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TESTO Traccia di comprensione per At 6,8-7,2a 7,51-8,4; Tm 3,16-4,8; Mt 17,24-27

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

Santo Stefano, primo martire (26/12/2010)

Vangelo: Mt 17,24-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». 25Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». 26Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. 27Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».

Lettura dagli Atti degli Apostoli 6,8-7,2a; 7,51-8,4

Negli Atti degli Apostoli il cap. 6 segna l'inizio di rapida espansione del Vangelo in Israele, fino ad Antiochia, mentre nei primi 5 capitoli è stata descritta la formazione e 1' attività della Comunità cristiana a Gerusalemme. L'istituzione dei "sette" responsabili delle mense rappresenta un punto fondamentale che favorirà l'iniziò della missione della Chiesa.

Nel conflitto tra gli "ellenisti" che si sentono trascurati dei bisogni di povertà delle proprie vedove (giudeo-cristiani provenienti dall'impero e dimoranti a Gerusalemme: parlano greco e leggono la bibbia in greco) e gli "ebrei" che sembrano privilegiati (giudeocristiani, originati della Palestina, che leggono la bibbia in ebraico), gli Apostoli sono chiamati ad una verifica per alcuni disagi denunciati, e decidono di sviluppare, diversificando, ruoli e compiti. L'elezione dei "sette", tutti di origine greca (lo si vede dal nome), identifica la scelta coraggiosa di

responsabilizzare la minoranza per le mense e per il lavoro pastorale nella comunità degli ellenisti.

Tra i "sette" almeno due, Stefano e Filippo, svolgono anche un prezioso lavoro di predicazione, aperto ai pagani e una riflessione biblica nuova: interpretare il Vecchio Testamento alla luce dei fatti e delle parole di Gesù. Stefano, in particolare, sostiene continue discussioni con gli ellenisti di Gerusalemme e si dimostra molto attrezzato nello sviluppo della Scrittura e nella comprensione dell'Antico Testamento. Con un lavoro particolarmente difficile, inizia, anzi, a rileggere nel mondo ebraico la vicenda di Gesù alla luce della Legge e dei profeti. E' un'operazione sconcertante e blasfema poiché eleva la figura di Gesù, che tutti hanno visto condannato su una croce e morto, come la presenza di Dio tra noi, la rivelazione ultima e definitiva, l'autorità più alta, anche oltre quella di Mosè. Questa traduzione si dimostra sorprendente e pericolosissima, tanto che gli procura la morte.

Nel capitolo settimo leggiamo la testimonianza di Stefano, fatta davanti al sommo sacerdote.

Per queste parole di fede sarà condannato a morte mentre costituiscono una testimonianza di eccezionale valore: così nella Comunità cristiana circola una consapevolezza di Gesù inedita che risale alla intelligenza di Stefano, e che viene qui riportata sotto forma di discorso che svela le motivazioni della propria fede. E' un testo di evangelizzazione. Qui vengono riportate solo alcune frasi conclusive (51-53). Ma la riflessione di sfondo si agganciano al significato del tempio.

Stefano cita il testo di Isaia (66,1-2: atti 7, 49-50) in cui si afferma che Dio è presente ovunque, al di là di ogni "spazio sacro". Quindi, coraggiosamente, elenca, come nuovo profeta, attraverso citazioni del libro dell'Esodo, Levitico e Geremia l'infedeltà dei capi, responsabili, e come i loro padri, uccisori di profeti poiché anch'essi hanno ucciso il Giusto e non hanno accettato, invece, di seguire la legge che era stata loro offerta.

Stefano si rifà alla stessa problematica che era stata presentata a Gesù nel suo processo: "Gesù ha parlato male del tempio". Nel contesto ebraico dei dotti il solo dare l'impressione di svalutare il tempio era considerato blasfemo. Qui si parla, in più, della "Torà" (la "legge" data da Dio a Mosè e quindi al suo popolo). E se si fa riferimento ad una "legge data dagli angeli", il richiamo fa riferimento alla stessa legge, venerata da tutti. Nei cinque libri che la costituiscono (Torà o Pentateuco) non si parla di questa mediazione di angeli tra Dio ma di Mosé, mediatore.

E tuttavia, nel popolo d'Israele, si era diffusa una tale consapevolezza.

Alla rabbia di coloro che, scandalizzati, lo accusano, Stefano proclama davanti a tutti: "«Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Quel Gesù, che è stato trattato come delinquente e ucciso in croce, svolge la funzione di giudice del mondo e della storia e quindi è giudice anche di quei falsi testimoni che ora accusano Stefano.

Nella comunità cristiana la morte di Stefano ha un particolare significato. Mentre nella mentalità ebraica corrente, e quindi anche nella comunità cristiana, il malvagio viene punito (episodio di Anania e Saffira: Atti 5,5. 10; la morte di Erode: Atti 12.23), qui si parla della morte di Stefano come della fine di una persona buona. E il tema ritorna ancora negli Atti quando viene ricordata la morte di Giacomo, fratello di Giovanni (12,2). Questi episodi di fatica e di persecuzione maturano una feconda riflessione sul significato della morte di Gesù: il giusto maledetto. Muore in croce ed è innalzato alla destra di Dio.

