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TESTO Del domani non v'è certezza

don Alberto Brignoli  

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VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/02/2011)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 6,24-34

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Piace a tutti, ogni tanto, essere "essenziali". Ossia, fare discorsi del tipo: "Non voglio essere assillato per come devo vestirmi, se sono invitato a una festa"; "Cosa mi importa di cosa cucino oggi? Anche se mangio qualcosa di meno, non muore nessuno"; "Perché la gente guarda all'estetica esteriore, quando farebbe meglio a pensare alle cose che contano?"; "Fidiamoci un po' della Provvidenza e non diventiamo matti per le cose che non abbiamo!"; e via dicendo. Sono discorsi belli, e anche molto evangelici, perché sembrano rispecchiare quello che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi.

Ma io oggi, con il dovuto rispetto, avrei qualcosa da rimproverare a Gesù. Sì, perché questi discorsi, molto suggestivi e molto veri, sono facili da comprendere e da fare per noi che sappiamo bene di poterli fare perché, in fondo, non ci manca nulla, anzi, abbiamo troppo, e proprio per il fatto che abbiamo troppo, un po' di ritorno all'essenzialità e alle cose che contano non ci fa certo male.

Quello che mi permetto di rimproverare al Maestro è che questi discorsi non sono discorsi per tutti.

Come posso dire "Non preoccupatevi di ciò che mangerete" alle famiglie della zona tropicale di Cochabamba - la città che in questi giorni mi ospita - che hanno perso tutto (casa, raccolto, bestiame, piccoli risparmi custoditi in casa) a motivo delle violente piogge e delle inondazioni provocate in questi giorni da fiumi ingrossatisi al punto da cancellare strade e interi villaggi?

Come posso dire "Non preoccupatevi per il vestito" a quei tanti mendicanti, ragazzi di strada, anziani abbandonati, che circolano intorno ai cassonetti dell'immondizia della "Cancha" (l'enorme mercato cittadino) per vedere se riescono a tirare fuori anche solo un pezzo di stoffa unto e maleodorante per difendersi dal freddo della notte, solitamente passata all'addiaccio, ricoperti solo di qualche cartone?

Come posso dire "Non preoccupatevi per il vostro corpo" a tutte quelle persone di etnia indigena (specialmente ragazze) che per trovare qualsiasi tipo di lavoro dignitoso in città devono presentarsi in modo "accettabile" dal datore di lavoro cercando di nascondere le macchie scure della pelle bruciata dal sole del lavoro nei campi, di schiarire il colore stesso della pelle con un trucco quasi "ridicolo" volto comunque a nascondere tratti somatici poco gradevoli ai "bianchi" e ai "meticci" che comandano in città, o di apparire carine - anche se non lo sono - pur di salire su un aereo che le porti a cercarsi migliori condizioni di vita fuori dal paese?

Siamo così sicuri che "valgono più degli uccelli del cielo", quando per un bellissimo pappagallo esotico si pagano oltre 300 euro e lo stipendio medio di una domestica "del campo" in una casa di signori di città arriva a malapena a 60 euro al mese per un lavoro senza orario e senza riposo, e molto spesso non ha nemmeno rispetto del suo corpo e della suo integrità e dignità di donna?

Mi vien voglia di dire che certi discorsi "evangelici", "pauperistici" ed "essenzialisti" vanno fatti da un'altra parte, ma - per cortesia - non a Cochabamba, o a La Paz, o a Quito, a Lima, in qualsiasi altra grande città del Sudamerica e in generale del Sud del Mondo! È facile parlare di "ritorno alla povertà" quando non la si vive; è facile affidarsi alla Provvidenza quando si ha la certezza che la Provvidenza gira dalla nostra parte. Ma per moltissima gente al mondo non è così. Il povero non riesce, e nemmeno è chiamato, a vivere la povertà come un valore o la sobrietà come una manifestazione dello spirito.

Allora, a chi è diretto questo brano di Vangelo, che senz'altro porta con sé messaggi di profondo valore per ogni uomo? Cosa dice questo Vangelo a tutti coloro che poveri lo sono davvero, e che ogni giorno sono obbligati a preoccuparsi per il cibo, il corpo, il vestito?

Credo che una chiave di interpretazione possa essere individuata nell'ultima frase del testo di oggi: "A ciascun giorno basta la sua pena". Ogni giorno ha i suoi affanni quotidiani, e tra questi ci sono pure quelli del pane, del vestito, di un lavoro onesto, di una vita degna di essere chiamata tale. E questo il povero lo sa bene, perché (a differenza di chi accumula ricchezze e si sente autorizzato a fare a meno di Dio) ogni giorno le sue domande sono domande reali, esistenziali, piene della ricerca di un senso: un senso che può trovare nell'abbandono fiducioso in chi, oggi, gli assicurerà da vivere.
Del domani, invece, non vi è alcuna certezza.

Ciò di cui ogni uomo, ricco o povero, ha bisogno per il suo vivere quotidiano, il povero lo ha già compreso proprio perché povero e necessitato di tutto. Il ricco invece ha risolto da sé il problema dell'oggi, e si proietta già verso il domani.

Un domani di cui non vi è alcuna certezza, perciò è assolutamente inutile e pure controproducente preoccuparsi.

Se poi la fede ci dice che Dio sta dietro tutto il nostro agire, tutto quanto dovrebbe essere vissuto con assoluta serenità. Noto questo nella gente boliviana più semplice che incontro in questi giorni. L'espressione "Qué vamos a hacer?", "Che ci possiamo fare?", presente sulla bocca di molti di fronte all'impossibilità a muoversi e ad attuare, a volte per le persistenti e innumerevoli proteste che bloccano le vie di comunicazione del paese, a volte per le condizioni climatiche che mettono in ginocchio anche la popolazione più tenace, non è solo la dichiarazione rassegnata di un'impossibilità a dare una svolta al proprio futuro, ma la presa di coscienza che il futuro non è nelle mani dell'uomo, il quale fa fatica già a vivere il presente. Poche sono le certezze dell'uomo, ricco o povero che sia, e una di queste è il presente con le sue pene quotidiane.

Del domani non v'è certezza: e se il ricco pensa di potervi trovare qualche certezza basata sulle proprie forze, e per questo priva di consistenza, il povero (quello vero) affida questa certezza a un Dio che è Padre, che nutre gli uccelli del cielo e veste l'erba del campo (realtà effimere che durano solo il tempo dell'oggi) e che a maggior ragione si prende cura di chi, come l'uomo, deve andare oltre l'oggi.

Ma Dio è anche Madre, come dice Isaia, e se è impossibile pensare ad una madre che non si commuova per il figlio delle sue viscere, ancor meno possibile è pensare a un Dio che si dimentichi dell'uomo.

L'oggi dell'uomo ha come unica certezza le pene e gli affanni quotidiani.

Del suo domani non v'è certezza: ma del domani di Dio, per chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia, assolutamente sì.

 

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