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TESTO Perché abbiano la vita in abbondanza

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (15/05/2011)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La quarta Domenica del Tempo Pasquale è tradizionalmente dedicata alla figura di Cristo "Buon Pastore", sull'indicazione liturgica della lettura del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, in cui l'Evangelista riporta il discorso di Gesù pronunciato nei pressi dell'atrio del Tempio di Gerusalemme nel contesto della disputa scaturita tra il Maestro e i capi del popolo, successivamente alla guarigione del cieco nato alla piscina di Siloe.

È proprio il contesto in cui Giovanni colloca questo discorso a rendere interessante e a dare una chiave di interpretazione alle parole pronunciate da Gesù con le quali, prima ancora di affermare di essere "il Buon Pastore", definisce se stesso come "la porta delle pecore". Leggere questo discorso di Gesù al di fuori di quel contesto rischia di creare in noi la stessa incomprensione che creò nei suoi uditori che, come dice ancora l'evangelista, "non capirono di che cosa parlava loro" e del perché usasse quella similitudine.

Come sappiamo, Gesù aveva guarito il cieco nato in giorno di sabato, e quello era stato il pretesto cui si aggrappavano i capi giudei per condannare il gesto miracoloso di Gesù, negandone addirittura l'evidenza. Tutto questo rispondeva ad una loro logica perversa: dal momento che essi trovavano le risposte ad ogni questione e il sostegno a ogni loro comportamento, lecito o meno che fosse, in una Legge (quella di Mosè) scritta molti secoli prima e mai più cambiata o rinnovata alla luce dell'esperienza di fede del popolo, tutto ciò che poteva apparire una novità nell'interpretazione e nell'applicazione della Legge veniva visto come un attentato alla fede d'Israele, per cui andava stroncato in ogni forma. Quando ciò li impegolava, come in questo caso, in affermazioni contraddittorie che potevano "minare" la credibilità della loro autorità, giungevano ad assumere atteggiamenti ancor più rigidi nei confronti del popolo a loro sottomesso (della serie: "È così perché è così, e perché lo dico io, e non si discute!"), per cui - sempre secondo la loro logica perversa - non rimaneva loro altra soluzione che "cacciare fuori", espellere (scomunicare, diremmo noi oggi) chiunque non rientrasse nei ranghi dell'ortodossia, o meglio del loro modo di intenderla, dal momento che qui cacciano fuori dalla comunità un uomo che finalmente ha riconosciuto Gesù come il Cristo, il Messia di Dio.

Gesù parte proprio da questo atteggiamento del "cacciare fuori" tipico dei capi del popolo per annunciare se stesso ai suoi uditori come "la porta delle pecore", che apre il recinto, che "spinge fuori tutte le sue pecore" dall'ovile e poi, come vero pastore, cammina davanti ad esse e le guida. È davvero interessante notare che Giovanni usa lo stesso verbo per indicare i capi del popolo che "cacciano fuori" il cieco nato dalla sinagoga e Gesù che "spinge fuori" le pecore dall'ovile: questo a dire che ciò che i capi del popolo attuano come una esclusione dalla comunità, Gesù, grazie all'azione redentrice della Pasqua, lo trasforma in una "liberazione" salvifica, con la quale fa uscire il nuovo popolo di Dio, suo gregge, dalle ristrettezze di una legge fatta di divieti e di obbligazioni e priva di un autentico spirito di appartenenza a Dio e alla comunità dei testimoni della fede.

Ma a supporto di ciò, ci sono particolari ancora più interessanti. Il termine usato da Giovanni per indicare il "recinto" delle pecore da cui Gesù, porta delle pecore, "spinge fuori" il suo popolo, non è un termine usato comunemente nella Bibbia per indicare una stalla. È un termine che si traduce con "atrio": l'atrio del Tempio dal quale Gesù sta parlando, ma pure l'atrio della casa del Sommo Sacerdote dal quale lui esce dopo la condanna del Sinedrio per portare a termine l'opera della redenzione. Una volta aperta la porta di quest' atrio, egli chiama le sue pecore e le "conduce fuori": e Giovanni, mirabilmente, indica questo con lo stesso termine con cui nell'Esodo si indica la fine della schiavitù dell'Egitto e l'uscita verso la Terra Promessa.

Un po' di esegesi biblica ogni tanto non fa male... soprattutto quando ci aiuta a comprendere il vero significato di questo brano. La missione di Gesù nella storia è principalmente quella di un liberatore, venuto a "far uscire" il suo popolo-gregge da una situazione di schiavitù che non è solamente quella del peccato personale, ma quella di una serie di strutture, istituzioni, leggi e comportamenti che invece di aiutare - come dovrebbero - a crescere nella conoscenza e nell'amore di un Dio che dà la vita, a causa della perversa appropriazione del potere da parte di coloro che si rivelano false guide e falsi pastori ("tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti, che vengono per rubare, uccidere e distruggere", dice Gesù in questo brano), portano il popolo ad allontanarsi dal Dio della Vita e a cadere nel baratro dell'oppressione, dello sfruttamento, della sottomissione alla Legge, cose totalmente contrarie allo spirito del Vangelo annunciato da Gesù. Per questo, Gesù è il Buon Pastore: perché egli non è (come alcuni capi del popolo) "un ladro che viene per rubare, uccidere e distruggere". Egli è venuto perché chi entra attraverso di lui, porta delle pecore, sia salvato: "Entrerà, uscirà e troverà pascolo", "perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza".

In questa Domenica, la Chiesa ispirandosi proprio a Gesù Buon Pastore, celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.

Che grazia, se le preghiere elevate a Dio in questa giornata da tutta la terra, ci ottenessero il dono di una Chiesa guidata sempre da pastori che possano essere vere guide, veri liberatori, vere "porte" aperte che permettano alla gente di entrare e uscire dai loro problemi della vita quotidiana verso l'incontro con un Dio che dà la vita e la dà a tutti in abbondanza!

Che grazia grande, se la Chiesa fosse sempre testimone vivente di questo respiro di libertà e di vita che Cristo ha annunciato e che ha affidato alla comunità dei discepoli!

Che grazia impagabile (più di qualsiasi miracolo), quella di poterci avvicinare a uomini di Chiesa che non incutano terrore e timore per l'esercizio indebito della loro autorità, ma che manifestano la loro autorevolezza con atteggiamenti di profonda misericordia, di accompagnamento, di pazienza, di accoglienza, di autentica liberazione!

Questo significa essere "a imitazione di Cristo Buon Pastore", come giustamente, ma spesso un po' troppo poeticamente amiamo definirci noi che abbiamo responsabilità di guida e di governo nella Chiesa: imitare lui, che è venuto (non ci fa per nulla male ricordarcelo ancora una volta) non per comandare, ma "perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza".

 

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