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TESTO Il coraggio e lo sprone dell'obiettivo pregustato

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Quaresima (Anno A) (20/03/2011)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Quando la meta sembra ancora lontana e irraggiungibile, il segreto per vincere lo scoraggiamento e per non lasciarci sorprendere dalla resa e dal demordimento è immaginare l'obiettivo prefissato.

Avere una sorta di prefigurazione, di anticipo o di caparra del traguardo finale per cui stiamo lottando ci sprona infatti a perseverare fiduciosi finché esso non sarà conseguito, perché ci aiuta a considerare il traguardo e ad ignorare gli ostacoli che da esso ci separano. Porre troppa attenzione sulle difficoltà è la radice del fallimento.

Ne siamo consapevoli tutti, come il patriarca Abramo, che accetta di abbandonare la propria terra per raggiungere una meta in realtà a lui sconosciuta, ma che Qualcun altro aveva per lui predisposto. Egli si incammina con fiducia eludendo le rinunce che quel viaggio sta per procurargli, come l'abbandono della patria, della casa che lo aveva sempre accolto, cresciuto e protetto e dei pascoli sicuri per il proprio bestiame. Non pone obiezioni alla proposta che improvvisamente Dio gli rivolge, non replica in alcun modo a quell'insolito quanto imprevisto invito e noncurante dei pericoli e dei rischi che potrebbe comportare quel viaggio senza ritorno, si mette in cammino per una terra sconosciuta, consapevole che, pur non avendola scelta egli stesso, quella è comunque la meta da raggiungere.

Abramo è stato definito emblema della fede, appunto perché tale è la disposizione d'animo che lo motiva a protrarsi oltre i suoi confini. Egli è animato dalla fiducia incondizionata in Dio, per la quale è pronto ad affrontare anche l'imprevisto, ma anche dal conseguente vantaggio di ricompensa che Dio gli pone sotto gli occhi: "Di te farò una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione." E l'aspettativa del bene futuro lo rinsalda e lo rinvigorisce nel cammino. Una vecchia canzone sull'emigrazione di massa dal Meridione diceva: "Senza amore è più dura la fatica, ma la notte è un sogno sempre uguale: avrò una casa per me e per te." La fede in Dio e la fiducia nelle proprie possibilità aiutano a guardare oltre le difficoltà, a non considerare eccessivamente gli ostacoli e a mirare sempre alla meta prefissata; così era per Abramo così non può che essere anche per noi.

Il cammino di Quaresima non è solamente un itinerario liturgico, ma rispecchia per intero la nostra vita di persone in continua propensione verso ideali e obiettivi che sono sempre legittimi e giustificati quando riguardino i buoni propositi. Ancora più esaltanti quando prefiggano un obiettivo di radicale trasformazione in meglio di noi stessi. Il percorso è certamente tortuoso e a tratti anche ostile e refrattario, non di rado le tentazioni alla resa e alla sconfitta ci fanno soccombere e le subdole e allettanti proposte dell'Avversario costituiscono una prova costante, una tentazione seducente alla quale molti cedono volentieri, anche perché sedotti dal suo vantaggio apparente e momentaneo. Il deserto, cioè l'assenza, il vuoto re l'abbandono che la vita spirituale inevitabilmente comportano, sono necessari per conseguire ogni terra promessa. Ma nelle asperità di questo itinerario ci viene in aiuto lo stesso Signore, che ci offre un preludio della ricompensa futura, una prefigurazione della gioia e dell'esultanza gloriosa che racchiude l'obiettivo della Pasqua.

Pietro, Giacomo e Giovanni avevano conosciuto in Gesù più che altro il loro compagno, il loro maestro e confidente, il leader che organizzava il loro lavoro missionaio. Magari lo avevano certamente riconosciuto come il Signore e Messia, tuttavia forse poche volte si erano soffermati su quest'ultimo aspetto della sua vita.

Adesso però avviene qualcosa di straordinario e di inimmaginabile fino a quel momento, per cui essi mostrano una paura insolita mista a gioia e a stupore: si manifesta davanti a loro nella sua gloria piena quale Figlio di Dio, prefigurato dalla Legge (Mosè) e dai Profeti (Elia); la nube, che già altrove nella Scrittura attesta al divino che raggiunge l'umano fino a toccarlo e ad accompagnarlo, discende su di Lui e su quegli "strani" interlocutori e viene esaltata in lui la gloria indefinita e ineffabile che appartiene solo a Dio. In parole povere, i tre discepoli si convincono che il loro maestro non è in realtà il perseguitato e l'umiliato da scribi e farisei che avevano sempre conosciuto nelle loro interazioni con lui, ma che è il Dio della gloria, il Messia di cui avevano parlato i profeti. Adesso lo riconoscono come tale e comprendono la motivazione fondamentale della sua direzione a Gerusalemme, dove egli sarà catturato e messo a morte.

Tale avvenimento infatti ha luogo proprio nei giorni in cui Pietro, Giacomo e Giovanni, assieme agli altri apostoli hanno appreso che il loro maestro è destinato alla crocifissione(Cfr. Mt 17, 21-23), il che non è affatto casuale: se prima Gesù aveva rimproverato Pietro nel suo tentativo di distoglierlo dal raggiungere la capitale giudaica ("Allontanati da me, Satana"), adesso sta mostrando a lui e ai suoi compagni la necessità di tale viaggio e di tale, conseguente, patibolo. Il Maestro che verrà crocifisso è lo stesso che sarà glorificato anche nel suo corpo e che avrà ragione della morte e della malvagità ridicola e ostinata dell'uomo.

E' consolante avere un preludo della gioia quando siamo avvinti dall'amarezza della lotta. Ci sentiamo spronati, incoraggiati e motivati a non dar peso alle possibili sconfitte e a considerare ogni giorno la sola possibilità della vittoria. E questo incute ottimismo, rincuora l'animo e ravviva lo spirito affinché nulla possa distoglierci dal traguardo che ci siamo prefissi. Senza omettere tuttavia che non c'è meta o obiettivo che si disorienti da Cristo e che anzi è lui stesso il nostro obiettivo ultimo.

 

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