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TESTO Commento su Matteo 18,21-35

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (11/09/2011)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di don Paolo Ricciardi

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda come io ho amato voi.

Eccoci praticamente all'ultima domenica di vacanza, anche se l'estate ci accompagnerà ancora per una decina di giorni. In questo periodo riprendono le scuole, gli orari estivi - anche in parrocchia - cedono il passo agli orari invernali, c'è un tutto che riprende... non senza fatiche. Nel cuore abbiamo i giorni di quest'ultimo periodo, ferie, incontri, amicizie, forse anche qualche esperienza spirituale, un campo scuola, un evento... E la liturgia ci riprende in questo momento con uno dei temi più "ostici": il perdono.

Alla luce del vangelo, è naturale farci subito un rapido esame di coscienza rendendoci subito conto che, nel migliore dei casi, abbiamo avuto o abbiamo almeno più di una persona con cui ci siamo infuriati per torti subiti o amicizie tradite. E forse, per chiudere rapidamente il discorso, ci abbiamo anche provato ad accordare il perdono. Ma - confessiamocelo - è stato spesso un perdono incerto, che tenta di uscire dal cuore, ma poi precipitosamente vi rientra perché "non è giusto", si dice.

In tante delle domeniche precedenti siamo stati abituati a ritrovarci nei panni di Pietro, entusiasta e ribelle, pronto a seguire Gesù e a "rimproverarlo", fragile nella sua umanità eppure reso "pietra" da poggiare sulla roccia che è Cristo.

Anche oggi è lui, Pietro a farsi nostro portavoce, ponendo davanti a Gesù tutta la nostra difficoltà a perdonare. Per esattezza a perdonare sempre.

Il "limite" del perdono era una questione discussa anche dai rabbini di allora che ritenevano che si potesse arrivare fino a 3, secondo lo stile di Dio. Così è scritto nel libro di Giobbe: "«Avevo peccato e violato la giustizia, ma egli non mi ha punito per quello che meritavo; mi ha scampato dalla fossa e la mia vita rivede la luce». Ecco tutto questo fa Dio due volte, tre volte con l'uomo..." (Gb 33,27-29; cfr. Am 2,4). Pietro con il numero 7 si spinge avanti indicando la possibilità ad accordare il perdono oltre la misura stabilita dai rabbini, ponendo però sempre un limite. La risposta di Gesù va oltre ogni limite dando al perdono un valore illimitato. L'unica misura del perdono è perdonare senza misura: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Cioè, sempre.

Ma... - ci verrebbe da obiettare - che senso ha? Perdonare è una sconfitta, vuol dire perdere la dignità: se mio marito mi ha tradito, se mia moglie mi ha rifiutato, se il mio capo mi ha sfruttato, se, se... che senso ha perdonare? La risposta è semplice e alta. Perché così fa Dio.

Ed è con queste domande e questa risposta che ci viene offerta la parabola di Gesù.

Il servo deve una cifra iperbolica al suo re (50 milioni di euro di oggi), qualcosa che non riuscirebbe mai a pagare, "allora, gettatosi a terra, lo supplica". E il re prova compassione. Sente come sua l'angoscia del servo, essa conta più dei suoi diritti, pesa più di diecimila talenti, allarga il cuore del re.

C'è un modo divino di stare al mondo e risiede nella larghezza di cuore: sa perdonare chi è più grande e più forte. È il vero potere: non uccidere, ma perdonare.

Ma, in opposizione a questo cuore regale ecco il cuore servile: "appena uscito, quel servo trovò un altro servo..". Appena uscito, non una settimana dopo, non un giorno dopo, non un'ora dopo.

Appena uscito, ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia, appena fatta l'esperienza di un cuore regale, "preso il suo compagno per il collo lo strangolava, gridando: ridammi i miei 5 euro", lui, perdonato di milioni.

Il servo perdonato non agisce contro la giustizia. È giusto, ma anche spietato: è onesto e, al tempo stesso, cattivo. Quanto è facile essere giusti e spietati, onesti e cattivi; perché non basta essere giusti per essere uomini, tanto meno per essere di Dio.

Giustizia e diritto da soli non bastano a fare nuovo il mondo.

Anzi, l'estrema giustizia, "ridammi i miei 5 euro", può contenere la massima offesa all'uomo: "presolo per il collo lo strangolava".

Gesù propone l'illogica pietà: "non dovevi anche tu aver pietà di lui come io ho avuto pietà di te?"
Perché? Perché avere pietà e perdonare?

Per acquisire il cuore di Dio, immettere il suo "divino disordine" dentro l'equilibrio apparente del mondo. Perché niente vale quanto una vita.

E allora occorre una dismisura, il perdono fino a settanta volte sette, un eccesso di pietà.

Occorre il perdono di cuore. È difficilissimo perdonare di cuore; comporta un atto di fede, non d'intelligenza. Un atto di speranza, non di spontaneità.

Ma questo con questo perdono coniugi traditi possono ricostruire un cammino di famiglia, secondo la logica di Dio; fratelli in lite per un'eredità possono buttare via i soldi per ricostruire un'intesa; genitori delusi dai figli possono dar loro un'altra occasione; addirittura uccisori spietati, come è successo nella storia, possono riscoprire la luce della redenzione. Perdonare significa non guardare più al passato, ma al futuro.

I rapporti umani non sono mai una faccenda dei soli uomini: c'entra Dio. E si misurano sempre, misteriosamente ma realmente, con lui. È questa la grandezza dell'uomo, chiamato a fare come Dio, ad agire come Dio, essere uomo di perdono perché un Dio di perdono lo ama e lo riconcilia continuamente con sé.

È il perdono che la sera di un giovedì sarà Pietro stesso a sperimentare, dopo un triplice "no, non lo conosco". Finalmente sarà guardato dal Signore, in cammino verso la croce, per salvare tutti, perdonando l'umanità, che non sa quello che sta facendo...

Così fa Dio con me: mi perdona non come colui che dimentica il mio passato, ma come colui che mi sospinge oltre, guardando al mio futuro.

Dio perdona come un liberatore: mi lancia in avanti. Mi fa salpare ancora verso albe intatte, come vento che gonfia le vele, supplemento di energia. Mi perdona come atto di fede in me, cuore largo verso il mio futuro.

Eppure questo perdono di Dio appare paradossalmente e misteriosamente condizionato dalla libertà dell'uomo. Diventa efficace solo se l'uomo gli apre la porta del cuore e gli permette di entrare.

E la chiave che apre la porta del cuore è proprio il perdono che siamo capaci di scambiarci reciprocamente. Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori...

 

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