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TESTO Commento su Matteo 11,25-30

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/07/2011)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Mi soffermo sull'Evangelo di Matteo, una delle pagine più suggestive dell'evangelista, un brano che occorre leggere nella sua completezza perché possiede nei sei versetti che lo compongono uno sviluppo coerente.

25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Il protagonista è Gesù che si rivolge al Padre e nel contempo a noi (v.28) stanchi, affaticati e oppressi (forse la traduzione di "oppressi" potrebbe più correttamente essere modificata in "sovraccarichi"). E tutti noi - ciascuno a proprio modo - lo siamo.
Gesù, dunque, si rivolge dapprima al Padre e lo "benedice". La benedizione non è una preghiera, tanto meno una preghiera di intercessione. È qualcosa di più. Chi "benedice", nella tradizione ebraica (nella quale Gesù è a pieno titolo inserito), possiede un'autorità particolare. La benedizione giudaica (berakah) si rivolge infatti sempre a Dio, esprime la riconoscenza, ma anche la meraviglia, nei confronti del Padre di tutti per la sua bontà e la sua provvidenza misericordiosa. La benedizione è cioè una eukharistia, un rendimento di grazie per tutto quanto viene santificato dalla Parola di Dio e dalla preghiera (cf. 1Tm 4,4-5). E che cos'è dunque ciò per cui Gesù rende grazie a Dio? Di aver tenuto nascoste "queste cose" (cioè tutto quanto Gesù andava rivelando del Padre) "ai sapienti e agli intelligenti" e di averle invece rivelate "ai piccoli".
Per Gesù questo è "una meraviglia". Dovrebbe esserlo anche per noi.
Nel suo incessante camminare lungo le strade della Palestina, Gesù incontra tante persone, di tutte le categorie e di tutti i ceti sociali. Persone "fragili" nella fede, malati, storpi, vedove, persone sfruttate, gente che ha perso la speranza. E incontra persone "robuste" nella fede di Israele, persone religiose, guide spirituali, scribi e farisei che della rivelazione sanno proprio tutto. Queste ultime, tuttavia, non sono molto interessate alla sua narrazione di Dio, sono incapaci di cogliere la novità che egli predica, i segni dei tempi che egli indica. Il rapporto di queste persone con Dio è formale. Spesso è un Dio che viene catturato per essere coinvolto nei loro traffici non sempre particolarmente limpidi, puliti. Non capita forse così ancora oggi? La storia a volte è di una monotonia sconcertante, se appena abbiamo la capacità di leggerla con intelligenza.
Mai come oggi la domanda fondamentale che ci dobbiamo porre - senza pregiudizi, ma anche con molta determinazione - è: "Quale Dio?". Qual è il Dio che andiamo cercando, additando, al quale ci rivolgiamo nella preghiera? Qual è il Dio che predichiamo? Qual è il Dio che riconosciamo pubblicamente, che proclamiamo, cioè appunto che "benediciamo"? È il Dio che chiamiamo a testimone dei nostri misfatti, a cui chiediamo di "benedire" i nostri eserciti, le nostre armi., le nostre divise? Con il quale pretendiamo di allearci per schiacciare i deboli e gli oppressi? Oppure è il Dio che incontriamo nel deserto delle nostre esistenze, in quel deserto metropolitano in cui sperimentiamo la solitudine, la crisi di coppia, la sconfitta, spesso la disperazione?
È proprio questo, il Dio di Gesù di Nazareth, il Dio dei poveri, dei deboli, dei peccatori. Il Dio delle persone semplici, sprovviste forse di una cultura ufficiale, ma disponibili a cogliere la novità di vita che Gesù propone. Il Dio degli affaticati e degli oppressi, dei "sovraccaricati" dal dominio, dal peso delle leggi, dal carico delle osservanze, delle prescrizioni e dei divieti. Che spesso valgono solo per loro, mentre i ricchi, i potenti, ne sono esentati. Eppure, in qualunque pagina si apra la rivelazione, la sacra scrittura, campeggia sempre questo Dio, il Dio della misericordia, del cuore umile e povero. Il Dio che perdona sempre, che sta nella distretta con chi non ha più speranza, che pende dalla forca con l'impiccato. È il Dio dei poveri. Non per proporre discriminazioni ed esclusioni, perché è pur vero che Dio è il Dio di tutti, ma è altrettanto vero che solo chi è povero, chi riconosce la propria miseria e la propria fragilità, è in grado di accogliere la buona notizia dell'evangelo, che è la buona notizia della liberazione. Non è che il povero sia "migliore" di altri, dei ricchi, dei potenti, ma non è autosufficiente, la sua stessa condizione di debolezza e di fragilità lo rende capace di aver bisogno di tutti e di tutto, è già sufficientemente svuotato interiormente e può così lasciar entrare Dio con tutta la sua Grazia, e il suo cuore è libero dalle incrostazioni legalistiche che nascondono - proprio come la sovrapposizione di vernici nasconde la nudità essenziale delle colonne e delle pareti di una cattedrale gotica - l'essenza più intima della loro esistenza di fatica.
Per questo dobbiamo impegnarci a vivere una vita povera ed essenziale, aperti nella nostra finitezza a quell'infinito che ci trascende ed al quale possiamo davvero dare il nome di Dio, grati allo Spirito che parla alla nostra coscienza e che ce lo rivela, come ci ricorda Paolo nella sua lettera ai cristiani di Roma: "Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia.E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Che grande speranza oggi ci viene annunciata e che grande lezione per nostre famiglie!
Traccia per la revisione di vita
1) Siamo capaci nella nostra coppia e nella nostra famiglia di allargare i nostri occhi per la meraviglia di fronte a tutto quanto il Padre ha compiuto per noi e che Gesù ci ha rivelato?
2) Accettiamo la nostra povertà, le nostre fragilità di famiglia e ci rivolgiamo al Dio Padre di tutto con cuore umile e povero?
3) Siamo capaci di rispettare le scelte che le coppie e le famiglie con le quali veniamo in contatto compiono in coscienza?

 

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