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TESTO Vedere la bellezza del mondo

Marco Pedron  

II Domenica di Quaresima (Anno A) (20/03/2011)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

I vangeli di queste domeniche di quaresima ci proporranno dei vangeli forti e intensi: oggi la Trasfigurazione, domenica prossima la Samaritana, poi il Cieco nato e la resurrezione di Lazzaro.

Prima del vangelo di oggi (16,22-23) Gesù si scontra con Pietro. Gesù dice: "Amici miei, guardate che se vado a Gerusalemme mi uccideranno; i sommi sacerdoti e gli scribi non mi accettano, non sono in grado di accettare la mia novità e il mio messaggio di verità e di libertà". Allora interviene Pietro e protesta: "No, Signore, questo non ti accadrà mai. Tu sei il Messia, noi ti difenderemo; tu sei il Messia, l'eletto di Dio e Dio manderà i suoi eserciti per te".

Pietro e amici non avevano ancora compreso chi era Gesù. Nonostante tutto il tempo vissuto insieme, continuavano a proiettare su di lui le loro immagini di Dio: lo vedevano come un Messia forte, potente, uno che avrebbe sistemato con la forza e le armi le cose con i Romani e avrebbe riportato giustizia ed equità nel paese. Questo era quello che loro vedevano, ma non quello che era Gesù.

Per questo Gesù prende Pietro e i due fratelli Giacomo e Giovanni (17,1) e li porta sul monte. Pietro lo "prende" perché è il fautore di un Gesù Messia politico, Giacomo e Giovanni perché sono pieni di ambizione. Un po' dopo (20,20-28) chiederanno a Gesù di essere i ministri degli esteri e dell'interno nel suo regno, uno a destra e uno a sinistra.

Allora Gesù deve correggere la loro visione perché "vedono" in Lui quello che non è. Se domenica scorsa era stato satana a condurre nel deserto, adesso è Gesù che conduce "satana" sul monte: Pietro, infatti, era stato proprio chiamato così, "satana", da Gesù (16,23).

Pietro, Giacomo e Giovanni, quindi, si aspettavano un Messia trionfante, armato e potente. Ma Gesù non è così. E nonostante tutto quello che Gesù fa e dice, loro continuano a vederlo così.

Cosa succede in cima al monte? Sul monte "vedono" Mosè ed Elia, che secondo la tradizione non erano morti, ma erano stati rapiti in cielo.

Mosè rappresentava la Legge, la Torah: Mosè era stato il grande condottiero del popolo ebreo e lo aveva liberato dalla schiavitù dell'Egitto. Gli apostoli "vedevano" in Gesù il nuovo Mosè. Proiettavano su di lui le loro attese e le loro speranze. Elia, invece, rappresentava i Profeti (dobbiamo ricordarci che l'A.T. veniva chiamato appunto la Legge e i Profeti, Mosè ed Elia) e fu un profeta che fece osservare la legge con grande zelo (quasi violento!).

Il vangelo racconta che Pietro dice a Gesù: "Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia" (17,4).

Per capire cosa accade dobbiamo fare una premessa. Israele conosceva la grande festa delle Capanne: per sette giorni gli ebrei dimoravano in capanne in ricordo della liberazione dell'Egitto (Lv 23,42-43). Osserviamo inoltre che Pietro nel suo discorso ("tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia") colloca al centro non Gesù ma Mosè. Questa era la grande aspettativa sua e degli apostoli: Gesù sarà il nuovo Mosè che libererà con la forza il suo popolo dalla schiavitù dei Romani e dall'ingiustizia religiosa dei farisei.

Ma Mosè ed Elia non si rivolgono ai discepoli; dialogano direttamente con il Cristo. Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, non hanno niente da dire se non attraverso Gesù. Viene abolita l'antica alleanza; tutto ciò che Dio deve dire lo dice attraverso il suo "prediletto figlio, nel quale si è compiaciuto" (17,5), Gesù.

