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TESTO Cuori che vibrano all'unisono

Marco Pedron  

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (04/09/2011)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Il vangelo di Matteo è strutturato su cinque grandi discorsi: il discorso della montagna Mt 5-7; quello parabolico, Mt 13; quello missionario, Mt 10; quello escatologico, Mt 24-25 e questo, il discorso ecclesiale, Mt 18.

Matteo parla alla sua comunità dando delle regole, delle norme, dei consigli. Non vanno presi alla lettera perché sono stati scritti per uomini che hanno vissuto duemila anni fa in un determinato ambiente e in una determinata cultura, molto diversa dalla nostra. E' il tentativo di Matteo, di tradurre in pratica, in regole, in comportamenti, lo spirito di Gesù.

Noi dobbiamo rimanere fedeli non alle regole, che mutano nel tempo, ma allo spirito di Gesù. Perché mentre le regole cambiano secondo i secoli e i tempi, lo spirito rimane per sempre.

Ricordo che una volta c'era un prete che ti mandava fuori dalla chiesa se venivi con i pantaloni un po' corti o con una maglietta a maniche corte. Lo spirito rimane, è sempre lo stesso, ieri come oggi: "In chiesa si viene per pregare, per nutrire la propria anima e non per sedurre qualcuno". Oggi però, se qualcuno ha i pantaloni al ginocchio o la manica corta non è più un problema.

E' importante non attaccarsi alle regole ma cogliere lo spirito, cioè il senso, il significato che c'è dietro. Va colto, allora, il senso profondo: la tua fede si traduce in gesti, comportamenti e modi di pensare. Se c'hai Dio dentro al cuore, non si vede tanto da quanto preghi o da quanto lo nomini, ma lo si vede soprattutto dalle tue relazioni, dai rapporti con le persone, dal come stai con gli altri e nel mondo.

Il vangelo inizia col dire: "Se c'è una questione irrisolta fra te e lui... vacci di persona, da solo" (18,15). Il Levitico (19,17b) diceva: "Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui".

A quel tempo era normale denunciare apertamente quello che uno faceva. Se sai una cosa, dilla a tutti. Gesù, quindi, propone una cosa del tutto nuova, rivoluzionaria, contro la legge e la prassi comune.

C'è qualcosa che non va fra te e qualcuno: vai da lui e glielo dici. Se ci vai, avrai il suo punto di vista, forse ti ricrederai, forse non era come tu pensavi. Vai a sentire di persona, non basarti su quello che dice la gente.

La prima regola è: se hai un problema con Tizio, vai da Tizio a parlargli. E noi che facciamo invece? Quando abbiamo un problema, un contrasto, un'opinione differente con Tizio, andiamo subito a sparlare e a malignare con Caio. Se hai un problema con Tizio, maturità è: "Vai da Tizio". Hai un problema con Caio: "Vai da Caio". Chi agisce diversamente è un bambino, un infantile, un pauroso, un immaturo.

Tremendo è quando uno dei genitori dice al figlio: "Ma lo sai che tuo padre/madre..." e invece di parlare del problema con il coniuge, cerca di portare dalla propria parte il figlio. Lascia stare tuo figlio: se il problema ce l'hai col coniuge, solo a lui ti devi rivolgere.

La seconda regola è: se non sai, non dire nulla. E se qualcuno ti parla di qualcun altro dì: "Se è così come dici tu... allora...".

Quand'ero chierico (il periodo di formazione prima di diventare prete) prestavo servizio in una parrocchia. Un giorno ero stanchissimo e prima dell'incontro col gruppo dei sedicenni, un ragazzo mi chiede: "Ma stai male? (Ero solo stanchissimo!)". E io per scherzo dico: "Sono così perché mio fratello sta male!". Nessun altro accenno, non dico niente di più, la cosa finisce lì e io mi dimentico del tutto delle cosa. A metà settimana il parroco chiama i miei genitori per sapere come sta mio fratello! Nessuno aveva chiesto: "Ma cos'ha? Sta male? Ma davvero?". Se non sai, non dire nulla. Cioè: se non hai le conoscenze dei fatti, se non sei sicuro perché tu l'hai constato, sentito, sii prudente. Le persone spesso mi raccontano di Tizio e di Caio. Io le ascolto ma non mi permetto di dire nulla su di loro.

