PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Perché pretendere di "dire" Dio?

don Alberto Brignoli  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/08/2011)

Vangelo: Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,13-20

In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Nelle riflessioni di queste domeniche sto un po' lasciando da parte Paolo con i bellissimi brani tratti dalla lettera ai Romani e propostici dalla Liturgia nella seconda lettura. Ma il testo di quest'oggi merita particolare attenzione, anche perché può aiutarci a comprendere meglio il tema generale della Liturgia della Parola di questa domenica.

Partirei da questa frase, molto "ad effetto": "Chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?". Paolo in questo testo sta spiegando, o meglio "cantando", la grandezza della Sapienza di Dio, e lo fa riprendendo quel genere letterario sapienziale così ben rappresentato nella parte finale dell'Antico Testamento dai libri cosiddetti, appunto, "sapienziali". Come già i saggi autori del libro del Siracide e della Sapienza, anche Paolo cerca di entrare nel mistero delle cose di Dio, definendo insondabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie. Il Mistero di Dio, la sua Essenza, la comprensione della sua identità e del suo pensiero non sono realtà accessibili alla limitatezza del pensiero umano.

Per riprendere le parole di Gesù a Pietro a Cesarea di Filippo, carne e sangue non possono rivelarci l'identità di Dio; ossia, alla domanda "Chi è Dio?" è ben difficile poter dare una risposta adeguata con la sola forza della ragione, per quanto essa scopra continuamente la possibilità di porsi delle domande su di lui. Paolo prosegue in questa sua "celebrazione" affermando (per mezzo di domande retoriche e poetiche) che nessuno può vantarsi di aver dato dei consigli a Dio, né tanto meno di aver concesso a lui dei favori tali da dover riceverne qualcosa a contraccambio.

Credo che nessuno abbia qualcosa da ridire rispetto a queste affermazioni, che appiano alquanto scontate. Ma se Paolo le formula, e se il Maestro nel Vangelo le conferma dando carattere divino alla professione di fede di Pietro, probabilmente vuole aiutare la nostra vita di fede a comprendere in pienezza il significato di queste affermazioni, ovvero che Dio non può essere conosciuto a fondo dall'uomo se egli stesso non gli si rivela, e che di conseguenza l'uomo non può certo avanzare delle pretese su Dio.

A livello puramente concettuale, ci sentiamo tutti in grado di sottoscrivere queste affermazioni. Le cose sono un po' diverse quando passiamo al lato "pratico", quello delle scelte pastorali. È un discorso che mi sento di rivolgere primo di tutto a me sacerdote e a coloro che nella Chiesa hanno responsabilità ed incarichi. Ci capita spesso, mi pare, di fare delle scelte, di compiere azioni, ma soprattutto di esprimere giudizi e di fare affermazioni che suonano come sentenze certe ed inequivocabili sulla scorta di una presunta conoscenza del pensiero del Signore che - chissà per quale motivo - riteniamo sia un nostro privilegio conoscere. Fortunatamente, nelle nostre comunità parrocchiali c'è da parte del clero meno autoritarismo che in passato: tuttavia, non è infrequente imbattersi in atteggiamenti fortemente clericali e autoritari (soprattutto da parte del clero, supportato però anche da alcuni laici) che sembrano essere dettati ed affermati "in nome di Dio e della sua volontà", come se noi - appunto - potessimo avere la pretesa di saperne qualcosa in merito.

Si ripropone, qui, il dialogo tra fede e morale, tra professione di fede e comportamenti etici che ritengo uno degli aspetti cruciali dell'essere discepoli di Cristo. Sul nostro "Credo", sugli articoli di fede che professiamo quando ogni domenica nell'Eucaristia rinnoviamo la nostra fede, mi pare che ci sia, nella Chiesa, tutto sommato, una condivisione. Quando si tratta di attuare dei comportamenti corrispondenti al nostro Credo (è il piano della morale, dell'etica, appunto) iniziano a sorgere delle discrepanze, che mi pare originino propriamente da questo preteso autoritarismo per il quale ci si sente depositari non solo della fede, ma anche e soprattutto dei comportamenti morali dei singoli e della comunità. "In nome di Dio e del Vangelo", come si sente anche dire.

Non è una gran bella affermazione, già che "in nome di Dio" sia in passato che nel presente, diversi esponenti religiosi delle più distinte fedi hanno incitato popoli interi alla guerra e alla violenza. "In nome di Dio" si sono conquistati territori liberi e sterminate popolazioni. "In nome di Dio" si è fatta giustizia sommaria condannando alla gogna o al rogo gente ritenuta "fuori dalla piena comunione con la Chiesa". Grazie a Dio, ci troviamo oggi in altri contesti sociali: ma non per questo possiamo dire con certezza che certe mentalità siano state totalmente superate.

Ma proviamo a riprendere in mano il brano di Vangelo di oggi. Il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli ha come tema esclusivamente la fede. Gesù vuole sapere dai suoi discepoli qual è il "Credo" della gente, cosa "crede" la gente di lui; non vuole sapere come si comportano nei suoi confronti o quali scelte di vita fanno sulla scorta del loro rapporto con lui. Il piano morale è da Gesù lasciato a un lato. Ciò che gli importa è l'incontro che l'uomo ha con lui, non i comportamenti che deve attuare per poterlo incontrare.

E la gente comune dimostra di saper coglie in maniera ingenua, elementare, ma molto sincera, su che piano si gioca il rapporto con Gesù: entrare in relazione con lui vuol dire scoprire in lui un grande profeta, un uomo profondamente innamorato di Dio, come lo furono il Battista, Elia, e altri grandi profeti del passato. Un uomo capace di fare incontrare l'umanità con Dio: non certo un uomo che dica quali norme si dovessero rispettare per potersi dire figli di Dio.

Quelle della gente sono dichiarazioni belle e importanti: ma non bastano. Gesù è molto di più. Gesù è il Figlio di Dio, e come tale va riconosciuto. E dal momento che nessuno dei discepoli sarebbe potuto giungere ad affermarlo, ecco l'ispirazione del Padre suggerita al cuore e alle labbra di Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". L'affermazione di Pietro è un'affermazione di fede: e la beatitudine nella quale Gesù lo accoglie viene propriamente da questa scoperta di fede, dall'aver compreso chi è veramente Gesù Cristo.

Le cose vanno bene finché si rimane sul piano della fede. Quando, qualche versetto più avanti, Pietro ha la pretesa di dire a Gesù cosa deve o non deve fare, rimproverandolo perché aveva annunciato il mistero più grande di Dio, ovvero la sua morte e risurrezione, il Maestro lo ricaccerà al suo posto, sul piano della fede, ordinandogli di smetterla di comportarsi da avversario, da satana, perché aveva avuto la pretesa di dire al Maestro, con criteri puramente umani, ciò che doveva o non doveva accadergli.

Quando la fede pretende di determinare non solo i comportamenti degli uomini, ma anche i pensieri e i modi di attuare di Dio, la fede muore. Dio si accetta e si proclama nella fede per ciò che Egli è e per come Egli si rivela. E Gesù Cristo va annunciato agli uomini come Figlio di Dio e come Salvatore. L'unica pretesa che possiamo avanzare nei suoi e nei confronti dei fratelli è che tutti gli uomini possano incontrarlo, scoprirlo, amarlo.

Il resto, sono solo nostre supposizioni, e pretese puramente umane.

 

Ricerca avanzata  (54014 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: