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TESTO Chiesa, santità e correzione fraterna

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (04/09/2011)

Vangelo: Mt 18,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Come istituzione voluta da Gesù Cristo il Santo, la Chiesa viene definita Santa in quanto istituzione divina. La Santità della Chiesa consiste quindi nell'essere voluta da Dio in Cristo per la salvezza dell'umanità, nel configurarsi come popolo di Dio radunato nell'unità dall'amore del Padre che procede verso il Regno definitivo degli ultimi tempi; al momento presente essa arranca fra le vicissitudini di questo mondo, promuovendo il bene nella continua lotta contro il male.

Ma il male, occorre precisarlo, spesso alberga indisturbato anche all'interno della stessa Istituzione di salvezza. Che la Chiesa sia Santa non eqivale a dire che nel suo interno è perfetta e impeccabile: quanto ai suoi elementi e alla sua strutturazione, l non è esente da peccati ed è suscettibile di errori, mancanze e riprovevoli aberrazioni, come del resto si evince purtroppo nella molteplicità degli eventi che la cronaca ci ha propinato negli ultimi tempi. Secondo una locuzione di S. Ambrogio, la Chiesa è "Casta et meretrix." Santa perché voluta dal Giusto e dal Santo come istituzione divina di salvezza, ma peccatrice perché nel suo ambito è contrassegnata da infedeltà ed errori, probabili ed effettivi.

Il concetto di Chiesa "santa ma peccatrice" comporta anche che la comunità ecclesiale per intero tenda alla perfezione e aspiri costantemente alla santità: essere santi, cioè perfetti come il Padre che è nei cieli, è obiettivo irrinunciabile di ogni cristiano e per tale finalità esistono anche i mezzi di grazia, primi fra tutti i Sacramenti. La Chiesa è di conseguenza una comunità di persone che nel vincolo della comunione con il Cristo Capo e fra di loro tendono alla conversione per il guadagno della comunione con Dio. Tutti i battezzati sono chiamati a convertirsi e a fuggire il peccato appunto per la comune vocazione alla santità.

Tutti questi obiettivi sono raggiungibili per mezzo della preghiera, delle risorse spirituali di cui disponiamo, del dono di grazia appena menzionato doni Sacramenti, specialmente quelli dell'Eucarestia e della Penitenza, ma anche dalla capacità di instaurare comunione e solidarietà fra di noi, perché nella misura in cui un assetto comunitario è caratterizzato dall'amore, dall'accoglienza e dall'accettazione fraterna la perfezione evangelica diventa possibile. Santi non si diventa mai da soli, ma all'interno della struttura della comunità comunione.

La liturgia della Parola di questa domenica ci illustra su un aspetto irrinunciabile della convivenza cristiana che è di grande aiuto per il raggiungimento comune della santità: la correzione fraterna. Come afferma il libro dell'Apocalisse: "Quelli che amo, li rimprovero e li castigo" (Ap 3, 19). Ancora più esplicita e convincente è la lettera agli Ebrei "È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!... Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di renderci partecipi della sua santità.... Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati (Eb 12, 7. 10 - 12).

La Scrittura stessa delucida insomma che l'intervento riprensivo del Signore nei confronti dei suoi figli è caratteristica del suo amore misericordioso; procedura della bontà di Dio nei nostri riguardi è data dalle correzioni, dai rimproveri, e quando sia il caso anche le punizioni sono espressioni della premura di Dio. Non c'è mai vero amore senza almeno una circostanza di intervento punitivo o di rimprovero. San Francesco di Paola affermava nella sua Regola indirizzata ai Minimi che occorre sempre dosare "la verga con la manna e l'olio con il vino", cioè la giustizia con la misericordia".

Esse sono prerogative della carità sincera e operosa e anche nel contesto della convivenza umana e cristiana sono un fattore irrinunciabile sia da parte di chi corregge sia da parte di chi viene corretto: è dovere imprescindibile riprendere con carità un fratello che sbaglia e anche dovere di chi viene ripreso accogliere il dono della correzione, riconoscendo l'evidenza del proprio errore e ponendovi opportuni rimedi.

Chi rifiuta la correzione misconosce anche l'amore di Dio e si chiude all'amore degli altri, mostrandosi ben lungi dall'essere idoneo alla vita comune. Chi nei suoi confronti e chi non è mai stato mai rimproverato non ha mai fatto esperienza di carità e non è capace di carità.

Certamente, la correzione fraterna non va confusa con il pretesto di un gratuito predominio sul fratello, per il quale occorre solamente lanciare moniti e rimproveri senza nulla accettare da parte sua. Non è correzione fraterna esercitare un serrato controllo asfissiante sul fratello al punto da condizionarlo in ogni suo movimento e in ogni sua azione, come se non dovessimo apprendere nulla da parte sua e come noi stessi non fossimo suscettibili di errore, e pretendere di dover correggere senza essere corretti diventa anzi occasione di cattiveria e di presunzione.

La correzione va esercitata con delicatezza e con vero spirito di dialogo e di fraternità, senza che essa si trasformi in una sorta di umiliazione per chi viene ripreso.

Ciò non pregiudica tuttavia che essa sia un buon espediente di carità e che debba essere accolta come dono quando si eserciti nel giusto senso e nella dose obiettiva e occorre che chi viene rimproverato abbia anche l'accortezza umile di ammettere il proprio errore.

Che un fratello persista nello sbaglio che ha commesso è dannoso sia per lo stesso soggetto che ha mancato sia per l'intera comunità perché anche un piccolo errore può avere ripercussioni sull'intero assetto del gruppo. Ecco perché Gesù offre orientamenti concreti di emendazione del reo, che riguardano l'intervento di tutti e di ciascuno e che coinvolgano anche l'intera comunità. Se un fratello è in errore è infatti preoccupazione di tutti che egli si ravveda, e anche l'intervento della Chiesa per intero, quando necessario, può essere risolutivo. Ma Gesù prevede sapientemente anche che il fratello possa non mutare vita e persistere nell'errore: tutto dipende dalla sua libertà e dalla piena coscienza che lo anima. Nel caso in cui tuttavia, fallito ogni ricorso di correzione, questi dovesse coltivare la negativa del proprio errore, allora egli avrà fatto la sua scelta consapevole e deliberata di peccatore: "consideralo un pubblicano." Occorre anche considerare un possibile insuccesso da parte dell'intera comunità nella correzione fraterna, ma va messo anch'esso nel bilancio e va anche accettato come normale conseguenza del nostro agire e del nostro operare, a condizione che abbiamo davvero sfruttato tutti i mezzi atti a redimere chi sbaglia.

Se un fratello è nel torto ma in nome di una falsa amicizia o per paura di essere da lui contraddetti o di perdere la sua stima lo si lascia persistere in questa sua lacuna, non si esercita certo carità nei suoi confronti poiché lo si lascia nell'illusione di essere nel giusto o di agire correttamente; è invece atto di amore e di serietà intervenire in suo favore attraverso la correzione fraterna, anche a costo di rischiare che egli non ci ascolti o ci si metta contro giacché è prevedibile che il nostro interlocutore rifiuti la nostra correzione perché ostinato nelle sue intenzioni.

 

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