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TESTO Commento su Matteo 17,1-9

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II Domenica di Quaresima (Anno A) (20/03/2011)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Leggendo l'Evangelo di questa seconda domenica di Quaresima (Mt 17,1-9), conosciuto come il Vangelo della Trasfigurazione, possono emergere varie considerazioni, pur partendo da prospettive tra loro differenti, ancorché complementari.

In una prospettiva teologica, si potrebbe rilevare che Matteo (il quale, non va dimenticato, appartiene alla comunità ebraico - cristiana: insomma, è - e resta - un "buon" ebreo pur evangelizzando il messaggio di Gesù) propone un parallelo tutt'altro che azzardato tra Mosè e Gesù. Gesù, per Matteo, è "il nuovo Mosè". Ci sono d'altra parte nel racconto matteano alcune singolari analogie: Mosè è il liberatore del popolo ebraico, colui che ha accompagnato gli Ebrei esuli dall'Egitto verso la salvezza; Gesù è il liberatore dell'umanità intera che diventa così il popolo dei salvati, accettando nei vari modi e nel mistero racchiuso nella coscienza di ognuno, il messaggio del Maestro. Per compiere quest'opera di liberazione / salvezza entrambi accompagnano il loro popolo attraverso un esodo, un tempo - che è quello della storia, ma per ognuno di noi il kairòs, il tempo opportuno - al quale per la verità noi che pomposamente ci definiamo cristiani non siamo sempre particolarmente attenti. Mosè sale sul Monte Sinài per ricevere da Dio le tavole della legge; Gesù sale sul monte (nella versione di Matteo) per dettare la sua nuova legge (che innova, pur non cancellandola, la legge mosaica): la legge delle "Beatitudini" la cui osservanza ci rende "felici" (beati...) e liberi, cioè "salvi". Tante analogie, dunque, ma anche grandi novità.

Per cogliere in qualche modo queste novità mi avvarrò di due ricordi autobiografici (di cui subito mi scuso, sapendo però che ricordare aiuta, quanti delitti della memoria compiamo ogni giorno...!) che si sono fatti vivi nella mia mente rileggendo questa pagina dell'Evangelo.

Il primo è molto recente. Avevo scritto ad un'amica poetessa per complimentarmi con lei per le poesie che di tanto in tanto scrive. Davvero belle, tali da suscitare in me la meraviglia (una condizione in cui dovremmo sempre vivere come credenti) ma al contempo la nostalgia per una facoltà che, ahimé, non posseggo. Con grande umiltà la mia amica mi rispose che non è tanto importante scrivere poesie quanto piuttosto la capacità intima di trascendimento, essere "poeti dentro" insomma, nella vita di tutti i giorni. Questo significa, mi sembra di capire, conservare nel cuore la capacità di stupirsi e di cercare un mondo non come esso è, ma come vorremmo che fosse e che la poesia contribuisce a creare. Conservare la capacità di "visione" in un mondo ormai incapace di avere grandi visioni, di percepire, in una parola, le "trasfigurazioni". Che grande esempio da una poetessa in un mondo che ripudia la poesia, che la considera inutile e anche forse un po' snob, esercizio - direbbe qualcuno - radical chic, e sovrastima di conseguenza la scienza e la tecnica. Leggendo questa pagina dell'Evangelo mi chiedo se Gesù non fosse anche lui un poeta...

Il secondo ricordo è molto più lontano nel tempo. Insieme con mia moglie, un giorno, incontrai Giorgio La Pira, il sindaco "santo" di Firenze, l'uomo delle immense visioni, della grande utopia politica e religiosa. Prendendo insieme un caffè ci disse, tra l'altro: "Ricordatevi, amici, noi siamo i testimoni della puntualità". Lungi da me dal fare l'esegesi di questa frase che tuttavia mi rimane scolpita nella memoria con la freschezza del primo giorno. Eppure, in quel "siamo" non v'era certo un appiattimento sul dato, una contemplazione estatica di una presunta superiorità, c'era una prospettiva etica. Non una constatazione dell'"essere", ma - kantianamente - la tensione al "dover essere". E nel termine "puntualità" c'era tutto un programma di vita. Una puntualità temporale, certo (che brutto esempio danno coloro che agli impegni arrivano sempre con mezz'ora di ritardo, confidando nel ritardo degli altri... o che entrano nei convegni quando l'oratore ha già iniziato a parlare...), ma c'era soprattutto la puntualità nel nostro "esserci", del sapere cogliere i "segni dei tempi", nel saper accogliere e realizzare le intuizioni profonde, pensieri nuovi, che lo Spirito instancabilmente suggerisce, nel saper essere donne e uomini non del dato, ma dell'utopia, uomini e donne di fantasia.

Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di queste donne e di questi uomini, di queste coppie e di queste famiglie, ed è un delitto contro lo Spirito quando impediscono loro di parlare, o li disconfermano nelle loro intuizioni, perché se non parleranno loro grideranno le pietre. Hanno bisogno di coppie e di famiglie, soprattutto, che non ripetano il già detto, che non riproducano le ovvietà, ma che siano testimoni dell'inedito e dell'anormalità (Gesù è sempre l'inedito che irrompe nella nostra vita): un inedito ed una anormalità che sempre ci interpellano. Puntualmente. Coppie e famiglie che abbiano fame e sete di novità di vita più che di consumi inutili e scandalosi; di pulizia morale più che di esempi d'immoralità diffusa; di grandi narrazioni più che di cronache squallide di squallidi sfruttamenti femminili ad opera di uomini al potere; di progettualità e di apertura utopica e faticosa al futuro più che di vacanze alle Bahamas.

Forse pensava proprio a questo Gesù quando invitava gli amici che erano saliti con lui sul monte a non piantare tende, ma a riprendere il cammino dell'esodo, a conservare nel cuore e a tradurre nel quotidiano quelle "trasfigurazioni" alle quali, se siamo attenti, ognuno di noi ha accesso perché lo Spirito le opera in noi. Ritirarsi a contemplare, ma subito scendere dal monte, ritornare sulla pianura piatta, nel nostro deserto d'ogni giorno.

TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA

1. La nostra famiglia è "puntuale" nel cogliere i "segni dei tempi"?

2. Conserviamo nel nostro cuore la capacità di meravigliarci (delle cose belle che vediamo, del volto e del corpo del nostro partner, dell'ingenuità di un bimbo, dei ricordi belli che ci possono guidare nel nostro esodo)?

3. Siamo rassegnati al dato, all'esistente, oppure siamo capaci di mantenere delle "visioni", di coltivare delle utopie, di combattere perché queste utopie possano essere realizzate?

4. Siamo disposti a "scendere dal monte" e ritornare in mezzo alla "gente", cioè ai nostri fratelli in ricerca con noi?

Commento a cura di Luigi Ghia

 

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