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TESTO Commento su Giovanni 20,19-31

Monastero Domenicano Matris Domini  

II Domenica di Pasqua (Anno C) (11/04/2009)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Lectio
Il capitolo 20 del vangelo di Giovanni narra la scoperta della tomba vuota (da parte delle donne e poi di Pietro e Giovanni) e le apparizioni del risorto prima a Maria di Magdala e poi ai dodici.
In tutti i vangeli l'incontro di Gesù risorto con il gruppo degli apostoli è narrato con caratteri propri, che riflettono gli interessi teologici e pastorali degli evangelisti ed è fondamentale per l'avvenire delle loro comunità ecclesiali. Nel vangelo di Giovanni l'incontro di Gesù risorto nel primo giorno della settimana è segnato anche dal dono dello Spirito Santo (Luca lo colloca invece cinquanta giorni dopo la risurrezione); il quarto evangelista precisando la cadenza settimana dell'incontro o manifestazione di Gesù ai suoi ci dice qualcosa di importante per la vita della Chiesa.
Il brano odierno ci presenta prima il mandato ai discepoli da parte del Risorto, che si mostra loro la sera di Pasqua, poi, l'episodio, sette giorni dopo, dell'incredulità di Tommaso, occasione per affermare e alcune verità di fondo sulla fede in Gesù Cristo, valide per i credenti di tutti i tempi.
19. Essendo dunque sera, in quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuse le porte dove erano i discepoli, per timore dei Giudei,
La scena si svolge a Gerusalemme, in un luogo non precisato. La tradizione, senza alcun fondamento lo indica come il Cenacolo, cioè la camera al piano superiore dove i discepoli si erano riuniti prima della Pentecoste (At 1,13) e dove fu istituita l'Eucarestia. Di fatto, il narratore vuole solo dire che erano riuniti in un solo luogo e affermare il carattere ecclesiale dell'apparizione.
Giovanni parla qui di discepoli e non soltanto di Undici. Vuole dire che il mandato di Gesù riguarda tutti i discepoli e non soltanto gli Apostoli? Su questo argomento hanno lungamente dibattuto cattolici e protestanti. Giovanni in altri passi del suo vangelo (cf. 6,66-67) aveva chiaramente distinto tra discepoli e apostoli e quindi avrebbe potuto farlo anche qui. Il discepolo per Giovanni è una figura importante, è colui che aderisce a Gesù, è colui che lo ha seguito nella sua presenza storica in Palestina, ma è anche colui che aderirà a Lui nelle diverse epoche storiche future. C'è quindi un accento più esteso nello spazio e nel tempo della presenza di Cristo e del suo mandato.
I discepoli avevano chiuso le porte per paura dei Giudei: è la paura che caratterizzava fino a quel momento gli Israeliti che non osavano dichiararsi a favore di Gesù. Forse essi avevano già ricevuto l'accusa di aver occultato il cadavere di Gesù. Comunque la loro era una situazione di angoscia, a cui Gesù farà il dono della pace.
venne Gesù e stette nel mezzo e dice loro: «Pace a voi!».
Ma ecco cosa accadde: Gesù venne tra loro. Il verbo "venire" è proprio di Giovanni nel contesto dei racconti pasquali: l'annuncio "verrò di nuovo a voi" che caratterizzava il primo discorso di addio di Gesù (Gv 14,18.28) si realizza. Anche il verbo "stare" (histemi) è molto significativo: evoca la posizione eretta, il trionfo sullo stato del giacere che è invece evocato dalla morte. Il suo derivato anistemi (alzarsi, risorgere) è uno dei termini tradizionali utilizzati per annunciare la risurrezione.
Giovanni non dice che Gesù abbia attraversato le porte chiuse, ma intende dire che Gesù è capace di rendersi presente ai suoi discepoli in ogni circostanza, ed è improvvisamente «in mezzo a loro».
Quel "Pace a voi" non è solo il semplice saluto giudaico, shalom, e non è neppure un augurio. Si tratta del dono effettivo della pace, come Gesù stesso aveva detto «E' la pace, la mia, che io vi do; non ve la do alla maniera del mondo» (Gv 14,27).