La terza regola è: se non sai perché l'ha fatto, non permetterti di dire nulla. Cioè: chiedi sempre il perché delle cose. Se non lo conosci, non dire nulla. Ci sono delle motivazioni che non conosci, che non sai o semplicemente si fanno delle scelte diverse dalle tue (ma non per questo sbagliate).

Un giorno un parroco scrive sul foglietto della parrocchia che non sarà possibile fare i campiscuola. Tutti i genitori commentano, attaccano e si permettono di dire molte cattiverie. Nessuno però chiede il perché. Il perché è semplice: non ci sono animatori e nessuno vuole rendersi disponibile. Che altro deve fare?

Una donna porta il figlio a scuola in città invece che al suo paese. Allora i vicini malignano: "Lei ha soldi! Lei non si degna di portare i suoi figli con i nostri". Detto che ognuno può portare suo figlio dove vuole, ma che ne sai tu? Infatti, lei lavora appena fuori città e così porta suo figlio da sua madre che abita in città.

La quarta regola è: diamo ad ognuno le proprie responsabilità.

Viene una donna e inizia a dire: "Mio marito è così, mio marito è colà". E gli dico: "Ma ci hai parlato?". "No, ma lui tanto non capisce!". "Ma chi l'ha detto che non capisce?". Intanto parlaci, poi vedremo. Se il problema ce l'hai con lui è da lui che devi andare, non da me.

E' venuto un uomo: "Sai, non mi sento più innamorato di mia moglie. Tu cosa faresti, glielo diresti?". Allora io devo dire: "Io non sono te!". Quello che va bene per me magari non va bene per te. Vediamo cosa accade se glielo dici e cosa accade se non glielo dici. Se le persone possono, ci danno la responsabilità di scegliere: ma non è nostra, è loro e a loro deve rimanere.

Tuo figlio ti dice: "Mamma non so cosa fare? Dimmi cosa fare!". E' chiaro che se glielo diciamo non ci perdiamo su tanto tempo. Ma se facciamo così non gli insegniamo: 1. ad ascoltare il proprio cuore e a scegliere; 2. a prendersi le responsabilità delle proprie scelte. Lo aiutiamo molto di più se gli diciamo: "Siediti qui. Vediamo un po': se fai così, succede... Se fai colà, succede che...". E poi sarà lui a decidere. Se scegliamo noi per lui gli mandiamo il messaggio: "Non vali perché non sei capace di scegliere". Ma se sceglie lui (giusto o sbagliato che sia) il messaggio è: "Valgo; sono in grado di scegliere".

A volte le persone dicono: "Cosa devo fare? Dimmi tu cosa fare". Non posso fare io la tua strada per cui non posso dirti cosa devi fare. Ti posso solo dire: "Se fai così, avviene che..."; "Se fai colà, avviene che...". Decidi tu! State attenti perché le persone cercano regole chiare e norme sicure; cercano qualcuno che gli dica cosa fare così da non far loro la fatica di scegliere prendendosi poi le conseguenze delle scelte.

Poi per quattro volte viene ripetuto il verbo ascoltare. "Se ti ascolterà (18,15); se non ti ascolterà vai con una, due persone (18,16); se non ti ascolterà, dillo all'assemblea (18,17); se non ti ascolterà (18,17)".

Per alcuni ascoltare vuol dire: "Mi devi ascoltare, cioè, devi fare come dico io". La lamentela classica dei genitori è: "I figli non ti ascoltano mai!". Quando un genitore dice così sta dicendo: "Sto tentando di dominare mio figlio ma lui si ribella e io non ci riesco". La prospettiva del figlio è: "Non ascolta quello che io desidero; non mi ascolta proprio; vuole che io faccia solo come dice lui e io mi ribello per non farmi schiacciare".

In un chiosco lungo la spiaggia, a metà pomeriggio, un papà è con il figlio per la merenda. Il papà si prende un gelato. Il figlio, invece, vuole una brioche con la crema. "Ma no, quelle si mangiano di mattina!". "Ma io voglio quella!". "No, quelle sono per la mattina". "Ma io voglio questa!". "Ti ho detto di no!". "Allora non prendo niente!", e non prende niente. Tornano sotto il sole e l'uomo dice alla propria donna: "Dobbiamo pensarci perché questo figlio butta male. Non ti ascolta proprio!".

