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TESTO La fraternità

don Daniele Muraro  

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Battesimo del Signore (Anno A) (09/01/2011)

Vangelo: Mt 3,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 3,13-17

In quel tempo, 13Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Nel motto che proviene dalla rivoluzione francese troviamo tre parole d'ordine: libertà, uguaglianza, fraternità. È stato acutamente osservato che mai i tre valori sono stati realizzati assieme. Dove si è cercata l'uguaglianza a farne le spese fu la libertà, mentre la libertà senza regole incrementa le disuguaglianze.

Quanto alla fraternità, dall'Ottocento in poi è rimasta una bella parola senza risultati concreti. Ad un certo punto essa divenne questione di prezzo dei banchetti. A Parigi uno dei membri del Club della rivoluzione si era impegnato nell'organizzazione di un grande "ban­chetto del popolo". In breve tempo raccolse centi­naia di migliaia di adesioni a venticinque centesimi a testa perché questa sarebbe stata "la vera fraternità" e non i pranzi a sei franchi della Guardia Nazionale. Il convito non ebbe mai luogo.

Alla domanda chi sono i miei fratelli un deputato affermava: "tutti quanti", ma il problema era che "tutti quanti" non è la risposta di "tutti quanti". Facilmente approvata a livello ideale, a livello pratico la fraternità soffre di molte eccezioni.

Fu nel Medioevo che si incominciò ad usare il termine nell'accezione che rimane la nostra. San Francesco per primo definì il gruppo dei religiosi uniti intorno a sé "fraternità" e i suoi seguaci furono chiamati appunto "frati", cioè fratelli.

"Voi siete tutti fratelli" dice Gesù nel Vangelo e intende riferirsi a coloro che hanno accolto il suo messaggio e professano la fede in un solo Dio. Se a motivo dell'unico Padre che noi cristiani dobbiamo stimarci tutti fratelli, è in ragione di Maria sua madre che il Figlio di Dio diventa nostro fratello. Questo mistero l'abbiamo meditato nel Natale.

Il cammino di Gesù incontro all'umanità non si arresta alla nascita, ma proseguendo segna una tappa decisiva al momento del Battesimo. In quell'occasione presentandosi a Giovanni Cristo dimostrò di voler essere in tutto simile ai fratelli escluso il peccato, ma dentro la storia.

Essere fratelli vuol dire avere un passato in comune. Ecco perché Gesù si mette in fila con i penitenti in attesa di scendere nelle acque del fiume Giordano. Egli dimostra così di non disprezzare gli sforzi umani di meritare la salvezza.

Di fronte all'improvvisa comparsa di colui che avrebbe reso sorpassato il suo gesto di pentimento, Giovanni ha un moto di meraviglia e di ripulsa, ma dopo avere ascoltato le intenzioni del Signore: "Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia", si lasciò persuadere.

Allora per la prima volta si manifestò lo Spirito della fraternità che resta inseparabile dall'unica paternità divina: "Si aprirono per lui i cieli ed egli (Gesù) vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo...

Da quel momento in poi per un cristiano la fraternità non può restare una preferenza, ma diventa legge. Questo ideale è così travolgente nel cristianesimo che alle origini esso fu proposto perfino agli sposi, con il suggerimento di trasformare il legame coniugale in una sorta di fraternità spirituale.

È soprattutto nei monasteri che l'ideale della fraternità trovò il suo sviluppo, di modo che alcuni autori sostenennero che la famosa profezia di Isaia sulla pace messianica si era realizzata di fatto nella vita religiosa realizza. All'interno delle stesse mura si poteva vedere il vitello (l'uomo pacifico che allevato fin da bambino in quello stile di vita) pascolare insieme con il leone (cioè l'uomo d'armi) e tutti e due partecipare alla comune sobria mensa di modo che anche il leone si accontentava di paglia, come il bue.

Ai nostri giorni in molti sostengono che la fraternità è il destino universale del genere umano, non il privilegio di chi si è ritagliato uno spazio lontano dagli intrighi del mondo. A questo riguardo è bene non essere ingenui. Una volta le famiglie erano numerose e il sentimento della fraternità sorgeva spontaneo. Ora nelle nostre società acquisire la consapevolezza della fraternità è più complicato.

In certi ambiti poi un appiattimento dei rapporti può risultare negativo come nella relazione tra genitori e figli o tra i diversi gradi delle gerarchie dove è in gioco la responsabilità.

Ma le parole di san Pietro nella seconda lettura rimangono ancora valide e ancora non hanno espresso tutto il potenziale di applicazioni che permettono: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga".

Abbiamo detto che condizione per sentirsi fratelli è di condividere uno stesso passato. Per noi cristiani esso è un avvenimento, il nostro battesimo che ci ha inserito in Cristo e attraverso cui le diverse storie di ciascuno si unificano in una sola. Inoltre noi abbiamo un luogo dove siamo già famiglia, riunita intorno alla mensa, ed è la Messa con il rito dell'Eucaristia. Torna fuori il tema del banchetto.

Lo scambio della pace prima della comunione suggella questa verità che rimane un dono del Signore. Infatti non è la nostra piena intesa a consentire l'eucaristia (dovremmo aspettare a lungo per questo); piuttosto è l'eucaristia a creare tra noi un'autentica fraternità cristiana.

Si tratta perciò di vivere in conformità al dono del Signore, riconoscendoci anche fuori di chiesa tali quali ci interpella la liturgia mentre stiamo assieme: fratelli e sorelle nel nome del Signore. Tale corrispondenza tra la grazia e il nostro impegno esistenziale è il vero sacrificio gradito a Dio per cui pregheremo fra poco nell'Offertorio.

 

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