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TESTO Venite a me

mons. Antonio Riboldi

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/07/2002)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

E' facile cogliere, vivendo tra la gente, un senso di amarezza come se tutto, ma proprio tutto vada male. Non si riesce più a trovare un motivo che dia, non dico gioia, ma almeno serenità.

Ed una vita senza serenità è davvero una grossa croce che si fatica a sopportare...E tante volte questo senso di vuoto di anima e di smarrimento porta a scelte sciagurate che sono come una grande macchia sull'azzurro dell'anima; quell'azzurro che Dio ci offre con il suo incessante amore e che non conosce mai nubi o notti.

E noi abbiamo bisogno di quell'aria sana dell'anima che fa ottimisti.

Ma perché tutto questo avviene? Certamente i tanti eventi che troppe volte sembra portino la terribile afa dell'inferno, non aiutano a creare serenità.

Se poi aggiungiamo le scelte sbagliate che facciamo troppe volte affidandoci a ciò che il mondo offre, che è effimero, sa ingannare, ma poi, come successo ai nostri progenitori, ci fa sentire lo smarrimento della "nudità", allora è chiaro che non gustiamo più la vera gioia che è il sorriso che Dio offre alle anime, che sanno camminare sopra le tante insidie del mondo.

Una cosa che confesso, mi impressiona fortemente, sempre, è come ci siamo quasi affidati a sentimenti di superbia che sono le vere spire del serpente: la superbia del denaro, del piacere, del potere e chi più ne ha, più ne metta. Ma lì non ci può essere Dio e quindi la sua dolcezza.

La gente semplice, quella umile, che sa avere gli occhi sempre rivolti agli occhi di Dio, conosce il dono della serenità interiore, nonostante tutto.

Voglio ricordare un fatto della mia vita. Eravamo tanti in famiglia e tante volte obbligati a chiedere ai vicini un pezzo di pane o un poco di farina perché non c'era pane da mettere sulla tavola. Un giorno, nella mia ignoranza da ragazzo, preso dalla voglia di un cioccolato, chiesi a mamma un soldo per comprarlo. Quella santa donna si levò di tasca il piccolo borsello.

Vi erano 10 centesimi, gli ultimi spiccioli che le erano rimasti. Me li diede dicendomi: "Prendili, adesso davvero siamo totalmente poveri e quindi nelle mani di Dio". Me lo disse con una gioia che sembrava il canto delle beatitudini.

E' il canto degli umili che oggi Gesù esalta con quelle stupende parole che commuovono, ma mettono in crisi, se ci pensiamo bene: Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli.

Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo voglia rivelare". (Mt.11,25-30)

Ed è vero: chi vuole accostarsi a Dio e avere parte alla sua conoscenza e quindi alla conoscenza del Padre, è necessario che si svuoti della sua superbia, che è come una porta chiusa alla rivelazione. Chi, per qualunque ragione, si crede qualcuno, non può mai dare spazio né a Dio, né agli altri. Credo che tutti abbiamo avuto la fortuna, o la grazia di avere conosciuto o di stare vicino a persone veramente piene di Dio.

E sempre abbiamo avuto una lezione di umiltà del come essere "piccoli" evangelicamente. Sono le persone che sanno ascoltare e se tu poi le ascolti, facendoti picco1o, è come ti riempissero l'anima di verità e gioia. Ma diciamolo con franchezza, i superbi, quelli che si danno arie che sono solo arie senza contenuto se non quello del credersi qualcuno, davvero ci danno fastidio. Né noi troviamo posto in loro, né loro in noi.

Gesù, che era il Figlio di Dio, visse tra noi come un piccolo, al punto che tutti trovavano posto in Lui. E' facile immaginare la dolcezza scesa sulle folle quando Gesù dichiarava le beatitudini o le verità del Cielo.

Lo ascoltavano con la gioia del bambino, che improvvisamente vede ingrandirsi il cielo del cuore. E se la gente, tanta gente, che il Vangelo chiama "folle", cercava Gesù era per la sua dolcezza, la sua mitezza, la sua infinita bontà capace di accogliere e desideroso di donare gioia.

Gesù ci conosce molto bene nella nostra povertà interiore, che ha bisogno di diventare ricchezza di cuore. Sa quante tribolazioni ci portiamo addosso, il più delle volte tacendole, come una pesante croce che ti porti dentro e magari copri agli occhi della gente con un falso sorriso, che nasconda le lacrime di cui siamo bagnati.

E guardandoci, ieri e oggi, ci indica dove possiamo trovare Chi ci comprenda e ci consoli: ma davvero e non con parole vuote e di circostanza. "Venite a me - dice, - voi che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico è leggero". (Mt.11,25-30)

Come si fa a declinare questo invito che viene dalla consolazione stessa, che è Gesù? Come si fa a chiudersi nel buio della propria tristezza e non spalancare le finestre sul Cuore di Chi si definisce "mite e umile di cuore"? Forse siamo troppo abituati alla paura di affidarci ad altri, che non sanno consolare o non hanno mitezza e accoglienza e il segreto del conforto.

Ed invece come verrebbe voglia a volte di buttarci nelle braccia di Dio per trovare in Lui quello che nessuno può darci, "io vi ristorerò". Pare incredibile che non si riesca ad accettare l'invito. Eppure siamo tutti, anche se in maniera diversa, "affaticati e oppressi".

E chi non ha la voglia, tante volte soffocata, di trovare due braccia ed un cuore a cui affidare stanchezza e dolore e ricevere ancora la bellezza della vita? Forse la nostra superbia ci trattiene, perché ci pare debolezza affidarci a chi ci ristora.

Ed è davvero questa superbia il male che ci portiamo addosso. Un male che si può stroncare, diventando bambini, semplici, che non si vergognano di affidare la propria debolezza a chi sa guarirla e consolarla.

Mi dicono che c'è tanta gente che si affida ai maghi. Ed è vera follia affidarsi a chi sa ingannare e sfruttare. Mi chiedo se davvero abbiamo perso dignità e ragione.

Non vergogniamoci di accogliere l'invito di Gesù. Sarebbe un'offesa all'amore. C'è un bel salmo che è la ragione della mia serenità e che è sempre sulle mie labbra, come risposta al vangelo di oggi. Lo offro a voi tutti, carissimi, che so avete bisogno di ristoro dal cielo.

Così prega il salmista: "Signore, il mio cuore non ha pretese,
non è superbo il mio sguardo:
non desidero cose grandi superiori alle mie forze.
Io resto tranquillo e sereno.
Come un bimbo in braccio a sua madre
e quieto il mio cuore dentro di me". (Salmo 131)

 

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