Ascoltare vuol dire: "Cerco di capire, attraverso le tue parole, che cos'hai dentro, cosa stai provando, cosa senti". Ascoltare è: "Mi metto nei tuoi panni per capire/sentire dal tuo punto di vista".

Quando uno ti dice: "Io non farei così", non ti sta ascoltando perché sta parlando di sé. Ma lì ci sei tu!

Quando a nostro figlio di otto anni diciamo: "Perché sei in ritardo? Perché non hai fatto i compiti? Perché non stai fermo? Perché non riesci a staccarti dalla tv? Perché non hai fame? Perché non dormi?", gli chiediamo qualcosa a cui non sa rispondere. Non lo sa perché non sa cos'ha dentro.

Il fratello picchia la sorella. Arriva la mamma: "Perché l'hai fatto?". Non lo sa! Se lo sapesse non l'avrebbe fatto. E' inutile dirgli: "Oggi, allora, per punizione non guardi la tv!". Ascoltare è: "Dimmi cos'è successo? Cos'hai sentito dentro di te che ti ha fatto fare così? Vedi, se fai così succede che...".

Tuo figlio se ne sta nella sua stanza, seduto a gambe incrociate sul pavimento. "Che cosa ti è successo, amore mio?", chiede la mamma. "Vorrei avere una sorella più gentile...". "E tu, con lei, pensi di essere gentile?". Dialogo chiuso. Cosa c'è dietro? Non si sente compreso, capito, ascoltato, accettato; ha rabbia, risentimento.

Non ti ascolto ...se ho già deciso che tu hai sbagliato. Un professore al suo allievo: "Ma pensi di insegnare a me? Pensi di sapere più di me?". Ma ascoltalo almeno! Oppure: "Sì, sì, sappiamo bene chi sei tu. Che giustificazione hai questa volta, sentiamo?".

... se non accetto visioni diverse dalle mie. "Potremo fare catechismo in un modo diverso?". "Si è sempre fatto così, perché dovremo cambiare?".

... se alcune cose le voglio sentire e altre no. C'è un uomo che quando la moglie gli dice: "Mi ferisci molto quando mi tratti come una serva o quando mi offendi o neppure mi guardi!", lui sghignazza, prende e se ne va via.

... se ti rinfaccio che tu hai detto quella precisa parola e non mi interessa sapere perché l'hai detta, o se hai sbagliato o quello che volevi dire, ma l'hai detta e qui per me si chiude la questione. Due uomini stanno litigando e uno dice all'altro: "Guarda che a me non è ancora andata giù quella volta che tu mi hai detto che ero uno stupido". "Ma son passati trent'anni!".

... se quando tu mi dici qualcosa io mi chiudo nel mio silenzio oppure tiro su un muro oppure "non voglio sentire ragioni". C'è un uomo che può stare anche un mese senza parlare a sua moglie. E' una bella strategia: così evita di ritornare sull'argomento; così lei per parlargli deve sempre stare attenta e non ferirlo mai.
... se finché tu parli, io penso a cosa risponderti.

... se ho sempre le risposte pronte per tutte le domande.

La comunità di Matteo non era perfetta e, come dappertutto, c'erano dei conflitti. Alcune persone hanno preso alla lettera queste parole. Ma come sempre non è il cosa si fa ma il come si fa' che ne determina la bontà o meno (è l'intenzione, la spinta inconscia, profonda e non quella di superficie che ne determina la bontà o meno).

Una donna voleva denunciare il marito violento perché la picchiava sempre. Un amico del marito andò a convincerla: "Dai lascia stare, cambierà!". Ma lei era convinta. Così ci andarono altri due, tre, amici di lui. Alla fine ci andò anche il prete per convincerla di mandare giù tutto. Lei cedette: qualche settimana dopo finì all'ospedale suo figlio (che proteggeva la madre) da quante ne aveva prese.

Una volta in seminario c'era la correzione fraterna fra compagni. L'intenzione era buona ma il risultato pessimo. Ognuno diceva all'altro quello che non gli piaceva. Era un massacro di cattiverie. Si usciva distrutti e ci si sentiva uno schifo.

