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TESTO Anche noi verso Gerusalemme...

padre Gian Franco Scarpitta  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/08/2011)

Vangelo: Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Dalle stelle alle stalle. Se la scorsa Domenica avevamo visto Pietro esaltato da Gesù che lo costituiva "pietra", cioè fondamento di tutta la Chiesa per aver accolto una rivelazione sullo stesso Signore costituito Messia, adesso lo vediamo da questi redarguito con parole davvero perentorie e taglienti: "Allontanati da me, Satana!"

Come più volte si è detto, se da una parte Pietro dimostra un affetto singolare e sincero nei confronti del suo Maestro, non mostra tuttavia di aver assimilato in lui il mistero della salvezza, il compimento delle promesse definitive preannunciate dai profeti. Esse si realizzano non nelle aspettative grandiose o nei gesti e nelle reazioni di potenza proprie dell'uomo, ma hanno la loro evidenza nell'umiltà che Dio mostra in Cristo, nei suoi atti di mansuetudine e di sottomissione, nell'oblazione disinteressata che raggiunge anche l'assurdo e i paradossale e sconvolge la logica del pensare propriamente umano. Queste sono in effetti le condizioni e i preamboli dell'amore e costituiscono la vera risorsa della misericordia e della giustizia di Dio. Pietro è abituato insomma ad una amicizia propriamente umana, ad un amore del tutto limitato e secolare che è lodevole secondo le concezioni terrene, quindi non da disdegnarsi, ma che è ben lungi dalla profondità e dalla consistenza dell'amore divino: non ha insomma compreso che Gesù deve portare a compimento l'opera salvifica del Padre attraverso l'annientamento e lo strazio della croce e non per mezzo delle umane imposizioni. Il Cristo non salva manifestando la propria capacità di irruzione e di sconvolgimento dei piani umani, prende le distanze da tutte le nostre procedure di autodifesa; piuttosto la sua salvezza consiste nell'amore estremo che si realizza in pienezza nell'oblazione crudele del patibolo. La croce è infatti la massima espressione dell'amore perché è il luogo del nostro riscatto. .

E' necessario pertanto che Gesù si rechi a Gerusalemme e che possa distogliersi da questo progetto, fra l'altro impostato dal Padre su di lui, è da attribuirsi ad un'astuta manovra del Maligno, che sfrutta qualsiasi apparenza di bene per farci conseguire quello che in realtà è male. Soprattutto quando siffatte manovre tendano a farci raggirare gli ostacoli anziché prenderli di petto, o a schivare rinunce, impegni e sacrifici: in questi casi il successo del diavolo nei suoi propositi di distruzione è garantito.

Gesù dal canto suo sa benissimo che Gerusalemme è la tappa obbligatoria per la realizzazione effettiva dell'amore salvifico di cui è capace l'umiltà e la sottomissione e per questo non esita a mettersi in viaggio nonostante le obiezioni di Pietro. Si mostra cioè deciso e risoluto e seppure la paura e lo sgomento minacceranno le sue deliberazioni, non esiterà ad affrontare la sofferenza e la morte che diventerà vita per tutti.

In Gesù c'è quel coraggio proprio del vero servizio svolto nell'ottica dell'amore reale e non fittizio, la disposizione a restare saldo nei propositi di bene e a perseverarvi nonostante le sfide e gli imprevisti, perché quando si è davvero sposata una causa e si è davvero convinti di un progetto o di un obiettivo da conseguire, non c'è ostacolo o pericolo che ci distolga mai dal tentare di raggiungerlo. Cosa spinge una madre a dare anche la propria vita per l'incolumità dei propri figli se non il grande amore che prova per loro? Così anche in Gesù l'amore per l'umanità ha la meglio sull'esitazione e sulla paura, anche se questa mostrerà le sue ombre spettrali; in forza dello stesso amore egli mostrerà ogni sorta di intraprendenza e di decisione nel sottomettersi alla volontà del Padre e non si fermerà neppure davanti alla prospettiva della tortura e del dolore fisico il quale quando lacera e squarcia fa preferire subito la morte.

Lo stesso coraggio che caratterizza anche Geremia, nonostante il suo temperamento mite, umile e impacciato per il quale preferirebbe tacere piuttosto che proferire parole che altri non vorrebbero sentire. Il profeta vorrebbe non esprimersi e farebbe di tutto per evitare di parlare nel nome del Signore, ma poi avverte che qualcosa lo incita a farlo e non può trattenersi dal proferire il suo messaggio di provenienza divina. Si tratta del coraggio e della fortezza che gli provengono da Dio, ma anche della convinzione di essere latore di un annuncio di cui egli è consapevole e che ha assunto come proprio. Come ci esorta l'apostolo Paolo, "Dio non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro." (2Tm 1, 7 - 8) e dover procedere verso Gerusalemme nonostante la certezza del martirio, almeno in linea teorica dovrebbe essere messo nel conto da parte di chiunque si professi cristiano. Non si dovrebbe esitare a prendere la parola quando si tratti di difendere le posizioni del Vangelo contro le proposte nefaste del mondo avverso e pagano, né si dovrebbero temere conseguenze quando si è certi di parlare in nome della giustizia e della verità che ci proviene dalla nostra identità cristiana, perché è proprio l'eroismo la caratterizzazione effettiva del cristianesimo, che esclude ogni viltà e tentennamento.

Una delle lacune che parecchie volte si sperimenta è la mancanza di coraggio nella testimonianza della nostra fede, la tendenza a restare nell'isolamento e a non esporci quando si tratti di combattere per i valori e di affrontare rischi di denigrazione e di riprovazione degli avversari. Anche presso nei catechisti e negli operatori pastorali e non di rado nei sacerdoti vi è come una paura a voler mostrare la propria identità o a voler prendere posizione su determinati argomenti. Eppure la nostra missione comporta proprio quel coraggio e quella franchezza apostolica per cui Gesù si avviava a Gerusalemme senza riserve e, come ricordava il Card Borromeo a Don Abbondio, non ci sarebbe neppure garantita l'incolumità e la sicurezza di vita.

In un suo recentissimo libro sulla guerra contro Gesù, Antonio Socci descrive la situazione epocale odierna come una sorta di oscurantismo e di intolleranza "in senso opposto": se in tempi remoti la Chiesa si dava alle inquisizioni e ai roghi di eretici mostrandosi refrattaria verso qualsiasi altra impostazione di pensiero non cattolica, oggigiorno simili atteggiamenti di intransigenza e di intolleranza hanno origine inaspettatamente da parte del mondo laico nei confronti dei cattolici e la Chiesa da vessatoria è divenuta perseguitata, non di rado anche oggetto di persecuzioni fisiche.

Il che non dovrebbe affatto destare meraviglia, visto che il Signore aveva già preventivato che saremmo stati perseguitati e ingiustamente consegnati anche ai tribunali e caratteristica dell'apostolato è appunto il subire percosse e invettive. Proprio la realtà odierna potrebbe esserci di monito a riflettere sul valore della seria testimonianza cristiana che comporta il procedere assieme a Gesù verso Gerusalemme.

 

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