20. E detto questo, mostrò loro e le mani e il costato. I discepoli dunque gioirono, vedendo il Signore.
Dopo l'arrivo di Gesù, ecco la fase del riconoscimento: Gesù si fa riconoscere da essi come Colui in cui avevano posto la loro speranza e che è stato crocifisso. Nel racconto di Luca (24,36-43), Gesù mostra le mani e i piedi, rispondendo così al turbamento dei discepoli che si immaginavano di "vedere un fantasma". Egli li invita anche a toccarlo per costatare che è davvero lui, in carne e ossa.
L'insistenza apologetica in Giovanni è scomparsa: il gesto segue immediatamente il dono della pace. Gesù mostra le mani e la ferita del costato, da dove era sgorgato sangue e acqua: egli si presenta ai discepoli come colui che fu crocifisso e da cui è sgorgato il fiume d'acqua viva destinato a irrigare la terra. Egli ricorda la sua morte, ma al tempo stesso l'efficacia salvifica che tale morte ha avuto.
In Giovanni i discepoli riconoscono Gesù immediatamente e senza riserve. Superano il dato sensibile, vedono il Signore nella pienezza della fede. Questo "vedere" compie la promessa di Gesù: «Il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e anche voi vivrete» (Gv 14,19). Il riconoscimento del Signore implica che la relazione con lui è definitiva. Così i discepoli sono inseriti nella gioia indefettibile che Gesù aveva loro annunciato.
21. Disse dunque loro [Gesù] di nuovo:«Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».
Ma l'incontro non si ferma al riconoscimento del Risorto. I racconti di apparizione del Risorto annunciano la missione dei discepoli. Essi vedono il Signore e hanno un'anticipazione della sua gloria, ma al tempo stesso, grazie all'ascolto della parola vengono ricondotti alla missione terrena a cui Egli li ha destinati.
Gesù rinnova per loro il dono della pace, sottolinea così il fatto fondamentale che è iniziato un tempo nuovo. Poi, l'Inviato per eccellenza invia i discepoli. E' la prima volta nel vangelo di Giovanni che Gesù invia esplicitamente i suoi discepoli.
"Per il fatto che" cerca di esprimere al meglio il senso della parola greca kathos, normalmente tradotta con "come". Non pone un semplice confronto tra due atti di invio, ma mostra la forte continuità di un'unica missione, ricevuta dal Padre. La precisazione "nel mondo" in questo testo è sottintesa con il verbo apostello, che esprime l'invio del Figlio, ma è al tempo perfetto, che dà una connotazione di un mandato che ha una durata continua. La missione proviene da Dio che vuole donare la vita al mondo. L'invio dei discepoli implica le stesse cose contenute nell'invio di Gesù: glorificare il Padre facendo conoscere il suo nome e manifestare il suo amore (Gv 17,6.26).
Queste parole del Signore non riguardano i semplici Apostoli, ma tutti i discepoli, quelli presenti alla sua apparizione, ma anche quelli futuri di tutte le epoche e le zone geografiche.
22. E detto questo, alitò (su di loro) e dice loro: «Ricevete lo Spirito Santo.
Questo gesto di Gesù riproduce il gesto primordiale della creazione dell'uomo (Gn 2,7, traduzione greca dei Settanta). Il Creatore aveva alitato nell'uomo un soffio che fa vivere (Sap 15,11). Questo significa che l'uomo esiste soltanto sospeso al soffio di Dio. Il verbo utilizzato da Giovanni (emphysao) è usato solo in Genesi e in Sapienza, quindi l'allusione non permette equivoci. Si tratta di una nuova creazione: Gesù glorificato comunica lo Spirito che fa rinascere l'uomo, concedendogli di condividere la comunione con Dio. Così si compie la profezia di Giovanni Battista: Gesù ha battezzato nello Spirito Santo (Gv 1,32-33), l'attesa si è compiuta nel giorno di Pasqua. Il dono dello Spirito è fatto in vista della missione di cui sono investiti i discepoli, grazie alla quale l'Alleanza realizzata in Gesù si estenderà all'umanità nello spazio e nel tempo.