C'è un uomo che si sente in dovere di dire a chi si separa, convive o divorzia: "Sei in peccato!". E dice: "Lo dico perché si ravvedano (e cita proprio queste parole!). E poi io non voglio essere complice. Io gliel'ho detto". Se non esistesse veramente, non ci si potrebbe credere che ci sia chi agisce così.

Queste parole non vogliono dire: "Se uno sbaglia dillo a tutti!"; oppure: "se uno sbaglia tu hai il dovere di correggerlo".

Mt ha davanti delle situazioni difficili e sente il bisogno di dire: "In tutte le situazioni, ci sia fra di voi l'amore". Se vedi che un tuo amico è in difficoltà o, secondo te, sbaglia, avvicinati non per condannarlo, non per farlo sentire uno stupido o sbagliato perché tu hai la verità. Avvicinati per sentire il suo cuore che forse sta soffrendo. Avvicinati per dirgli che tu per lui ci sei. Avvicinati per dirgli che tu non lo giudichi e che gli vuoi bene.

E poi queste parole dicono: non esiste una comunità, una famiglia, dove non ci siano conflitti o scontri. Litigare, entrare in conflitto, non vuol dire non amarsi. Vuol dire solo che si è diversi. E' inevitabile! Se due persone non litigano mai, allora c'è un problema perché vuol dire che uno dei due si è conformato. Non è qui che si vede se ci si ama o no. Ma nel come vengono affrontati i conflitti.

Nelle nostre giornate un po' di conflittualità è normale (se è sempre o spesso non è più normale!). Si litiga perché si hanno pareri diversi, discordanti, perché si hanno esperienze diverse, perché ci sono problemi, crisi o difficoltà.

Il conflitto è positivo. Il conflitto ci costringe a con-frontarci, a chiarire le nostre idee, ad allargare i punti di vista, ad essere umili, ad esporre i nostri punti di vista e a correggere le nostre visuali. Senza il conflitto e le difficoltà, non si cresce.

Decisivo è come noi, in una famiglia o tra marito e moglie o in una comunità, affrontiamo le tensioni e i conflitti. Possono essere causa di divisione o di comunione, di unione o di rottura, di separazione o di crescita.

Innanzitutto bisogna accettare che ci siano dei conflitti o dei problemi. Cioè: se mettiamo sempre la testa sotto la sabbia come lo struzzo, se in casa nostra deve sempre regnare l'armonia e la pace, ci è difficile crescere. Ci sono persone che vorrebbero vedere tutto rosa, che se si litiga si rompe l'idillio familiare. Ci sono persone che non hanno mai problemi: ed è un bel problema! Alcune persone così fragili e con un'identità così debole che associano al contrasto la fine del rapporto, il disastro universale, la paura di rimanere soli o di ferire l'altro, il non essere buoni.

Una donna è terrorizzata dal far valere le sue ragioni con il marito: ha paura che se ne vada, che la lasci. Ma così facendo la sua paura è la sua prigione: perché lui, in casa, fa il "bello e il cattivo tempo".

E poi parliamone! Ti espongo la difficoltà e ti ascolto, mi lascio mettere in discussione dalle tue parole. Non è importante chi vince (e invece questa sembra la meta dei nostri discorsi: chi ha ragione!; abbiamo bisogno di dominare l'altro, di dimostrare che noi abbiamo ragione), ma che ci capiamo. Perché dove c'è uno che vince, c'è sempre uno che perde e chi perde si sente umiliato.

E ascoltiamoci! Ascoltare vuol dire: "Tento di mettermi nei tuoi panni (empatia). Mi spoglio delle mie idee per sentire quello che senti tu e per mettermi dal tuo punto di vista". Se rimango nel mio non ti ascolto. Ascoltare vuol dire andare oltre le parole per cogliere quello che l'altro vive veramente.

La maturità di una famiglia o di una comunità non si vede se tutto viene fatto bene, se non ci sono screzi, se ci trovano sempre insieme, ma se si sa confrontarsi in maniera sana nei momenti difficili.

Il confronto ci fa crescere. Il conflitto, la crisi, la difficoltà è quello spazio che ci permette di lasciare un equilibrio per raggiungerne uno più profondo, che ci permette di comprenderci più in profondità.

