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TESTO Commento su Giovanni 14,23-29

Monastero Domenicano Matris Domini  

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (09/05/2010)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

Lectio
Contesto
Il brano per la VI domenica di Pasqua è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena, che occupa tutto il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. L'inizio di tale discorso è nel capitolo precedente (13,33) di cui abbiamo ascoltato una parte la scorsa domenica, e un suo ampliamento nei capitoli 15-17. Gesù saluta i suoi prima della sua passione, ma indica loro anche ciò che devono fare in attesa del suo ritorno; le sue parole non sono solo per i dodici ma anche per i discepoli di tutti i tempi. Anche questa volta in contesto è importante, ma in parte trascurato dalla scelta della liturgia. Suggeriamo quindi di collocarlo all'interno del capitolo 14 che ha questa struttura:
prima parte: La via per giungere al padre (14,1-14)

seconda parte: La comunione tra Gesù e la sua comunità (14,15-26)
terza parte: la partenza di Gesù e il dono della pace (14,27-31).
23. Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui .
Nel discorso di addio ai discepoli Gesù, annunciando la sua dipartita dal mondo, ossia la sua morte imminente, aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato. Ora invece parla del modo in cui i discepoli potranno continuare a gioire della sua amicizia e della sua presenza in questo periodo di separazione. Il discorso quindi non è più diretto ai discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tutti i tempi. Gesù infatti non usa più il voi, ma parla in modo impersonale: "se qualcuno mi ama...", "chi osserva...". Chiunque, se vuole può divenire discepolo del Figlio e avere parte alla sua vita, entrare in comunione con Lui. C'è una relazione d'amore che unisce il discepolo al Figlio, il Padre e il Figlio al discepolo.
L'iniziativa dell'amore non è del credente - come se grazie alla sua fedeltà potesse provocare in Dio un amore a suo riguardo sino ad allora assente - ma Dio Padre. Dio donando a noi il Figlio unico porta a compimento l'amore che per primo ha manifestato a tutta l'umanità; così tutti potranno avere la vita (3,16). E' un amore di cui le persone sono oggetto sin dalla creazione del mondo.
Il Padre entra in dialogo d'amore con il discepolo se questi per la fede, è divenuto uno con il Figlio. Notiamo che il v. 23 è parallelo ai vv. 15 e 21 e osservare la parola di Gesù equivale ad osservare i comandamenti. L'amore di Gesù si rivela nel praticare la sua parola, che abbraccia l'unità della rivelazione (come abbiamo visto domenica scorsa a proposito del nuovo comandamento).
Se dunque qualcuno ama Gesù e osserva la sua parola, Egli verrà a lui e con Gesù anche il Padre perché essi sono una cosa sola (10,30). La venuta del Padre e del Figlio è definita una dimora.
Questo termine è denso di significati: la dimora per eccellenza era il Tempio di Gerusalemme (vedi Sal 121,1; 131,3-14; Is 6; 60), e prima ancora la tenda (Nm 14,10; Es 26-27) il luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini. Già il re Salomone durante la cerimonia di consacrazione del tempio si chiedeva come fosse possibile che Dio, grande e infinito, potesse ridursi a dimorare in una casa fatta da mani d'uomo (1 Re 8,27). Il dimorare di Dio in mezzo agli uomini era anche una delle promesse più importanti fatte dai profeti (ad es. 37,26-27 e Zc 2,14).
Il Verbo di Dio, attraverso la sua Incarnazione ha compiuto la promessa della presenza di Dio in mezzo agli uomini (1,14), ha posto una dimora definitiva tra noi. Adesso è la volta del credente, che grazie alla sua unità con il Figlio, diventa dimora di Dio. Per Giovanni la dimora di Dio è l'uomo (in primis Gesù e poi tutti gli uomini e le donne; vedi pure Gen 1,26-27).
Il testo ci presenta l'escatologia realizzata tra Dio e gli uomini e ci parla della vita spirituale come di un'esperienza intima e stabile attraverso l'azione dello Spirito (cfr. il v. 26 e Rom 5,5).
24. Chi mi non ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Nel v. 21 Giuda Taddeo aveva chiesto a Gesù: "come è accaduto che tu devi manifestarti a noi e non al mondo?". Gesù risponde solo ora a questa domanda. Il mondo sono coloro che rifiutando la parola dell'Inviato, rifiutano quella del Padre stesso e dunque si escludono da ogni comunicazione ulteriore. La comunità dei discepoli e il mondo si distinguono appunto per la presenza o l'assenza dell'amore, cioè della comunione di vita con il Padre e il Figlio. Ma i discepoli sono mandati a predicare la Parola di Dio, essa sarà sempre proposta al mondo e sempre potrà essere accolta e suscitare nuova vita.