E' per questo che i tre "caddero a terra" e furono presi da grande timore (17,6). Cadere a terra è segno di disfatta (1 Sam 17,49): i discepoli si sentono sconfitti perché i loro sogni di restaurazione, le loro pretese e aspettative vengono deluse e si infrangono.

Sono consapevoli di essersi sbagliati: "Abbiamo creduto che tu fossi qualcosa che non sei" e consapevoli di essere di fronte ad una manifestazione divina hanno paura di morire ("Chi vede Dio faccia a faccia, muore", diceva l'A.T.).

Gesù però si avvicina a loro, li tocca e li rialza (17,7). Fa lo stesso gesto (toccare e rialzare) e dice le stesse parole delle guarigioni ("non abbiate paura"). I tre sono guariti dalla falsa visione che avevano su di Lui.

Adesso lo vedono per quello che è, per quello che veramente è. Infatti, c'è Gesù solo (17,8). Non c'è più né Mosè, né Elia: Gesù è solo; Gesù è solo Gesù. Pietro, Giacomo e Giovanni non proiettano più su Gesù, non vedono più su di lui le loro speranze e le loro aspettative. Finalmente lo possono vedere per quello che è, svestiti delle loro idee e proiezioni su di lui.

La proiezione è questo fenomeno: "Ti metto addosso dei vestiti, delle maschere, dei ruoli, che tu non sei e ti vedo non per quello che sei ma per quello che io ti ho messo addosso".

C'è una donna che "vede" il suo vicino come "un poco di buono". Così ogni figura femminile che entra in casa sua è un'amante. In realtà non è vero, ma lei ha bisogno di vederlo così perché ha bisogno di screditarlo ai suoi occhi e a quelli della gente. Vede cose che non ci sono (e lei le vede veramente)! Possiamo pensare che si senta molto inferiore a lui, che sia gelosa della sua felicità e che lei stessa abbia molti problemi nell'ambito della sessualità, visto che si "vede" fuori ciò che non si può vedere dentro.

La proiezione è così: vede quello che vuol vedere. Poi quando si scopre che l'altro non è così, si rimane delusi: "Non sei come pensavo!". No, non lo è, ma non lo è mai stato. Eri tu che vedevi quello che non c'era. La proiezione ci impedisce di vedere l'altro per quello che è, ci impedisce di amarlo. Lo amiamo, infatti, non per quello che lui è (la realtà), ma per quello che noi vogliamo che sia.

Tu hai la tua idea di capo, amico, prete: ne arriva uno nuovo. Proietti la tua idea su di lui: non è come te, come tu vorresti, come tu pensavi e rimani deluso. Allora dici: "Non mi piaci!", che vuol dire: "Non sei come ti volevo, secondo i miei schemi". E lo rifiuti. Anzi dopo un po' gli dici: "Mi hai deluso". No, non ti ha deluso lui, è che tu ti eri illuso e avevi visto in lui cose che non c'erano ma che volevi vedere.

Quanti matrimoni nascono così! Lei sposa lui perché lo vede forte, vede in lui il suo paladino e colui che le garantisce sicurezza e forza. Ma è quello di cui lei ha bisogno, non quello che è lui. E, infatti, poi lui si rivela come uno che non parla, uno che magari più che forte è violento, uno che non sa essere affettivo. "Non sei più quello di una volta; non sei quello che ho sposato; non eri così prima di sposarci!". Sì, lo è sempre stato è che tu vedevi dell'altro; tu vedevi quello che avevi bisogno di vedere, quello che serviva a te vedere".

C'è una coppia che dice di suo figlio: "E' perché non ce la mette tutta, è perché non si impegna, ma noi sappiamo che lui ci può riuscire. Lo facciamo per il suo bene", e così lo costringono a fare il liceo. In realtà, forse, quella scuola per quel ragazzo è troppo. Ma loro hanno bisogno di vedere che il figlio è "un pozzo di scienza". E, invece, è un bravissimo ragazzo ma non un pozzo di scienza!

