TESTO Come può costui darci la sua carne da mangiare?
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (26/06/2011)
Vangelo: Gv 6,51-58

«51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Prima di iniziare la lunga serie delle domeniche del tempo ordinario, la Liturgia ci offre una sosta per celebrare la Solennità del "Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo". Nel Medio Evo un vasto movimento di devozione popolare ha preceduto l'istituzione della festa del Ss.mo Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore. Ciò che ha condotto il Papa Urbano IV nel 1264 ad istituire ufficialmente una festa che in realtà è una ripetizione del giovedì santo, fu il miracolo di Bolsena che egli stesso era andato a verificare un anno prima. Il sacerdote Pietro, di Praga, pur essendo molto religioso, aveva iniziato ad avere grandi dubbi sulla presenza reale di Cristo nella Eucaristia. Mentre celebrava, cominciarono a cadere dall'ostia delle gocce di sangue che condussero questo sacerdote a ritrovare il senso spirituale dell'Eucaristia, Sacramento del Corpo e del sangue del Signore. L'istituzione di questa festa che solo dopo qualche anno è passata nella vita della Chiesa, nell'intenzione del Papa aveva come scopo di rinnovare la fede del popolo cristiano nell'Eucaristia, arricchendone la comprensione teologica e purificandola da alcuni eccessi devozionali: proprio per questo fu affidata al grande teologo Tommaso d'Aquino la composizione dei testi liturgici. In questo senso la solennità che celebriamo ha un interesse particolare per noi, oggi: anche il nostro tempo è caratterizzato, se osserviamo attentamente, da un groviglio di devozioni, di riflessioni intellettuali molto elevate, di banalizzazioni e di dubbi che riguardano l'Eucaristia. La vita cristiana rischia talvolta di avere un rapporto solo devozionale e anche ambiguo con il Sacramento che crediamo "fonte e vertice della vita della Chiesa".
La Liturgia ci fa leggere in questa festa, un piccolo brano del lungo cap.6 del Vangelo di Giovanni, sul "pane di vita".
"Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Gli esegeti ritengono che in questo discorso, Gesù, facendo ripercorrere ai suoi discepoli l'esperienza del cammino del deserto stia proponendo a loro il passaggio dall'accoglienza della Torah, la Legge di Dio donata al suo popolo, alla fede in Lui come incarnazione della Parola di Dio. Il profeta Ezechiele, narrando la sua vocazione, parla del comando ricevuto da Dio: "Figlio dell'uomo, ascolta e non essere ribelle. Apri la bocca e mangia ciò che io ti do. mangia e poi va' e parla alla casa di Israele" (Ez.2,10 ss.). Adesso Gesù ai suoi discepoli presenta se stesso come Parola di Dio incarnata, da mangiare, e una volta assimilata da portare al mondo. A modo suo, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù come il "compimento", in modo sorprendentemente inatteso, della Legge, come in altro modo fa il Vangelo di Matteo. Non possono non rimanere sconvolti, scandalizzati, i Giudei, ascoltando le parole di Gesù. "Allora i Giudei si misero a discutere aspramente tra loro. Come può costui darci la sua carne da mangiare?" Certamente la reazione dei Giudei, che sanno bene che le parole di Gesù non vanno interpretate in senso materiale, dipende dalla sconvolgente novità con cui Gesù si presenta. La relazione con Dio finora fondata sulla accoglienza e l'osservanza della Legge, se pure secondo l'insegnamento del Deuteronomio (e pure di Ezechiele 3,10) accolta nel cuore, si realizza ora con la relazione personale con Lui, Gesù, il pane vivo: se Gesù è il "pane vivo", l'incontro con Lui che realizza la relazione con Dio, non può non tradursi nel "mangiare di questo pane. "In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita". E così, i versetti 52-59 che la Liturgia ci fa leggere oggi, parlano, nel modo proprio del Vangelo di Giovanni, del sacramento dell'Eucaristia, nel contesto del racconto di un'ultima Cena di Gesù con i discepoli nella quale, a differenza di quanto fanno i sinottici, non è narrata l'istituzione dell'Eucaristia, ma la lavanda dei piedi. Così Giovanni, più che alla memoria rituale dell'Eucaristia, sembra orientare l'attenzione dei discepoli al significato essenziale della dimensione eucaristica della fede.
La novità della relazione con Dio che Gesù offre ai suoi discepoli, non consiste solamente nell'entrare in una comunione intellettuale con Lui, o nell'adesione alle sue idee. Dice Gesù: "Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me, vivrà per me". Solo questo ci fa comprendere a quale comunione Gesù chiama i suoi discepoli: Gesù è l'uomo che vive della vita del Padre, è il Figlio di Dio, è l'uomo nel quale Dio ha preso carne. Ai suoi discepoli Gesù chiede di accettare la vita di Dio che egli vuole donare. Dio comunica la sua vita in una relazione che non è soltanto intellettuale o spirituale, ma in una relazione che implica tutto ciò che costituisce la persona, tutto ciò che costituisce il cuore dell'esistenza, delle relazioni, delle attività più vitali: tutto ciò che è rappresentato dal "mangiare e bere". Quando Giovanni parla della "fede in Gesù" ("credete in me") intende una adesione a Lui con tutto il nostro essere, tutta la nostra esperienza. La fede esprime il desiderio di tutto il nostro corpo, di tutta la nostra esistenza., dei nostri sensi e del nostro spirito. Per questo non sono le nostre parole o le nostre azioni che esprimono la nostra fede in un Dio che dona la vita, la sua vita: è tutto il nostro corpo, il nostro volto, i nostri desideri, la nostra fame e la nostra sete.
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.chi mangia me vivrà per me". Questa esperienza di Dio che si dona così intimamente a noi, fa sì che il nostro corpo ne sia colmato e la nostra vita diventi irradiazione della grazia che ha ricevuto: e noi comunichiamo al mondo la vita ricevuta da Dio. Il mistero della fede che nella concretezza dell'esperienza eucaristica viviamo, ci fa entrare in comunione con la Carne e il Sangue di Cristo, il Figlio di Dio, perché per noi si compia la rigenerazione di tutto il nostro essere: cominciamo a vivere la vita di Dio e, insieme con tutto il creato, liberato dalla corruzione del peccato e della morte, cominciamo a gustare la gloria e lo splendore di un Amore che non ha più termine.