23. A chi rimetterete i peccati, sono loro rimessi; a chi non li rimetterete, sono ritenuti». [cf. Mt. 18,18]
Compare qui un elemento caratteristico dei racconti di risurrezione degli altri evangelisti e sembra che Giovanni lo abbia ereditato da loro senza averne mai parlato prima all'interno del proprio vangelo. Per comprendere questo versetto è necessario lasciarsi illuminare da Mt 26,28. Il mandato dei discepoli afferma l'abolizione del peccato nel mondo, caratteristica fondamentale dell'Alleanza definitiva, resa possibile dalla fedeltà che Gesù ha avuto verso il Padre. Grazie alla vittoria di Cristo la salvezza divina ha prevalso sulla tenebra e raggiunge ogni persona, attraverso la mediazione dei discepoli. La formulazione in positivo e in negativo proviene dallo stile semitico che esprime la totalità attraverso una coppia di contrari. "Rimettere/trattenere" indica la totalità del potere misericordioso trasmesso dal Risorto ai discepoli.
24. Ora, Tommaso, uno dei dodici, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù.
La notizia della mancanza di Tommaso introduce la seconda parte del brano, la quale porta a termine il cammino di fede richiesto a noi che leggiamo Giovanni. Ognuno di noi è nei panni di Tommaso, anche noi non c'eravamo quando Gesù è apparso ai discepoli, anche noi dobbiamo fondare la nostra fede sulla testimonianza degli apostoli. E' questo il senso della frase finale: "Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto" (Gv 20,29).
25. Gli dicevano dunque gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani l'impronta dei chiodi e (non) metto il mio dito nell'impronta dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
L'elemento principale del dubbio che si trovava soprattutto nel brano di apparizione di Luca, viene qui condensato nella figura dell'apostolo Tommaso. La tradizione ha identificato Tommaso come colui che dubita. Egli invece è il discepolo che non ammettendo la testimonianza della comunità, rimane nella propria convinzione, ma che davanti all'evidenza cede con lealtà.
Con la reazione iniziale di Tommaso, Giovanni mostra lo scetticismo naturale dell'uomo di fronte all'annuncio inaudito della vittoria sulla morte, lo stesso manifestato dagli ateniesi quando sentono Paolo parlare della risurrezione di Cristo (At 17,31-32). Tommaso crede nella risurrezione dei morti, ma vorrebbe verificare se Cristo è già partecipe di questa risurrezione toccando le sue ferite. La dottrina del tempo riguardo la risurrezione dei morti supponeva una continuità sensibile tra i due mondi, quello di prima e quello successivo, pur non escludendo una trasformazione gloriosa.
La costruzione della frase detta da Tommaso è uguale a quella affermata da Gesù in tono di rimprovero in Gv 4,48: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Vi è un contrasto netto tra il comportamento meditativo del discepolo prediletto di Gesù che vide la tomba vuota e le bende lasciate per terra e credette (Gv 20,8).
26. E otto giorni dopo, di nuovo, i suoi discepoli erano dentro (in casa), e Tommaso (era) con loro. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e stette nel mezzo e disse: «Pace a voi!».
Otto giorni dopo, cioè la domenica seguente. Questa affermazione sottintende le assemblee eucaristiche della Chiesa primitiva. Gesù viene nuovamente a porte chiuse e di nuovo formula il suo saluto di pace.
27. Poi dice a Tommaso: «Porta qui il tuo dito e vedi le mie mani, e porta la tua mano e metti(la) nel mio costato, cessa di mostrarti incredulo, ma [mostrati] credente!».
Gesù si rivolge subito a Tommaso negli stessi termini da lui utilizzati, non per ironia né per condiscendenza, ma per mostrare che, nel suo amore, egli conosce che cosa il suo discepolo desiderava fare. Gesù sa leggere nei cuori, si è già visto nell'episodio di Natanaele (Gv 1,7-51), tra l'altro i due episodi hanno diversi punti in comune. I due episodi aprono e chiudono la traiettoria che va dal primo all'ultimo incontro dei discepoli con Gesù.
Tommaso viene dunque preso sul serio. Gesù gli offre di soddisfare la sua esigenza, ma al tempo stesso lo invita a un atteggiamento ben più profondo. L'affermazione di Gesù gioca sulla contrapposizione incredulo/credente. Si tratta di un comportamento momentaneo di Tommaso, che si è mostrato incredulo, non accogliendo la testimonianza dei suoi pari ed esigendo di verificare sensibilmente la realtà del corpo di Gesù. Gesù gli accorda la libertà di compiere il gesto richiesto, ma soprattutto lo invita ad agire da vero credente.