Poi c'è una frase bellissima: "Se due si accorderanno per domandare una cosa il Padre ve la concederà" (18,18).

Ac-cor-dare vuol dire avere il cuore che batte alla medesima frequenza, in greco è sin-fonia. L'accordo è formato da note diverse: ogni nota è diversa ma insieme formano l'ac-cordo, la bellezza. Se due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.

L'unità, cioè, è cantare con la stessa lunghezza d'onda, è quando i nostri cuori sono uniti, quando le nostre profondità si incontrano, quando ci incontriamo nell'intimità, nel segreto della nostra vita. Quando avviene questo, sperimentiamo una forza irresistibile, sperimentiamo che Dio è presente lì.

L'unione di due persone non sta nello sposarsi, nel quanto tempo stanno insieme, nel quante cose fanno insieme, ma nella profondità del loro stare insieme.

Di alcuni santi si dice che nel loro parlare intimo, profondo, con-sonante, il tempo si fermò. Di Francesco e Chiara si racconta che un giorno, finché parlavano, i loro cuori erano così vicini, intimi, che si alzarono fiamme altissime, tanto che la gente pensava che S. Maria degli Angeli avesse preso fuoco.

Noi ci diciamo un sacco di cose, ma non siamo uniti. Non sperimentiamo mai la forza dell'amore perché i nostri cuori non vibrano mai in profondità. Parlarci di quello che si è fatto oggi, del tempo, del vicino di casa, del lavoro, non ci guarisce, non ci sana, non ci fa incontrare. Ciò che ci rende uniti, che è anche ciò che ci salva, è quando non ci diamo più solo parole, ma ci doniamo nella nostra vulnerabilità, nelle nostre paure, nelle nostre imperfezioni. L'unione nasce dallo svestirci, dal metterci a nudo, dal farci vedere per quello che si è, dal darsi le parti più profonde. Bisogna avere il coraggio di farlo e la fiducia di non essere traditi.

Stare insieme non vuol dire essere uniti. Si può essere semplicemente accozzati.

Ad un rabbino fu chiesto: "Fino a quando dovrò ammonire mio fratello?". E il rabbino rispose con quattro domande: "Quanto tempo ci vuole per fare una casa?". E il discepolo rispose: "Un anno". Quanto tempo ci vuole per fare un albero?". "Cinque anni". "Quanto tempo ci vuole per fare un figlio?". "Quindici anni". "E quanto tempo ci vuole per distruggere tutto questo?" "Un attimo!". Concluse il rabbino: "Vedi, ci vuole così tanto tempo per costruire ma basta un attimo per distruggere".

Quando parli, tieni sempre presente questa regola e stai attento alle tue parole perché possono essere una bomba: una volta innescata, scoppia. E in un attimo si distruggono anni, rapporti, amicizie, famiglie. Non ti preoccupare di ammonire tuo fratello, preoccupati di ascoltarlo e di entrare nel suo cuore.

Pensiero della settimana

Un mattino, come spesso accadeva, il califfo chiamò un indovino e gli raccontò il seguente sogno: "Ho sognato che i miei denti cadevano l'uno dopo l'altro e alla fine la mia bocca restava senza denti. Cosa ne pensi?". "Oh! signore, non è un buon segno. Il sogno significa che i tuoi parenti moriranno prima di te e tu rimarrai da solo!", gli disse l'indovino. Il califfo si rattristò e si infuriò a tal punto che ordinò all'esperto di non farsi più vedere. Quindi raccontò il sogno ad un altro mago. Questi gli rispose: "Oh! mio signore, è un buon segno. Il sogno prevede che la tua vita sarà lunga e che tu sopravviverai ai tuoi parenti e camperai più di tutti!". Il califfo tutto contento disse: "Che bel sogno!", e diede cento denari all'esperto che lo aveva interpretato così bene. Poi ripensò a ciò che gli aveva detto il primo indovino e si disse: "Ma, mi ha detto la stessa cosa! Ma come potevo accettare una verità, così come me l'ha posta lui?".

Anche la verità più bruciante si può dire con amore.
Non è tanto il cosa ma il come che ci fa paura.

Non la verità da affrontare ma come ci viene posta.

 

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