relativo blog, sul quale è possibile aggiungere i vostri commenti, osservazioni, suggerimenti, proposte.

 

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