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TESTO Voi mi vedrete perché io vivo e voi vivrete

mons. Gianfranco Poma

VI Domenica di Pasqua (Anno A) (29/05/2011)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Continua nella domenica VI di Pasqua la lettura del cap.14 del Vangelo di Giovanni, questo testo splendido nel quale viene delineata la fisionomia della comunità giovannea che vive l'esperienza della fede, trovando con sempre maggiore chiarezza la propria identità in rapporto all'ebraismo dal quale nasce e al grande mondo nel quale si trova immersa. E' normale che una piccola comunità si trovi smarrita di fronte alle difficoltà che sente di dover affrontare, in particolare una comunità chiamata a seguire Colui che ha dato tutto se stesso e che è terminato sulla Croce, una comunità chiamata a vivere una logica di fronte alla quale hanno reagito negativamente i capi del popolo e le autorità religiose. Ma questa piccola comunità trova la sua identità nell'ascolto della Parola del suo Signore: "Non sia turbato il vostro cuore: credete in Dio e credete in me". La fede in Dio libera l'uomo dalla paura radicale che prova nell'esperienza quotidiana della propria fragilità: è un fatto naturale che l'uomo cerchi nell'esperienza religiosa, nelle sue forme più diverse, un rifugio per i propri "turbamenti". Ma proprio qui, all'inizio del discorso, si innesta la novità cristiana, che per il suo coraggio ha "scandalizzato" i capi politici e religiosi: "credete in Dio e credete in me", dice il Signore ai suoi discepoli. "Egli propone un duplice comandamento sulla fede: credere in Dio e credere in Gesù...Non sono due atti separati, ma un unico atto di fede" (Benedetto XVI). La radice dell'identità della comunità cristiana sta dunque nel vivere una esperienza per la quale, con un unico atto di fede entra in relazione con Gesù Cristo risorto e attraverso Lui con Dio: "Io verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi". La concretezza dell'incontro con Cristo, l'adesione alla umanità di Gesù, essere con Lui per vivere pienamente la nostra umanità, per essere con Lui nella vita di Dio, è l'esperienza della fede: le domande di Tommaso, di Filippo e di Giuda, non l'Iscariota, segnano il cammino della comunità che sempre più profondamente entra nella relazione con Cristo, lo vede, lo sperimenta, fino a percepire che in Lui si è resa visibile l'invisibilità di Dio e aderisce a Lui per condividere la sua dimensione filiale. Vivere nella carne, vivere immersi nel mondo la dimensione filiale che Gesù ha vissuto in pienezza è la novità della comunità cristiana: la fede non è alienazione dal mondo per rifugiarsi in Dio ma è rimanere nel mondo, sperimentare la paura, e viverla con la certezza dell'Amore del Padre. La fede è l'adesione a Cristo perché continui nel mondo la sua dimensione filiale. Ancora una volta il Vangelo manifesta la sua concretezza: "chi crede in me anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi". Continua così a precisarsi l'identità della comunità cristiana: la fede è feconda di opere, opere grandi, ancora più grandi di quelle del Signore. Ma perché questo? "Perché io vado al Padre": perché la fede è la partecipazione alla vita del Signore risorto, non è semplicemente il ricordo di un passato e neanche l'osservanza di precetti di un maestro di etica. Per questo chi crede vive della vita del Signore, ha la forza per compiere le sue opere: "Io vado al Padre...Io non vi lascerò orfani..." E' il cuore della esperienza della comunità dei discepoli che credono in Cristo e rimangono in relazione con Lui che ha vissuto nella storia e ora è vivo, risorto: la sua morte è "andare al Padre" per inaugurare una presenza nuova, non più fisica. Essi non sentono più la sua voce; non lo vedono più con i loro occhi ma ne sperimentano la presenza operante in loro come dinamismo nuovo di vita: la fede è la percezione nuova della presenza di Cristo, verificabile nella possibilità nuova di compiere opere prima impossibili.

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti": se prima ha detto che chi crede in Lui compie opere nuove, adesso dice che chi ama Lui osserva i suoi comandamenti. Entrare nell'Amore di Cristo significa essere afferrati da un dinamismo per il quale non solo si osserva la Legge ma si vive il comandamento nuovo di Gesù che è la pienezza dell'Amore: chi gusta l'Amore di Cristo non può che amare. A questo punto appare in pienezza l'identità della comunità cristiana: ciò che i Profeti, sperimentando la fragilità dell'uomo di fronte a Dio avevano preannunciato, adesso si realizza. Riprendendo Geremia (31,31), Ezechiele aveva detto: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò mettere in pratica le mie norme" (Ez.36,26). Se la comunità cristiana vive di Cristo perché credendo in Lui risorto entra nel dinamismo del suo Amore, tutto questo è per il dono del Padre, lo Spirito che realizza in pienezza il progetto di Dio: la identità cristiana è la vita secondo lo Spirito. Con Cristo che muore e risorge, lo Spirito di Dio riempie l'universo: tutto è compiuto. Il Vangelo insiste: occorre conoscere Cristo, entrare in relazione con Lui, vivere con Lui la relazione filiale, l'abbandono nel Padre per accogliere il dono dello Spirito e vivere la vita dei figli di Dio. Lo Spirito è chiamato "altro Paraclito", che significa, secondo la parola greca, che egli "consola, prega, esorta, incoraggia, sta accanto": lo Spirito è il gusto interiore di Cristo, è la certezza sperimentata come dono, della bellezza della vita libera del figlio di Dio, è la gioia della vita del Padre nell'Amore senza limite. E' lo "Spirito della verità" perché dà la certezza interiore della verità di Cristo; perché, interiorizzando la presenza di Dio, dà, a chi ne fa l'esperienza, la percezione del senso vero di tutto ciò che esiste e la forza per vivere la verità di tutto.

Gustando la bellezza del dono dello Spirito, la piccola comunità cristiana entra in orizzonti di vita infiniti: la fiducia e la pace si sostituiscono all'ansia e alla paura. Tra i discepoli di Cristo nascono i legami forti generati dallo Spirito dell'Amore di Cristo, che senza escludere i legami della carne e del sangue, danno ad essi una profondità nuova: tutto è meraviglioso. Il Vangelo, con la sua concretezza, sottolinea che tutto è possibile per chi crede. "Il mondo non mi vedrà": non c'è nel Vangelo un facile irenismo. Ma è bellissima la frase: "voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete": a noi credenti (ma lo siamo davvero?) è fatto il dono di vedere Lui perché Lui è vivo e noi siamo vivi in Lui.

 

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