Lo stesso vangelo è difficile da vedere senza proiettare, senza "vedere ciò che vogliamo vedere".

Dio non è il forte e non c'è motivo di temerlo: ma per tanti secoli abbiamo proiettato su di lui le nostre immagini di padre e di società. Così ne è nato un Dio da temere, che vuole il sacrificio, l'ubbidienza dei suoi sudditi e che può arrabbiarsi o anche punirti (ti manda all'inferno) se non fai come lui dice.

Dio non è venuto a portare la società cristiana, Dio è venuto ad annunciare il regno di Dio, che è un'altra cosa. Così la società era cristiana perché tutti erano battezzati o frequentavano. Ma il suo regno è la libertà e la verità al centro del nostro cuore e della nostra vita. E' un'altra cosa.

Per lo stesso motivo non abbiamo visto che Gesù era un guaritore. Avevamo bisogno di non vedere questa dimensione e abbiamo fatto dei miracoli il frutto della divinità di Cristo (e non della sua umanità più piena).

Così abbiamo sorvolato sul contatto di Gesù con gli uomini, le donne e i bambini; abbiamo fatto finta di non vedere la sua libertà nelle relazioni maschili e femminili e la sua non grande considerazione del ruolo della famiglia. Così abbiamo bypassato i suoi sentimenti quasi fino a credere che nella sua perfezione non ne avesse: non abbiamo visto (bastava leggere!) un uomo che ha pianto, che si è disperato, che è stato angosciato, che ha avuto paura, che ha vissuto rifiuto, incomprensione, derisione e via dicendo.

Il grande passaggio della vita è poter vedere le cose, le persone e Dio stesso, per quello che sono e non per ciò che noi vogliamo che siano. E' per questo che siamo poi così delusi e diciamo: "Non eri come pensavo!". No, non lo era, ma non lo è mai stato. Sei tu che lo speravi e che lo volevi diverso.

Il grande passaggio e la grande conversione per gli apostoli è stata quella di "perdere Dio", quello dell'A.T., quello che gli era stato insegnato e con cui erano cresciuti, per "vedere" il vero, e nuovo per loro, volto di Dio.

Il vangelo dice che Gesù "fu trasfigurato davanti a loro e che il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce". Cos'avranno visto? Cosa è stata questa esperienza? Come si possono vedere queste cose? Si possono vedere?

La trasfigurazione è vedere cose che non si possono vedere con gli occhi fisici e che si possono vedere solo con il cuore. E siccome molti non hanno gli occhi del cuore, non hanno queste visioni.

Questo vangelo descrive come si appare quando ci si sente in cielo, cioè pieni e posseduti dalla felicità, da una presenza, da un'abitazione, da un amore.

Vi siete mai innamorati? Se vi siete innamorati, se avete perso la testa e fatto cose pazze per qualcuno, se vi è capitato almeno una volta di vedere il mondo come un paradiso e un immenso giardino fiorito perché qualcuno vi ha detto che vi ama, allora potete sperare di capire Gesù e questo brano.

Se non vi siete mai innamorati, lasciati andare, abbandonati alle emozioni del cuore e agli slanci dell'anima, non potrete mai conoscere il vangelo perché Gesù fu così, un innamorato, un passionale, un fuoco che riscaldava, bruciava, infuocava chi lo incontrava.

Ma come fa uno a cambiare d'aspetto? Come fa uno a cambiare il suo volto? Come fa un volto ad essere splendente come il sole e i vestiti candidi come la luce?

Non si possono capire queste cose. E' inutile che tu faccia tutte le alchimie e le supposizioni fisiche e scientifiche per capire come si può trasfigurare un volto o in cosa consiste.

Hai mai visto certi volti dopo l'amore? Hai mai visto certe facce piene di vita, di solarità, di voglia di vivere? Hai mai visto il volto di un bambino cullato nelle braccia di sua madre? Hai mai visto gli occhi di una donna quando vede suo figlio dopo il travaglio e il parto?

Se tu conosci l'amore, se tu sai cosa vuol dire innamorarsi, stupirsi, commuoversi, tu comprendi benissimo cosa vuol dire vedere il sole nel volto della tua amata, la luce negli occhi di tuo figlio, l'immenso nella faccia di tuo marito, le stelle, l'universo e tutti i soli che ci sono, negli occhi di qualcuno che ti vuole bene.

Dio è amore, dice l'evangelista Giovanni. Cioè: solo chi sa aprirsi e vivere l'amore può capire Dio. E tutti quelli che non sanno dischiudere il cuore non potranno che avere il concetto di Dio, ma non sentirlo; e tutti quelli freddi e incapaci di commuoversi non potranno mai sentire quanto sia grande; e tutti quelli che non sanno provare, abbandonarsi e permettersi i sentimenti continueranno a cercare invano.

Vi succede mai di piangere davanti ad un volto, ad un tramonto? Vi sentite mai pieni di gioia, da commuovervi, da piangere, da non poter tenere la gioia delle lacrime?

Quando guardo i ragazzi a scuola o nelle attività parrocchiali e vedo quanto sono belli nel loro cuore, quante ricchezze hanno, quali doti, e poi vedo le loro famiglie, i problemi, le situazioni (e tu sai che in quel terreno sarà difficile crescere, che in quell'altro sarà quasi impossibile, che in quello sarà semplice), io non posso non volergli bene; quando li guardo mi commuovo, sento che vorrei abbracciarli tutti, baciarli e dire loro: "Siete grandi, diventate le bellezza che siete".

Quando ascolto le persone che vengono a parlare e sento le loro storie, le loro ferite, i loro traumi, i loro pianti (e a volte ci sono delle vere tragedie); quando sento cos'hanno passato o vissuto io sono toccato nel profondo e non posso non piangere o commuovermi, perché sento il loro dolore (che rimane loro): lo avverto, lo percepisco.

O quando si vincono delle battaglie, si fanno delle conquiste, si superano delle paure, delle barriere che sembravano insuperabili; o quando succedono delle cose impensabili e meravigliose o quando si aprono degli spiragli inattesi o quando si guarisce fisicamente o nell'anima o ci si trasforma e si diventa belli e splendenti come il sole e si ritrova finalmente la propria vera figura, allora io non posso non piangere dalla felicità, dalla gioia e dalla commozione.

Di fronte alle conquiste di un bambino, alle sue "uscite", ai suoi occhi, di fronte a certe situazioni, a certi momenti, non si può che non stupirsi, meravigliarsi e sentire tutta la forza, la bellezza e l'intensità della vita che ti entra dentro.

Una volta pensavo che commuoversi volesse dire essere deboli. Ma oggi so che vuol dire essere vivi, vuol dire sentire ciò che tu vivi, ciò che gli altri vivono; vuol dire lasciarsi toccare, lasciarsi colpire da ciò che succede, non essere freddi come il ghiaccio o impenetrabili come il marmo.

Sono i momenti di "trasfigurazione"; sono i momenti in cui si afferma con assoluta certezza che vale la pena di vivere, anche solo per questi momenti; sono i momenti in cui ci si sente grati di essere a questo mondo e di aver avuto la grande possibilità di esistere. Sono i momenti che ti danno l'energia, la fiducia, la forza e il coraggio di andare avanti e di affrontare le discese, le croci e le crocifissioni di ogni giorno.

Senza questi sprazzi di gioia, di felicità, di vita, di infinito, di "Dio", che ti permettono di affrontare anche i momenti in cui tutto diventa drammatico, angoscioso, "nero", indegno di vivere o uno schifo.

