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TESTO Da Gerusalemme ed Emmaus, passando per il Calvario

don Alberto Brignoli  

III Domenica di Pasqua (Anno A) (08/05/2011)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

È veramente bello poter investire tempo, energie fisiche e anche risorse materiali in progetti che attirano la nostra attenzione e il nostro interesse, perché nonostante dietro a questo ci sia spesso un notevole dispendio di forze, tuttavia ci sentiamo talmente realizzati e ci troviamo talmente bene da dimenticare tutte le fatiche, proprio perché quello che facciamo ci appaga, ci stimola, ci dà motivazioni sempre nuove per andare avanti.

Questa gioia nel fare le cose, questo "piacere" che proviamo nel pensare a qualcosa di nuovo e di appassionante per il nostro futuro ben si sposa con il clima gioioso di questo periodo di Pasqua, in cui si celebra e si canta la gioia di vivere e di fare "nuove tutte le cose" in ogni forma e in ogni espressione. E pure nel momento in cui liturgicamente inizia il Tempo Ordinario, si avverte questa "freschezza" delle origini, questo desiderio di costruire qualcosa di significativo in compagnia del Maestro, che chiama i suoi discepoli dalle rive del lago di Galilea a seguirlo fino a Gerusalemme per "liberare Israele". Riuscire a realizzare qualcosa in cui crediamo, e poterlo fare dall'inizio alla fine con piacere e soddisfazione credo sia una delle cose più belle della vita.

Ma tra un inizio pieno di entusiasmo e una fine ricca di soddisfazioni non sempre tutto fila liscio, perché tra l'inizio e la fine c'è di mezzo un cammino, fatto senza dubbio di cose belle ma anche di molte difficoltà e delusioni. Può essere un cammino intenso, nello spazio e nel tempo, come quello che va dalla Galilea a Gerusalemme, passando per la Samaria, sconfinando più volte in territori pagani, per tre lunghi anni; ma può essere pure un cammino breve, di pochi chilometri, come quello che separa Gerusalemme da Emmaus, percorribile in sole tre ore, eppure terribilmente faticoso a causa di un entusiasmo finito sotto i piedi, di uno stato d'animo che ti impedisce di fare e pensare qualsiasi cosa, di un'assoluta mancanza di voglia di vivere che non ti permette di riconoscere nemmeno le persone più care che cercano di starti vicine. Perché è sì un cammino che parte dalla freschezza delle sorgenti della Galilea, ma per arrivare allo splendore primaverile del mattino di Pasqua deve passare attraverso l'oscura notte del Calvario; proprio come la nostra vita, quando tra l'entusiasmo degli inizi e le soddisfazioni della fine ci stanno le sofferenze e le fatiche della quotidianità.

Fortunatamente, qualcuno che si avvicina e cammina con noi condividendo le nostre fatiche c'è sempre. Ed ha il volto di Dio, anche se spesso noi non ce ne accorgiamo, intenti come siamo a piangere sulle nostre miserie, delusi e amareggiati perché in quello che abbiamo progettato ci avevamo creduto, avevamo investito tempo, energie e risorse; dimenticandoci, però, di aprire gli occhi, gli orecchi e il cuore alla Parola del Maestro, perché troppo indaffarati a costruire, fare, sbrigare, realizzare i nostri progetti.

Ci si prospettava dinanzi una vita fatta di successi, grazie anche a un Dio che benediva tutti i nostri progetti e le nostre opere: un Dio che per noi faceva miracoli, un Dio funzionale a tutte le nostre idee e i nostri programmi. Eravamo convintissimi che tutto andasse perfettamente, che un Dio così rappresentasse la nostra salvezza. Finché poi l'hanno preso e fatto fuori, eliminato. E lui si è lasciato tradire, ingannare, eliminare senza opporre alcuna resistenza. Tutto questo ci sconvolge; ma ci sconvolge ancor di più sapere che qualcuno afferma di averlo visto nuovamente in vita e disposto a ricominciare con noi tutto da capo.

Ma noi no, un Dio così con l'abbiamo mai visto. L'abbiamo visto morire e crediamo che non tornerà più a farci visita. Quindi, è bene che i nostri progetti prendano un'altra strada. Preferiremmo non parlarne più, soprattutto quando chi ci sta a fianco ci chiede, da perfetto forestiero, di raccontare, di buttar fuori tutto quello che abbiamo dentro. Non ci va proprio, di raccontarci: e se lo facciamo, è proprio per rispetto a chi cerca di condividere un pezzo di strada con noi, perché ci vede delusi e con il volto triste. Giusto per non essere scortesi.

Macché "scortesi"! Ci sentiamo dire, da chi ci accompagna, che siamo "stolti e lenti di cuore", stupidi e duri di comprendonio, e che se avessimo lasciato aperto il nostro cuore alla Parola di Dio, non avremmo ragionato così: non ci saremmo costruiti l'immagine di un Dio fatto su misura e pronto a benedire i nostri progetti, ma avremmo capito che il nostro Dio è il Dio-fatto-uomo, che ha condiviso tutte le nostre debolezze - morte compresa - e i nostri limiti, peccato escluso. Avremmo pure compreso che di un Dio così non bisogna mai disperare, perché se ci è sempre camminato a fianco nei momenti belli e pieni di entusiasmo, lo farà (e già lo sta facendo) anche quando i momenti sono poco lieti e tutto sembra crollarci addosso.

È solo questione di aprire occhi, orecchi, cuore e mente alla sua Parola; di smetterla di pensare sempre e solo alle nostre cose e ai nostri progetti chiedendo per di più a lui di approvarli e benedirli, come un capello messo in cima a un abito che noi soli ci siamo preoccupati di tessere e cucire senza bisogno del suo aiuto.

Allora assumerà un altro significato anche il cammino della vita. Allora non cammineremo più "col volto triste" parlando continuamente delle nostre paranoie a chiunque incontriamo per la strada. Allora la Parola ascoltata in chiesa non sarà più un supplizio barboso e insopportabile, ma ci farà "ardere il cuore" mentre la ascoltiamo. Allora il Pane spezzato nell'Eucaristia non sarà più un gesto abitudinario, una routine, una cosa scontata di ogni domenica, ma ci aprirà gli occhi ed il cuore e riconosceremo in quel gesto la sua presenza, il suo stare in mezzo noi, il mangiare di Dio con noi.

Un Dio che condivide la nostra mensa, ricca o povera che essa sia: questo è il senso dell'Eucaristia che celebriamo settimanalmente.

Condividere con i fratelli Cristo "Pane spezzato per tutti i popoli" vuol dire "accettare". Accettare che Dio cammini con noi sulle strade della vita; accettare che sia lui a progettare, costruire e realizzare la nostra vita; accettare soprattutto di partire senza indugio ad annunciare, a chi ancora non lo ha scoperto, tutto ciò che lui, Dio della Vita, ha fatto e continua a fare per noi.

 

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