PERFEZIONA LA RICERCA

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Traccia di comprensione per Es 16,2-7a.13b-18; 2Cor 8,7-15; Lc 9,10b-17

don Raffaello Ciccone  

don Raffaello Ciccone è uno dei tuoi autori preferiti di commenti al Vangelo?
Entrando in Qumran nella nuova modalità di accesso, potrai ritrovare più velocemente i suoi commenti e quelli degli altri tuoi autori preferiti!

III domenica dopo Epifania (anno A) (23/01/2011)

Vangelo: Es 16,2-7a.13b-18|2Cor 8,7-15|Lc 9,10b-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,10b-17

10Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Lettura del libro dell'Esodo 16, 2-7a. 13b-18

Il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù dell'Egitto, ha superato l'ostacolo drammatico delle acque del Mar Rosso, non è più inseguito dall'esercito del faraone, ma soffre il dramma interiore della insicurezza e del bisogno sui problemi fondamentali della sopravvivenza: l'acqua, il pane, la carne.

Così il popolo mormora contro Mosé e contro Aronne, rimproverando loro di averli convinti di avventurarsi nel deserto: infatti, resta solo la prospettiva di morire di fame. Lamentandosi contro Mosé ed Aronne, si lamentano contro Dio.

Nel libro dell'Esodo (15,22-27) viene ricordato il ritrovamento dell'acqua che tuttavia risulta "amara" e Mosè - su indicazione del Signore - sceglie un legno e lo getta nelle acque che diventano dolci. Ma ora la mormorazione con Mosé ed Aronne si sviluppa per la nostalgia delle "pentole di carne d'Egitto, che veniva mangiata con pane a sazietà". E il Signore, pazientemente, parla a Mosè dicendo che farà piovere pane dal cielo.

Al v. 12 (qui non riportato) riprende il dialogo del Signore con Mosè. Al pane dal cielo che giungerà di mattina, il Signore aggiunge la carne che troveranno la sera.

La manna è dovuta alla secrezione di insetti che vivono su certe tamerici, ma solo nella regione centrale del Sinai; la si raccoglie in maggio-giugno. Le quaglie, esauste dalla traversata del Mediterraneo di ritorno dalla loro migrazione in Europa, verso settembre, si abbattono in grande quantità sulla costa, a nord della penisola del Sinai, spinte dal vento da ovest (Nm11,31).

Il lungo e travagliato peregrinare degli Israeliti nel deserto diventa figura dell'esistenza umana.

Ricevuta la libertà come dono, è il tempo dell'apprendere a farne uso, perché la libertà non è ancora la realizzazione, ma solo la condizione fondamentale e iniziale della realizzazione, che si gioca nel rapporto personale. Perciò è necessario questo tempo, come il tempo del conoscersi tra Dio e il popolo.

Non sono i momenti facili, festosi, quelli che rivelano i sentimenti più veri, ma i momenti difficili, quelli nei quali una carenza o un dramma portano al limite le capacità di reazione. Nel peregrinare per il deserto, gli Israeliti si trovano senz'acqua, senza nutrimento e debbono accettare di fondarsi sulla Parola e sulla promessa di Dio. Dopo la sete, è la volta della fame, ed è un reciproco mettersi alla prova. Il popolo dubita delle intenzioni di Dio e Dio mette alla prova lo stesso popolo con una legge: ci sarà da mangiare a volontà, ma non si potranno accumulare scorte alimentari per più di un giorno.

Insieme alla fiducia nella Parola di Dio, questo popolo, che si deve educare alla libertà e all'autonomia, deve potersi guardare in giro, cogliere i fenomeni naturali posti dalla Provvidenza che lo accompagna e lo assiste. Così impara a cogliere la presenza divina, misteriosa e libera, in relazione con ciascuno su questo cammino ed esigente di una risposta, altrettanto libera e amorosa.

Anche Gesù spezzerà il pane per una moltitudine, e per questo la moltitudine vorrebbe farlo re (Gv 6,15); però Gesù la dissuade. La prospettiva non si apre sul potere o la vittoria, ma sul dialogo in una risposta libera e amorosa.

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 8, 7-15

Paolo sta parlando ai Corinti circa una colletta di soldi che sta facendo in favore della Chiesa di Gerusalemme, in difficoltà economica, per i numerosi poveri cui offre sostegno. Paolo mette in parallelo la ricchezza nella fede con la generosità nel condividere i beni materiali.

Siamo durante il regno dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.) e sono sorte varie carestie nell'impero romano. Perciò anche la Palestina subisce questo flagello e le comunità cristiane non sono più capaci di mantenere il ritmo di aiuto che offrono ai poveri.

Questa colletta, (se ne parla in. Rm 15,26-28; Gal 2,10; 2Cor 8-9; At 24,17), verso i «santi», i cristiani di Gerusalemme, bisognosi di soccorso (cf. 2Cor 8,4; vedi At 11,29-30) occupò un posto importante nelle preoccupazioni di Paolo, che vi vedeva il segno e la garanzia dell'unità tra le Chiese, fondate da lui, e quelle dei giudeo-cristiani.

Egli riconosce ai Corinti l'abbondanza dei doni della grazia di Dio e li invita ad essere grandi anche in questa opera di generosità. Il v. 8 afferma: «Non dico questo per darvi un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri». Paolo conosce la sua comunità, che ha fondato e presso cui ha vissuto circa due anni, ma conosce bene anche l'animo

umano e sa che, a volte, il braccio della generosità diventa corto. Sa poi anche che l'amore professato con la voce va verificato nelle opere («Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» 1Gv 3,17-18).