La presenza del Figlio e del Padre è così strettamente legata all'ascolto e all'appropriazione delle parole di Gesù, che sono quelle del Padre.
Con questo versetto formulato al negativo si ribadisce quanto affermato ne, v. 23.
25. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
La parola che il discepolo ascolta e osserva, può essere compresa solo grazie all'intervento del Paraclito, il Consolatore, cioè lo Spirito Santo. E' grazie al Paraclito mandato dal Padre (vedi 14,16) che i discepoli potranno penetrare il senso della Parola di Gesù, appropriarsene esistenzialmente.
Ora che il ministero terreno di Gesù è terminato (v. 25) grazie al Paraclito, le sue parole resteranno nel cuore dei discepoli e essi le comprenderanno appieno, molto più che al tempo in cui le avevano ascoltate.
Questi due versetti rappresentano una chiave per leggere il Vangelo di Giovanni, scritto in base alla profonda comprensione del mistero del Figlio che l'evangelista sa di aver ricevuto dallo Spirito. Si parla qui di due tappe connesse ma diverse dell'economia della salvezza: il tempo di Gesù e quello dello Spirito Santo: il primo porta la verità perché Gesù è la verità (14,6); il tempo dello Spirito la illumina e la fa penetrare nel cuore ei credenti perché lo Spirito è la verità (1Gv 5,6).
L'inizio e la fine dell'annuncio (v. 25: "vi ho detto queste cose"; v. 26: "tutto ciò che io ho detto a voi") mettono in evidenza che Gesù di Nazareth ha parlato e che questa realtà delimita l'attività affidata al Paraclito. Il Paraclito sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù.
Ma anche Gesù è stato inviato dal Padre. Venuto nel nome del Padre, Gesù non ha "parlato da se stesso" (14,10.24), ma secondo l'insegnamento ricevuto dal Padre. A sua volta il Paraclito non trasmetterà una dottrina propria, ma quella di Gesù: lo Spirito aiuterà il credente ad afferrare pienamente la verità detta da Gesù.
Lo Spirito Santo infatti ha due funzioni: insegnare e far ricordare.
Insegnare: nella bibbia questo verbo (didaskein) ha il significato di interpretare autenticamente la Scrittura e di attualizzarla nel presente e nell'avvenire. Nel vangelo di Giovanni c'è però una novità perché il Paraclito introdurrà i credenti nell'intera verità.
Gesù aveva d'altronde ricordato l'annuncio escatologico: "Saranno tutti ammaestrati da Dio"(Gv 6,45 dove si cita Is 54,13, ma si presuppone la conoscenza di Ger 31,33s.). La nuova alleanza non sarà più proposta dal di fuori ma compresa interiormente grazie allo Spirito e questo si realizza con la rivelazione del Figlio.
Lo Spirito Santo "vi insegnerà tutto ciò che vi ho detto io": l'accento è posto sulla totalità di ciò che Gesù ha comunicato agli uomini nel nome del Padre.
Far ricordare: il Paraclito insegnerà questa rivelazione dall'interno delle coscienze, come mostra la precisazione "vi farà ricordare". Nel linguaggio biblico, "ricordarsi" non implica solo riportare alla memoria un fatto del passato, ma comporta una presa di coscienza del suo significato.
Facendo ricordare ai discepoli le parole di Gesù, lo Spirito tiene vivo e sempre attuale l'intero messaggio spirituale di Gesù con una comprensione profonda e intima, in modo che il discepolo colga il significato delle sue parole, fino ad allora rimasto oscuro, e di interpretarle in profondità, alla luce della Pasqua. (vedi Gv 2,21-22 e Gv 12,16).
Il ruolo interpretativo dello Spirito non è solo per il singolo, Egli fa della comunità il luogo in cui la sua rivelazione è sempre di nuovo ricevuta e attualizzata in modo creativo nell'esistenza dei credenti. La parola di Gesù resterà viva nel corso dei secoli nella Chiesa, la comunità dei credenti.
27. Vi lascio la pace, i do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Al termine del suo discorso, Gesù ritorna al momento presente, ai suoi da cui sta per separarsi. Ad essi lascia il dono della sua pace (con una ripresa dell'invito a non temere anticipato all'inizio, 14,1) e insieme ricapitola l'essenziale di ciò che ha annunciato perché essi possano capire e interpretare giustamente la sua morte imminente.
La pace (Shalom) è il saluto abituale tra i Semiti e non è una formula banale: non significa solo assenza di conflitti o la tranquillità dell'anima, ma anche la salute, la prosperità, la felicità piena, i beni messianici (cfr. Gen 43,23; 1Sam 1,17; Mc 5,34; Lc 7,50; At 16,36; 1Gv 15; Gal 6,16; Ef 6,23).
Lasciando i discepoli, Gesù non augura loro la pace, ma la dona loro, come un lascito, come la sua eredità: è la sua pace quella che egli dona. Il Figlio dispone della pace, che, secondo le Scritture, Dio solo può accordare. Promessa a Israele, essa caratterizza i tempi messianici: "Allora fiorirà la giustizia e grande pace fino a che si spenga la luna" (Sal 72,7) e il Messia si chiamerà "Principe della Pace". L'alleanza escatologica è un'"alleanza di pace". L'intero Nuovo Testamento si mostra erede di questa tradizione per sottolineare la riconciliazione del popolo con Dio. Giovanni manifesta, più ancora dei sinottici, che Gesù è il mediatore della pace, ed è in questo senso che il Figlio la qualifica come sua. Questa parola anticipa il dono del Risorto nel giorno di Pasqua (cfr. 20,19.26) e sarà ripresa in 16,33 in un contesto analogo. I verbi sono al presente, sottolineando la realtà attuale e la durata indefinita del dono della pace ai suoi. La pace di Gesù è un dono che viene da Dio, stabile e imminente, è presenza di Dio tra i suoi.
La negazione: "non come la dà il mondo" mantiene il contrasto della distinzione tra i discepoli e il mondo; essa evoca nello stesso tempo la pace illusoria denunciata dai profeti, che la opponevano a quella che viene da Dio, e che Gesù secondo Mt 10,34 (e paralleli) si è rifiutato di portare sulla terra.
Il dono della pace ha come conseguenza nei discepoli la scomparsa di ogni turbamento, non solo di fronte all'imminente separazione da Gesù e alla sua morte, ma anche di fronte al compito che li attende, la missione di portare al mondo intero l'opera del Figlio.
28. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò da voi. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me .
Questo "avete udito" può essere letto anche in forma interrogativa: "avete capito bene?" Il termine greco hypago, (vado) era stato enunciato all'inizio del discorso (13,33) per esprimere la venuta di Gesù presso i suoi (14,18). Ora viene ripetuto per dare unità all'annuncio. La partenza e la nuova venuta di Gesù (nella gloria della resurrezione) sono i due poli di uno stesso avvenimento.
I discepoli, che hanno appena ricevuto la pace, sono esortati anche alla gioia. Essi riceveranno la piena salvezza grazie alla Pasqua di Gesù, alla sua morte, poiché Egli sarà glorificato; il motivo della gioia supera di gran lunga quello della tristezza.
Gesù torna al Padre, e questi è più grande di Lui, non nel senso dell'essere, ma della missione Infatti è il Padre che ha mandato Gesù e la missione del Figlio è quella di far conoscere il Padre e glorificarlo. Il Padre è all'origine di tutto ciò di cui dispone il Figlio e all'origine dell'opera che salva il mondo, poiché la vita eterna viene dal Padre. Il Padre è al tempo stesso il termine dell'itinerario di Gesù e dei credenti.
I discepoli possono gioire nella fede che mostra loro il futuro del piano di Dio, oltre l'evento tragico della morte di Gesù ormai imminente.
29. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Si avvicina il momento della partenza; Gesù mostra la portata dell'annuncio del suo ritorno al Padre. Secondo san Giovanni era necessario che il Cristo dicesse queste cose ai discepoli perché essi potessero capire la passione nel suo senso pieno e non come un tragico fallimento, un tradimento da parte del Padre. Grazie alle parole di Gesù i discepoli sapranno comprendere l'evento, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo. Credere consiste proprio nel riconoscere nel Crocifisso il Vivente, uno con il Padre e fonte di vita per i suoi.
Meditiamo
1) Rileggere il capitolo 14 di Giovanni per cogliere tutte le dimensioni del testo proposto per la VI domenica di Pasqua.
2) Mi sento dimora di Dio Trinità? Come crescere in questa consapevolezza?
3) In quali occasioni ho sperimentato la pace di Gesù, frutto di una fede piena in Lui e nell'amore del Padre?
4) L'azione dello Spirito santo nella mia vita e in quella della mia comunità cristiana. Quando egli insegna e ricorda al mio cuore le parole di Gesù? In quali contesti di vita e di Chiesa?
Preghiamo
Salmo Responsoriale (dal Salmo 66)
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano

tutti i confini della terra.
Colletta
O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore tutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere. Per il nostro Signore...

 

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