TESTO Un contratto con Dio
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
V Domenica di Pasqua (Anno A) (22/05/2011)
Vangelo: Gv 14,1-12

«1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».
5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».
Chissà quanti di noi (sarebbe più giusto dire "di voi", perché a noi preti la cosa non riguarda direttamente) nell'arco dell'età lavorativa hanno dovuto affrontare o affronteranno colloqui di lavoro. Ammesso che un margine di possibilità di scelta esista ancora e non si abbia l'incombenza assoluta di dover dire incondizionatamente "sì" a qualsiasi proposta pur di lavorare, credo che chi cerchi un lavoro abbia fondamentalmente le necessità di sentirsi dare risposte convincenti almeno su tre aspetti: dove dovrò lavorare, cosa dovrò fare, quanto mi verrà riconosciuto come stipendio.
È vero che poi ci si adatta a tutto, soprattutto se c'è bisogno di guadagnare, o se il lavoro è di buon livello o gode di una posizione di prestigio, però solitamente si cerca di fare in modo di non allontanarsi troppo da casa, perché un punto di riferimento fisso, un focolare dove sentirci a casa nostra (senza per questo pesare sulle nostre famiglie di origine o passare per dei "bamboccioni") è sicuramente un aspetto importante e che crea serenità, nel momento in cui (soprattutto) bisogna "staccare" la spina dopo una giornata di fatiche lavorative.
Riguardo all'oggetto del lavoro, ovvero sul tipo di attività da svolgere, di certo le cose si fanno più complesse. C'è da una parte chi, pur di guadagnare qualcosa accetta qualsiasi lavoro, ma dall'altra parte c'è pure chi pensa agli sforzi fatti da se stesso e dalla propria famiglia per ottenere un titolo di studio, per cui vorrebbe che l'ambito lavorativo, se non una situazione ottimale, possa almeno essere gratificante perché rispondente alle proprie competenze, alla propria preparazione e ai propri studi. Anche per evitare di fare danni ad altri, nel caso ne fossi incompetente. Sapere che il medico che mi fa una gastroscopia è un laureato in veterinaria potrebbe crearmi una certa apprensione...
E poi c'è il "quibus", cioè ciò cum quibus fiunt omnia, "ciò che serve per fare ogni cosa", almeno materialmente parlando, e senza il quale si può fare poco, ovvero il denaro. È poco cortese, di fronte a una proposta di lavoro, esordire chiedendo qual è l'ammontare dello stipendio, ma verso la fine del colloquio si giunge sempre alla fatidica domanda: "Quanto mi spetta?", magari con un po' di batticuore sperando che non venga proposta una cifra irrisoria. D'altronde, prima di decidere è meglio essere chiari e concreti.
Caso mai, poi, le varie delucidazioni non bastassero, si può sempre chiedere al capo del personale (con cui solitamente avviene il primo contatto) di poter essere ricevuti dal titolare, dal padrone: salvo poi scoprire un po' sorpresi che si tratta, se non della stessa persona, quantomeno di padre e figlio...
Che intenzioni avesse Tommaso, quella sera, l'ultima passata con il Maestro in questa vita terrena, ci è difficile saperlo, quando gli chiese: "Come possiamo conoscere la via, se nemmeno sappiamo il destino del tuo viaggio?". Quel che sappiamo è la risposta a questa sua perenne perplessità, ovvero tre parole pronunciate da Gesù degne del miglior imprenditore, in questo caso non commerciale, industriale o aziendale, bensì del Padrone della Messe e della Vigna, quelle del Regno dei Cieli: "Io sono la Via, la Verità e la Vita".
Perché se vai a lavorare nella Vigna del Regno, è bene che tu sappia dove si trova: si trova là dove conduce la strada che la indica, lungo quella via percorsa da chi, addirittura, con quella via si identifica. E quella strada porta alla croce, prima, e poi alla resurrezione. Se vuoi, quindi, essere assunto a lavorare nella vigna del Regno sappi che dovrai accettare di non essere tu a indicare "dove" lavorerai, perché un Altro lo farà per te. È bene che tu sappia che non puoi decidere di lavorare vicino a casa tua, perché poi, forse, una casa non l'avrai più; perché questa vigna del Regno non ha un luogo fisso, è costantemente "sulla Via", è costantemente una "Via", che sarai chiamato a percorrere spostandoti di tenda in tenda, di precarietà in precarietà, di fragilità in fragilità, di instabilità in instabilità, di debolezza in debolezza. Solo così potranno zittirsi le pretese della tua superbia e manifestarsi la Sua potenza.
E se vai a lavorare come operaio nella sua Messe, è bene che tu sappia che cosa si fa', in quella Messe. È bene che tu sappia sin dall'inizio quale sarà l'oggetto del tuo lavoro, la tua attività: annunciare la Verità. Dire a chiunque tu incontri come stanno le cose, qual è il senso di ciò che facciamo, qual è il motivo del nostro nascere e del nostro morire, e soprattutto del vivere che ci sta in mezzo. E tutto questo senza paura, senza il timore di essere scomodo per la Verità che annuncerai, perché - è fuori di dubbio - a causa di questa Verità detta e vissuta sarai chiamato a subire incomprensioni, insulti, oltraggi, minacce, persecuzioni, forse anche il martirio (è già successo, a molti). Perché è una Verità scomoda: perché a nessun uomo piace sentirsi dire che Dio è Dio e non ce n'è un altro, e che le sue pretese di essere come lui rimarranno sempre e solo pretese. Essere fatti "a sua immagine" ci ha resi, sì, tanto perfetti da essere davvero simili a lui, ma pure tanto limitati da esserne, appunto, sempre e solo l'immagine.
Ma quanto veniamo pagati, per lavorare nella Vigna o nella Messe del Regno? Questo è un padrone molto particolare: non ha né oro né argento da offrire, ma ciò che ha lo dà, e lo dà fino in fondo. Sappi comunque che non è solo Padrone della Messe e della Vigna, ha un bene molto più grande da offrirti. Anzi, i frutti che con il tuo lavoro usciranno dalla Messe e dalla Vigna difficilmente ti sarà concesso il dono di mangiarli. Ma ti verrà offerto un banchetto con il bene più grande che il Padrone possiede: la Vita, quella che dura, quella abbondante.
Ti basta, come contratto? Oppure anche tu, come Filippo, vuoi conoscere e parlare direttamente con il Padrone, senza alcun intermediario, anche qualora si tratti del Figlio? Non c'è alcun problema, questo sia ben chiaro: il Padrone ti è concesso di vederlo e di conoscerlo, anzi, già lo hai visto e lo conosci perché hai conosciuto il Figlio, ed essi sono una cosa sola.
In Cristo, non ci sono la vicenda terrena di Dio da una parte e la sua realtà celeste dall'altra: lui ha portato il Cielo sulla terra, e ha gettato nella terra un seme di Cielo. Vuoi lavorare nella sua Vigna o nella sua Messe? Cielo e terra non possono più essere due cose distinte; Padre e Figlio, neppure.
Fidati, riuscirai a compiere opere grandi.
Dove? Dove ti indicherà la Via.
A fare cosa? Ad annunciare la Verità.
E quanto prenderò? Sarai pagato con abbondanza di Vita.
Allora, firmi il contratto?