Egli non vuole forzare la mano ai Corinti, mettendoli in difficoltà. Sa, però, che i suoi detrattori hanno messo in giro voci maligne sul suo conto, dicendo che il suo fine nascosto è quello di acquistarsi benemerenze nel suo popolo.

Così Paolo passa all'argomento forte della sua esortazione: l'imitazione di Cristo. Egli si è fatto povero della sua divinità (cfr. Fil 2,5-11) per farci diventare ricchi della comunione sua con il Padre, e ci ha inseriti in quella relazione d'amore che ci fa vivere. L'imitazione di Cristo è farsi guidare dallo Spirito suo e del Padre nel diventare sapienti della vita per realizzare il frutto (al singolare) dello Spirito che Paolo esemplifica nella lettera ai Galati: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è legge» (Gal 5,22-23).

Insieme, Paolo introduce il principio dell'uguaglianza (vv 13-14). Lo scopo non è l'impoverimento degli uni a favore degli altri, ma la condivisione delle risorse.

Così Paolo, dopo aver richiamato due motivazioni teologiche (l'esempio di Gesù e il tema dell'uguaglianza), ritorna all'esempio dei cristiani di Macedonia, citati alcuni versetti prima, che, nella loro «estrema povertà» hanno dato «al di là dei loro mezzi» (vv 2-3; cf. Mc 12,41-44: obolo della vedova). Egli invita, comunque, la comunità di Corinto, discretamente, a imitare la generosità dei loro fratelli macèdoni. Vuole fare loro comprendere come il comandamento "dell'amore del

prossimo come se stessi", implichi prima di tutto l'uguaglianza come giustizia e la distribuzione di ciò che serve secondo il bisogno di ciascuno (e qui viene ricordato l'episodio della manna: Es 16,18).

Lettura del Vangelo secondo Luca 9, 10b-17

Il racconto di Luca sui pani spezzati e distribuiti offre un particolare messaggio teologico per aiutare la Comunità cristiana a vivere quel gesto di comunione che ogni domenica ormai celebra dall'inizio del suo sorgere. Egli lo lega ai gesti di Gesù carichi di senso e all'operosità dei credenti perché vi trovino significati e sostegno per l'opera della loro vita quotidiana.

Tutto il testo, perciò, non va letto come una cronaca che ci mette in difficoltà a volerne comprendere i vari aspetti: siamo verso sera, siamo nel deserto, siamo con un numero spropositato di persone. Si parla di spezzare il pane. Da che parte spuntano le ceste ecc?

Luca vuole educare i credenti a trasporre i gesti di Gesù nel gesto concreto di ogni Comunità, perché diventi stimolo e coerenza nella settimana e perciò il testo è carico di richiami dell'AT e di avvenimenti di Gesù stesso.

Il racconto della manna che viene dal cielo fa riferimento al popolo liberato e in cammino nel deserto (Es 16; Num 11). Ma anche il pane che dà Gesù non è frutto dell'uomo. ma viene dal cielo.

Gesù è il nuovo Mosè. Infatti Mosè stesso aveva parlato di un futuro "profeta pari a me" che Dio avrebbe suscitato (Dt18,15). E Gesù compie azioni di salvezza e di liberazione come Mosè stesso.

Isaia aveva parlato di "un banchetto per tutti i popoli" (55,1-2).

Anche Eliseo aveva sfamato molte persone con pochi pani (20 pani per 100 persone: 2Re,4,42-44) e Gesù amplifica il segno.

Gesù è il profeta che visita il suo popolo, è il Messia che raccoglie i suoi: peccatori perdonati, poveri evangelizzati, malati guariti, donne e uomini alla pari. E' salvatore in tre gesti: parla, guarisce e sfama la folla [5.000 uomini: 100 gruppi di 50 l'uno. Popolo benedetto (numero 100), ricco dello Spirito (numero 50).

E' verso sera che il problema si pone sul mangiare. La notte incombente è il tempo del male, dell'inattività, della solitudine.

Alla preoccupazione dei discepoli che risolvono suggerendo di congedare la folla, Gesù risponde: "Date voi stessi da mangiare" e questo lascia tutti sconcertati. Accennano ad una controproposta assurda: "Dobbiamo andare a comprare il pane per tutti?". Essi pensano che ciascuno debba risolvere da solo le proprie necessità poiché non ci sono risorse sufficienti.

Gesù non ne fa un problema economico, ma un problema di presenza (Ci sono io) e un problema di condivisione (Date ciò che avete e troverete alla fine l'abbondanza). Gesù è l'ospite, quel giorno, che invita, attraverso i discepoli, e fa sedere; egli è colui che forma una comunità in cui non deve mancare la parola, la guarigione (la liberazione) e il cibo donato dal Signore per sfamarsi nel deserto
(richiamo alla generosità e alla solidarietà).

Viene così suggerito il cammino di una pastorale cristiana: Parola di Dio, liberazione, celebrazione,

Eucaristia come dono e condivisione, comunione di vita abbondante.

Le 12 ceste richiamano il lavoro e la garanzia del nuovo popolo di Dio con l'attività dei 12. Il mondo dell'Eucaristia regge se:

o c'è lo sforzo di tutti di operare per la pace e lo sviluppo,
o ci si preoccupa di guardare il bisogno degli altri,
o ci si organizza per trovare soluzioni, pur piccole.

Altrimenti le Eucarestie diventano una menzogna poiché mancano la scoperta della Parola che cambia mentalità e converte, la liberazione dal male e la condivisione.

 

Ricerca avanzata  (54006 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: