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TESTO Speranze ed angosce

don Daniele Muraro  

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/02/2011)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Il malvagio a cui non opporsi, ossia a cui non resistere rifiutando i suoi medesimi violenti sistemi di competizione è l'uomo che pensa in maniera materiale, egoistica ed entro gli orizzonti finiti di questo mondo. Le sue rivendicazioni possono essere di ostacolo ad un sano esercizio della vita cristiana, almeno finché ci si mette in concorrenza con esse e non si rende testimonianza della novità del Vangelo che è dono gratuito.

Esiste però anche un altro ostacolo che ogni cristiano sperimenta, interiore, ed è la preoccupazione intesa come affanno intorno alle condizioni di sussistenza. Si tratta di una tentazione che, finché non la si supera, impedisce di accogliere in piena libertà il mandato del Signore e di attuarlo in perfetta fedeltà.

Sappiamo come molti contemporanei hanno fatto della manutenzione della propria vita l'unica occupazione per loro importante. Ne consegue dentro la società una mediocrità monotona che ha il pregio di non esaltarsi ai richiami degli entusiasmi passeggeri, ma che toglie slancio all'intrapresa di tutto ciò che è nobile e merita lode.

Ogni condotta del genere prima o poi cade nel fossato che cerca in tutti i modi di evitare, ossia con affanno precipita nell'angoscia. Di un futuro senza speranze di appagamento, entro i confini materiali della ripetizione, è inesorabile si tema l'insufficienza e gli sforzi profusi a rimedio ricadono invariabilmente sotto la censura di manchevolezza.

A questa minaccia il buon senso risponde consigliando la mente di tenere a una certa distanza i pensieri preoccupanti. In ogni caso la tentazione di una vita frenetica si vince non ignorando i problemi, che sempre troveranno il modo di riaffacciarsi, ma alzando di livello la sfida, cioè trovando di meglio su cui applicarsi.

Si tratta di investire le proprie forze in una ricerca più grande e senza delusioni, qual è la scoperta e l'adesione al Regno di Dio. Esso misteriosamente è già presente nella storia sociale e personale anticipato nella concreta vita della Chiesa. La giustizia congiunta all'affermarsi del tale Regno comporta che a tutti venga fatto spazio per la reciproca messa a frutto delle qualità di ciascuno. È questo l'ideale cristiano.

Il Regno di Dio ha una giustizia, cioè un giusto modo di organizzare la società che, dopo essere stata promulgata dal Signore, attende di essere fatta conoscere e resa efficace nel mondo, senza inutili attese ed esitazioni.

Dunque la fiducia nella Provvidenza di Dio per un cristiano, soprattutto se laico, non si risolve in una fuga dalle responsabilità, ma è capace di ispirare un modo nuovo di accostarsi ai problemi quotidiani. Ai nostri giorni poi la testimonianza nel mondo dei valori cristiani è diventata molto impegnativa, ma tanto più necessaria.

Il laico è colui per il quale il mondo ha una sua consistenza, di cui egli non può non tenerne conto. Gesù non invita nessuno nella sua Chiesa ad ignorare la realtà, anzi vuole che tutti allarghino lo sguardo fino ad abbracciarla interamente. Allora anche coloro che non hanno fatto professione di vita religiosa non potranno non riconoscere in questo mondo il Regno di Dio fin da ora all'opera.

Se per molti settori della vita umana, l'autonomia da una visione di fede si è assai accresciuta, talora anche con un certo distacco dall'ordine etico e religioso e con grave pericolo della vita cristiana, come dice il Concilio, questa non può essere una scusa per praticare una doppia appartenenza rigidamente separata.

Ogni cristiano ha il dovere di denunciare che lo sforzo di espellere Dio dal concreto sviluppo della comunità umana è insensato e alla fine dannoso per chi lo propugna.

A differenza dei monaci contemplativi è proprio dei laici il darsi da fare, ma tale attivismo non può diventare fine a se stesso. Una regola di prudenza da non tralasciare nemmeno da parte del cristiano più coinvolto nelle vicende del mondo è questa: come non si può accontentare completamente il corpo senza danneggiare l'anima, non si può soddisfare completamente la tendenza verso il mondo, senza rovinare la propria appartenenza ecclesiale.

Sappiamo che il documento del Concilio Vaticano II sul mondo contemporaneo prende il nome dalle prime parole "Gaudium et Spes", ossia le gioie e le speranze degli uomini d'oggi dichiarate condivise dai discepoli di Cristo. Nella prima stesura il documento iniziava con le parole "Luctus et Angor", cioè le tristezze e le angosce, ancora presenti, ma nominate per seconde.

"Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore."

Sbaglierebbe chi ritenesse tale rovesciamento di posizione un appoggio all'ingenuo ottimismo in voga in quegli anni '60 di grandi sommovimenti. L'intenzione profonda del testo la si comprende meglio nel senso indicato da Gesù nel Vangelo di oggi.

Si può stare contenti ed essere fiduciosi, perché Dio si interessa della salute dei suoi figli e si prende cura di loro; è nel presente vissuto responsabilmente e con amore, e non in un futuro mai raggiunto, che si decide la riuscita della propria vita.

Il cristiano rinuncia ad aderire alla mentalità di questo mondo, ma continua ad essere coinvolto nelle sue vicende, anzi ne approfondisce l'appartenenza, e si interessa di come vanno le cose non solo per necessità, ma per scelta, non più in maniera da approfittare delle circostanze, ma in modo da renderle buone convertendole.

 

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