28. Gli rispose Tommaso e disse: «Il mio Signore e il mio Dio!».
Il narratore non sottolinea il fatto che Tommaso di fatto non compia il gesto da lui desiderato. Passa subito a descrivere la reazione immediata del discepolo. Egli entra nel pensiero di Gesù e proclama una confessione di fede assoluta "il mio Signore e il mio Dio". Questa professione, che sottintende il "tu sei" rivela la Cristologia giovannea. Il termine Kyrios (Signore) poteva equivalere a un indirizzo rispettoso, come quello di "rabbi", ma il fatto che sia unito a quello di Theos (Dio) esprime l'evidenza prodotta dalla presenza del risorto: Gesù è unito con Dio, che in lui si è reso vicino. L'invocazione ricorda Osea 2,25: «A Non-mio-popolo dirò: "Tu sei il mio popolo" ed egli risponderà: "Mio Dio"». Insistendo su mio Signore e mio Dio, Tommaso risponde all'alleanza di cui Gesù ha proclamato la realizzazione (20,17 "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro").
29. Gli dice Gesù: «Poiché mi hai visto, hai creduto! Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto».
Queste due parole di Gesù sono centrate sul «credere» e precisano due modi di accesso alla fede, quello di Tommaso e quello dei futuri discepoli. Il primo potrebbe essere compreso come una riserva nei confronti del discepolo: Gesù gli rimprovererebbe di aver avuto bisogno di vedere per credere. Ma il verbo al perfetto suggerisce invece che si tratta di una parola di felicitazione da parte del Vivente che è stato riconosciuto nella fede. Infatti in Giovanni non vi è opposizione tra vedere e credere.
La seconda frase sembra attenuare l'elogio, insinuando quasi che sia preferibile credere senza vedere. In realtà essa non riguarda più Tommaso, ma i discepoli futuri: l'evangelista si rivolge alla comunità già lontana dalle origini. La comunità non deve rimpiangere il fatto di non aver vissuto al tempo di Gesù. Anche se il suo modo di accesso alla fede non è lo stesso, sono beati coloro che nel corso dei tempi avranno creduto senza vedere.
30. Gesù dunque fece davanti ai [suoi] discepoli molti altri segni, che non sono scritti in questo libro.
La vita di Gesù viene qui sintetizzata attraverso il termine di segni. L'obiettivo del suo operare era quello di suscitare la fede. Lo scrittore dice di non averli riportati tutti, non tanto per fare una dichiarazione di limitatezza e quindi di umiltà, ma per affermare che egli ha ritenuto giusto riportarne solo alcuni, quelli essenziali per suscitare la fede nei suoi lettori.
31. Ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate la vita nel suo nome.
Questa frase rappresenta una chiave di interpretazione per il IV vangelo. E' un'affermazione audace: il fine dell'autore corrisponde al fine di Dio stesso: donare la vita eterna ad ogni credente (cf. Gv 3,15). Lo scritto di Giovanni, è tramite tra coloro che hanno visto e coloro che crederanno senza aver visto; esso trasmette l'essenziale perché venga contemplato e accolto il mistero del Figlio. Questa è la prima conclusione del vangelo di Giovanni. Seguirà poi il racconto dell'apparizione sul lago di Tiberiade e un'altra conclusione che autentica il messaggio dell'autore.
Meditatio
1) Che cosa dice questo testo a me, al mio modo di partecipare e vivere le assemblee eucaristiche domenicali? Sono un autentico incontro con il Signore risorto?
2) Raccogliere i rimandi interni al vangelo di Giovanni di questo testo per coglierne appieno il significato per la nostra vita di fede.
3) Il Signore risorto, nei testi evangelici, si mostra ai credenti all'interno della comunità cristiana: cosa significa questo per la mia vita di fede? Per la mia preghiera?
Preghiamo
(Colletta della II domenica di Pasqua)
Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli Apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova. Per Cristo...

 

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