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TESTO Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì

don Romeo Maggioni  

V domenica dopo Pentecoste (Anno A) (17/07/2011)

Vangelo: Lc 9,57-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,57-62

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

La fede come obbedienza. Adamo aveva disobbedito perché non si fidava di Dio. Abramo inizia la serie di chi ormai, con un rapporto personale, obbedisce a Dio con totale fiducia.

Tra gli uomini, Dio chiama tutti, in forme che sa lui inventare, però tutte efficaci a suscitare una risposta libera d'amore. Nasce così il popolo di Dio, la sua famiglia che coltiva con pazienza, per condurla alla piena partecipazione alla sua vita intima in Casa Trinità. Appunto alla "città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso" (Epist.).

1) La fede di Abramo

Dio chiamò Abramo: "Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Allora Abramo partì" (Lett.). Uscire da sé per seguire il Signore. Uscire dai propri progetti, dalle proprie sicurezze umane, dagli stretti orizzonti in cui soffoca la vita per guardare più in là - anche oltre la morte - verso orizzonti che danno respiro di giustizia e di solidarietà al proprio vivere quotidiano, e speranza per un oltre promesso di benedizione. "Ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione; in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". Inizio e modello, Abramo, di quanti rispondono di sì alla chiamata di Dio. Una chiamata che è già nel cuore dell'uomo, fatto a immagine di Dio, con un bisogno e una nostalgia di lui. Chiamata che Dio continuamente rinnova, di fronte a un oblio di lui che sembra una maledizione posta alla radice della nostra libertà ribelle.

"Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava" (Epist.). L'eredità promessa è una patria ben più grande "di quella da cui erano usciti: una patria migliore, cioè a quella celeste". L'eredità è un figlio "impossibile" al calcolo umano, perché "Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso". La fede è credere che Dio vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me. Allora: meglio il suo progetto del mio. Mi fido di lui. "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra" (Mt 6,10). Questa fiducia amorosa è la radice d'ogni obbedienza: "La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio". Questa fede ci fa appartenere a Dio: "Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio" (Epist.).

Una fede che sembra una convenienza perché in fondo sappiamo - l'ha detto Gesù - "il Padre mio è più grande di tutti" (Gv 10,29). Ma Dio è esigente nell'amore, e vuole spremere da Abramo una obbedienza totale, una fede provata. "Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" (Gen 22,2). Dio non vuole la morte del figlio ma il sacrificio radicale del cuore: "Ora so che tu temi e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito" (Gen 22,12). Un Dio che esige così tanto dall'uomo è colui che per primo è stato radicale nel dono di sé sacrificando effettivamente il suo Figlio unigenito per noi: "Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32). Dono per dono, cuore totale per cuore totale.

2) La sequela di Gesù

Si dice di Gesù che, "mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione ("indurì la sua faccia" dice il testo greco) di mettersi in cammino verso Gerusalemme" (Lc 9,51). Questa ‘grinta' il Signore la vuole anche per i suoi discepoli. Anzitutto liberi, leggeri, come una freccia che punta tutta al suo bersaglio, senza remore né ostacoli. "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Povertà e distacco è la base necessaria per una libertà di movimento, ma che più profondamente dice relativizzazione di tutto ciò che non è il tesoro del Regno. "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo" (Mt 13,44). Paolo sarà più sfacciato contro tutta l'idolatria del possedere: "Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato da lui" (Fil 3,8). Si sente vibrare dentro il cuore l'orgoglio di un possesso grande che merita tutta una vita.

"Lascia che i morti seppelliscano i loro morti": altra espressione di una radicalità paradossale; "tu invece va' e annuncia il Regno di Dio". Anche gli affetti e i rapporti più sacri non sono un assoluto. Sta prima il Regno di Dio. L'uomo è fatto per Dio, la sua felicità piena sta nella comunione con Lui; non c'è cosa, persona o amore che lo possa saziare. Guai a chi assolutizza anche il più fortunato amore umano. Alla fine ne rimane deluso. Anche l'amore per i figli, anche l'amore coniugale deve far riferimento a Dio. "Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me" (Mt 10,37). Quante sbagliate tragedie inconsolabili io vedo vivere anche tra coloro che si dicono cristiani...!

Alla fine è necessaria la perseveranza: "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". L'essere cristiani non è una bella esperienza, magari giovanile, magari quando si aveva il buon tempo. E' opzione fondamentale che deve prendere tutta la vita e, come ogni cosa seria, resa dura e purificata dalla prova, come s'è visto per Abramo (lett.). Il cristiano è creatura nuova, e deve tagliare i ponti col passato. Dei primi discepoli si dice che "lasciarono tutto e lo seguirono" (Lc 5,11). "Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39).

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Radicalità per radicalità. Ma anche: generosità per generosità. Cristo non si lascia vincere in generosità per c hi si abbandona a lui: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,29).

 

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