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TESTO Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre

Ileana Mortari - rito romano  

IX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/03/2011)

Vangelo: Mt 7,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 21Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. 23Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.

24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

Siamo al termine del Discorso della Montagna matteano. L'evangelista tira le fila e mostra chiaramente come la proposta evangelica non vada assolutamente ridotta a un insieme di belle parole, ma necessiti di una coerente applicazione nella vita.

vv.21-22 "Signore, Signore (Kyrie, Kyrie, nell'originale greco)" è la formula, probabilmente di uso liturgico (cfr. il nostro Kyrie eleison), con cui la Chiesa primitiva esprimeva la sua professione e la sua fede nel Cristo glorificato. Matteo mette in guardia dal farne un motivo di sicurezza, un titolo di garanzia. Non si appartiene al Signore né si entra nel suo Regno, se ci si limita ad un culto esteriore; quanti cristiani, a tutt'oggi, si ritengono "a posto" perché hanno partecipato alla Messa della domenica?

Nel giorno del giudizio Gesù non riconoscerà costoro, respingerà da sé tutti quelli che rientrano nella categoria da Lui definita: "voi che operate l'iniquità!". "Iniquità" traduce il greco "anomìa", composto da "a" (alpha privativa) e "nomos", cioè "senza la legge", o, che è lo stesso, "contrario alla legge"; e la legge rivelata nel Discorso della Montagna, in Mt.7,12 (la famosa "regola d'oro"), è: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti". E' la legge dell'amore del prossimo, che va assolutamente e sempre osservata se non si vuole essere "operatori di iniquità-anomia". E proprio questo è "fare la volontà del Padre che è nei cieli." (v.21 b)

Così, al termine della pericope, l'espressione "queste mie parole" (v.24) non si riferisce solo alle ultime frasi pronunciate da Gesù, ma all'intero bellissimo Discorso della Montagna, in cui Matteo ha in pratica condensato tutto l'insegnamento di Gesù: il tema centrale è la "giustizia superiore" a quella di scribi e farisei, giustizia che sarà la carta di riconoscimento dei cittadini del Regno di Dio.

L'interpretazione della Torah va ora nella linea della spiritualizzazione e interiorizzazione della Legge stessa: Gesù radicalizza il significato dei precetti, cioè vuole che la nostra coscienza ne colga il senso più profondo, il valore essenziale, senza che ci limitiamo ad un'osservanza esteriore e superficiale.

Così ad esempio il 5° comandamento non riguarda solo l'omicida vero e proprio, ma anche colui che, con la collera interiore, la calunnia e l'ingiuria, l'offesa e la diffamazione, vorrebbe dentro di sè "togliere di mezzo" una persona che lo infastidisce.

In sostanza, nel "Discorso della Montagna" abbiamo una sorta di "Magna Charta", una "carta costituzionale", una sintesi di quello che devono essere il cristiano e la Chiesa.

Non è certo facile metterlo in pratica! Esso appare di primo acchito come una meravigliosa utopia, ma appunto un'utopia! Come può un comune mortale amare i nemici, perdonare le offese, non giudicare, non preoccuparsi per le necessità materiali, etc.?

Umanamente sembra impossibile. Ma Gesù per primo ha messo in pratica tutto ciò, dimostrando in concreto che, se è vero che porgere l'altra guancia, non richiedere la restituzione del proprio, perdonare indiscriminatamente.... è terribilmente difficile, è altrettanto vero che l'unico modo efficace per fermare la violenza è svuotarla dall'interno, eliminando ogni appiglio di rivalsa per l'avversario.

E come ha fatto Gesù ad attuare il Discorso? come potremo farlo anche noi? Il Vangelo ci indica una strada assolutamente nuova: sostituire al principio del "dare e avere" comunemente praticato, quello di una solidarietà disinteressata, di un amore fedele, gratuito e creativo, sempre disposto a concedere credito e fiducia e a sperare che l'altro (il "nemico"!) prima o poi si renda conto del suo errore e giunga a convertirsi.

Gesù ci chiede questo perché è solo un comportamento di tal genere che può rendere visibile l'amore di Dio invisibile; e soprattutto ci dona una reale possibilità di amare in questo modo, perché, se siamo in comunione con Lui, partecipiamo della realtà profonda dell'amore stesso di Dio, Padre misericordioso.

Mettere in pratica tutte queste parole è il comportamento proprio dell' "uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia." (v.24). Qual è il senso di questa bella metafora?

In genere costruire la propria abitazione simboleggia i nostri progetti più importanti (non si dice "costruire la propria vita"?) e qui Gesù invita a costruire sulla roccia.

Alle orecchie dei suoi ascoltatori, cui erano familiari le Scritture del Primo Testamento, questa parola "roccia" non era solo il 1° termine di un paragone, ma una designazione che evocava immediatamente Jahvè e la sua Parola:

"Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio..." (Salmo 17/18, vv.2-3)

"A te grido, Signore, mia roccia...." (Salmo 27/28, v.1)

"...Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Poiché mia rupe e mia fortezza tu sei..." (Salmo 30/31, vv.3-4; è il salmo responsoriale della liturgia odierna)

"Rupe di Israele" divenne perfino un titolo divino, per indicare in Dio la fonte della nostra fiducia e della nostra speranza.

La casa costruita sulla roccia è l'ascolto delle parole del Signore che diviene prassi: la casa è l'ascolto e la roccia è la prassi; la prassi poi consiste nel fare la volontà di Dio vivendo in concreto l'amore del prossimo, in un cammino segnato da creatività, discernimento e intelligenza, le quali rivelano "l'uomo veramente saggio" (cfr. v.24).

Del resto solo l'amore si iscrive nella dimensione dell'eterno, pure simboleggiato dalla roccia. Infatti, di tutto quello che nel corso degli anni avremo desiderato, inseguito, realizzato, posseduto, è certo che, se pure il più si dissolverà, nessun atto d'amore, anche se piccolo e nascosto, andrà perduto.

 

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