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TESTO Non guardare più il cielo

don Alberto Brignoli  

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Ascensione del Signore (Anno A) (05/06/2011)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Luca negli Atti degli Apostoli ci dice che Gesù dopo la sua passione "si mostra vivo ai suoi discepoli con molte prove": la preoccupazione del Maestro, dopo la Resurrezione, è quella di dare ai suoi discepoli delle "prove" di quella che non era certo stata una cosa tranquilla, pacifica, facilmente comprensibile, ovvero del suo ritorno alla vita. Sappiamo bene quanta incredulità è regnata tra i discepoli nei confronti della Resurrezione: per questo Gesù occupa un periodo di quaranta giorni per far ripercorrere al "nuovo Israele" (la Chiesa, i discepoli) un cammino all'incontro con Dio. È la stessa indicazione numerica del popolo d'Israele nel deserto (40 anni), cosí come dello stesso Gesù all'inizio della sua missione (40 giorni).

Questi nuovi quaranta giorni non sono però vissuti nell'aridità del deserto, ma nella ricchezza della vita nuova generata da Cristo sulla croce. E quando appare loro, Gesù parla ai discepoli del "Regno di Dio". Il Regno di Dio è stato il tema iniziale dell'annuncio di Gesù, e ne è anche il tema conclusivo: ciò significa che lo scopo fondamentale di Gesù è stato quello di instaurare, qui, sulla terra, questo Regno. E l'attesa dei discepoli nei confronti di questo "Regno" è sempre stata grande. La maggior parte di loro aveva confuso l'idea del "Regno" con qualcosa di politico, con la riconquista della libertà del popolo d'Israele perduta a causa dell'invasione di Roma. Gli stessi invasori si erano lasciati persuadere che Gesù fosse un agitatore politico, e con questa condanna l'hanno messo in croce, consegnandolo alla storia, sacra e profana, appunto come il "Re dei Giudei". Nonostante la delusione del Venerdì Santo a Gerusalemme, i discepoli continuano a insistere nelle loro pretese di avere un Regno, fino all'ultimo, come in questo momento: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il Regno di Israele?".

A volte, questa sembra anche la nostra richiesta e la nostra pretesa. Quando diamo uno sguardo a questo mondo, sia quello in cui viviamo sia quello di cui ogni giorno sentiamo parlare attraverso i mezzi di comunicazione sociale, ci viene voglia, spesso, di dire che "Dio dovrebbe mettere mano a ‘sto mondo", che "Dio dovrebbe intervenire", che "Dio dovrebbe essere più efficace nel far capire la propria parola agli uomini", che "la Chiesa dovrebbe essere più Regale, più forte, e non solo Profetica, nel prendere posizione di fronte a certe problematiche", e via dicendo.

Ma i tempi del Regno di Dio non sono i nostri tempi. O meglio, dice il Signore negli Atti degli Apostoli "non spetta a noi conoscere i tempi e i momenti [...] di Dio". A noi invece, con la forza dello Spirito Santo, il compito di essere suoi testimoni fino agli estremi confini della terra. Sono le ultime parole di Gesù, perché poi una nube lo sottrae allo sguardo dei discepoli e nostro.

La nube, nella Bibbia, ha sempre la connotazione di qualcosa d'incomprensibile che avvolge di mistero, soprattutto nelle manifestazioni di Dio all'uomo; è un simbolo per indicare che tra Lui e noi rimane un velo di mistero che solo la Storia di Dio in mezzo a noi, in altre parole il suo Regno, poco a poco è in grado di svelare. La presenza della nube ci indica che il Regno di Dio è già in mezzo a noi, anche se il suo progetto, nella sua globalità, ci rimane ancora incomprensibile.

Ma questa incomprensione, questo mistero, non giustifica affatto la nostra accidia, il nostro mancato impegno, la nostra inattività. Non possiamo dire: "Mentre il Regno di Dio non sia ancora compiuto, io sto a guardare". Anche i discepoli stettero a guardare, mentre Gesù saliva al cielo, e furono rimproverati dagli uomini in bianche vesti, gli stessi che, il mattino di Pasqua, dissero alle donne di non cercare tra i morti Colui che era vivo: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?".

Il cielo...bello come quello terso di queste mattine romane di primavera... Quante volte abbiamo guardato il cielo! Perché? Perché anche noi ci fermiamo spesso e magari indugiamo guardando il cielo?

A volte è la nostalgia delle "cose di lassù", forse perché non ne possiamo più di "quelle di quaggiù"; a volte è proprio l'incapacità di comprendere e di staccare lo sguardo dalla nube del mistero. È così bello, fermarsi a guardare il cielo... invece, stiamo perdendo tempo: quel Gesù "tornerà un giorno nello stesso modo in cui se n'è andato", ovvero se i tempi e i momenti di Dio non possono essere compresi ora, non lo saranno nemmeno quando Dio deciderà di tornare sulla terra, alla fine dei tempi.

Ma intanto, è il nostro tempo: non è più il momento di rimanere imbambolati ad aspettare dal cielo una risposta ai nostri perché. È invece giunto il momento di dire il nostro "sì" al progetto del Regno di Dio. È terminato il tempo di Gesù sulla terra: è iniziato il tempo della Chiesa, quel tempo in cui, forti dello Spirito Santo, abbassato lo sguardo verso la quotidiana realtà di questo mondo, ci voltiamo indietro le maniche e costruiamo quel pezzo del Regno di Dio che ci è stato affidato.

Per fare questo, occorre, come ci dice il Vangelo, "andare in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato"; occorre, cioè, ritornare da capo a quel luogo in cui tutto era iniziato. Bisogna tornare alle origini della nostra fede, al momento in cui Gesù ha posto lo sguardo su di noi e ci ha conquistato, e lo abbiamo seguito. Solo che adesso si fa tutto più difficile, perché c'è stato di mezzo il drammatico momento della croce, in cui tutti lo avevano abbandonato e avevano smesso di credere in lui. Tant'è vero che, il giorno dell'Ascensione, sul monte di Galilea, ancora "essi dubitarono".

E allora entra in campo lui, il Maestro, con la sua infinita misericordia: se questi "dubbiosi" (vi ci mettiamo anche noi?) se ne stanno a distanza, allora è lui che, "avvicinatosi", torna a parlare loro e a fare una nuova proposta. Questa volta, non più il "seguitemi, vi farò pescatori di uomini" delle origini, ma un comando, un compito, una missione: "Andate... fate discepoli... battezzate... insegnate".

È facile da dirsi... ma chi ci può riuscire? Con quali possibilità? Che strumenti abbiamo a disposizione per farlo? Oggi diremmo: "Con quale progetto pastorale"?

Forse questo è un problema solo nostro. Il Maestro, questo problema non l'ha, perché grazie alla sua morte e resurrezione "mi è stato dato" - dice - "ogni potere in cielo e in terra".

È lui, la forza! È lui, la strategia! È lui, il progetto pastorale! È lui, la possibilità!

E oltre a darci se stesso come Via, Verità e Vita, ci ricorda pure che non siamo mai soli: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Questa è la nostra "marcia in più". Non si può più aspettare.

Non ci sono più scuse per stare fermi a guardare il cielo.

 

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