Ma bisogna permettere alla felicità di entrarci dentro; bisogna lasciare che la vita ci invada, bisogna lasciare che la vita viva in noi, che sussulti, che si muova (e-mozione), che nasca. Altrimenti, immersi nell'oceano, cercheremo l'acqua.

E se tutto questo, qualche volta, non vi succede, è meglio che vi fate curare. Se non vi accade, è meglio che vi chiediate se il vostro cuore vive ancora o se è già morto. Perché lo stupore dice quanto siamo vivi.

Quando ci innamoriamo facciamo esperienza di trasfigurazione.

Cioè: vediamo nell'altra persona delle cose che solo noi vediamo (a dir la verità, a volte può anche succedere che vediamo cose che neppure ci sono!!!).

Quando nel buio di una situazione entra una luce, quando eri perso e ti ritrovi, noi facciamo esperienza di trasfigurazione ("ero perso, ma tu mi hai ridonato la luce").

Quando scopriamo che la nostra vita così piccola e insignificante rispetto al mondo e ai sei miliardi di uomini, ha un senso e uno scopo preciso, noi facciamo esperienza di trasfigurazione.

Quando vediamo, scorgiamo, percepiamo la bellezza di una persona, la forza, la sensibilità, la ricchezza anche se da fuori non si vede, questa è trasfigurazione.

Trasfigurazione è vedere le persone per quello che realmente sono, per quello che realmente sarebbero; è vedere la loro faccia vera, il loro vero volto, la loro figura come è stata creata da Dio, non deformata dai giorni, dalle paure, dal dolore, dalle ansie e dalle angosce della vita.

Se vi capita di piangere di gioia, di sentirvi così felici da toccare il cielo, da poter dire: "Signore sono così felice, che adesso potrei anche morire, perché quanto ho vissuto mi basta, mi riempie"; se vi capita di essere così pieni, così ricchi da sentirvi in cielo, immensi, da chiamare le stelle sorelle, e i pianeti fratelli, da sentirvi caldi come il sole, o profondi come il mare, beh sappiate che questa è trasfigurazione.

Il mondo vi dirà che siete matti, e continuerà ad essere infelice. Ma voi continuate a sentirvi matti; forse vi sentirete un po' diversi, ma sarete davvero tanto, tanto felici.

Il nome Tabor, il monte della trasfigurazione, significa "ombelico".

La vita ci chiama a tagliare tutti i cordoni ombelicali (dipendenze) per poter nascere e vivere ogni giorno.

Se al bambino non fosse tagliato il cordone ombelicale morirebbe: non tagliare certi legami (cioè cambiarli, renderli più liberi o veri, chiuderli, perdonarli, modificarli, trasformarli) ci fa solo morire.

Ma c'è un cordone ombelicale che non si taglia. Il legame con Dio rimane per sempre.

Il Tabor, l'ombelico del mondo, ti dice: "Se sei attaccato qui, legato a me (re-ligione vuol dire ri-legare, essere legati) allora sei al sicuro. Questo legame rimane in eterno, questo cordone è d'acciaio e non si può troncare. E per quanto in basso tu cada o vada, questa corda ti terrà, e tu non ti perderai".

Quand'ero bambino il nonno si calò per pulire un pozzo (non era molto fondo, 4-5 metri, ma ai bambini tutto sembra enorme). Si legò alla vita e lo calarono giù. La mia paura era: "E se la corda si rompe?". E loro mi tranquillizzavano: "Questa corda non si spezza mai".


Pensiero della Settimana
Le tue convinzioni diventano i tuoi pensieri.
I tuoi pensieri diventano le tue parole.
Le tue parole diventano le tue azioni.
Le tue azioni diventano le tue abitudini.
Le tue abitudini diventano i tuoi valori.
I tuoi valori diventano il tuo destino.
Basta una semplice credenza non vera,
basta un vedere ciò che non c'è
per vivere, credendo che sia vita,
una vita che non esiste e di illusione.

 

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