Seconda lettera di san Paolo apostolo aTimoteo 3,16-4,8

L'apostolo Paolo vuole aiutare il suo discepolo Timoteo ad affrontare con generosità il compito di educatore nella comunità che Paolo gli ha affittato. Dopo aver ricordato il passato e le meraviglie della evangelizzazione (cap.1) e dopo aver esposto le difficoltà presenti (cap.2), Paolo rivolge l'attenzione all'avvenire con i suoi pericoli. I primi versetti del terzo capitolo elencano le deformazioni, i mali, le brutture che dovranno affrontare Timoteo e la sua comunità; ma può contare su un equipaggiamento che gli permetterà di sostenere la lotta, di fuggire gli eretici, e di seguire la sana dottrina. Timoteo non deve impaurirsi perché ha ricevuto una solida formazione fin dall'infanzia, maturando via via attraverso lo studio della Scrittura.

Egli non ha imparato teorie o formule ma ha accolto la sapienza che conduce alla salvezza mediante Gesù.

In questi versetti si ritrovano le affermazioni più esplicite nella Seconda Alleanza circa il valore della Scrittura.

Per un buon lavoro pastorale, perciò, sono importanti il ricorso alla Parola di Dio e una fedeltà coraggiosa. Così il discepolo può sentirsi religiosamente attrezzato per svolgere il suo compito, incoraggiando alla fedeltà, correggendo, educando, convincendo all'interno di una comunità cristiana, poiché deve contrastare una mentalità pagana corrente molto pervasiva.

Il testo: "Insisti in ogni occasione opportuna o non opportuna", nella storia della Chiesa, ha provocato, a volte, indebite intrusioni e forzature illecite poiché è stato equivocato il rapporto tra libertà e salvezza. La libertà della scelta cristiana va rispettata. Ma anche qui, non a caso, si parla di "esortare con ogni magnanimità e dottrina".

La conclusione di questa lettera riprende il pensiero fondamentale di Paolo che ha evangelizzato e desidera e anche i discepoli, via via che si succederanno nella responsabilità delle comunità cristiane, sappiano evangelizzate. Egli ricorda il senso della sua esistenza, in pericolo di fronte ad una possibile e prossima condanna a morte. Ritroviamo alcune immagini nella dimensione del tempo.

-Nel presente il sacrificio di offerte, nel tempio, prevede che sulla vittima (agnello) vengano versati olio, acqua o vino, mentre l'Apostolo versa il suo sangue ("sparso in libagione") per un sacrificio perfetto. E ancora, nel presente, l'immagine di una nave ricorda che la vita non finisce nella morte, ma si apre verso il viaggio ultimo in cui incontra il Signore che viene.

- Al passato della propria vita l'apostolo guarda con chiarezza umile e fiera; utilizzando immagini sportive ricorda il combattimento, la corsa;

- Per il futuro: c'è il premio della vita eterna, simboleggiata dalla "corona", dono di Cristo che riconosce a Paolo e a tutti i fratelli la loro fedeltà.

Lettura del Vangelo secondo Matteo 17,24-27

È curioso scoprire questo testo come riflessione biblica sul martirio di Stefano e sulla meditazione del Natale di Gesù. E tuttavia si ripete che questo testo era ampiamente utilizzato da Sant'Ambrogio nella riflessione sul martirio di Stefano. Probabilmente, facendo riferimento alla testimonianza piena e coraggiosa di Stefano, ci si ricorda che essa ripete con pienezza la coscienza di Gesù di essere Figlio di Dio.

Nel messalino festivo, per giustificare la scelta di questo brano, viene proposta questa frase: "Il sangue dei martiri, seme dei cristiani. Paolo, moneta d'argento scaturita dal martirio di Stefano".

In tal caso San Paolo rappresenta il Tesoro impensabile, guadagnato dal sacrificio di Stefano, che Gesù collega la comunità ebraica alla novità cristiana,

Di questo episodio ci parla solo Matteo. Ne è protagonista Pietro a cui ci si rivolge per chiedere: "Il vostro maestro non paga la tassa?". A Pietro sembra ovvio garantire l'impegno che ogni buon israelita, superiore ai vent'anni, era tenuto a pagare per le necessità del culto. Era stato stabilito dalla legge (Esodo 30,13-15); la prescrizione era stata rimessa in vigore da Neemia dopo l'esilio (10,33). La domanda, comunque, viene dal fatto che non tutti ammettevano l'obbligatorietà del tributo: i sadducei e i Galilei erano fra questi.

Matteo parla di Gesù come di colui che "prevenne" qualsiasi verifica. Infatti, consapevole della risposta ovvia data da Pietro ma anche della mancanza di spessore e di significato che il consenso comporta, Gesù utilizza l'occasione per chiarire, nei suoi riguardi, il rapporto con il Padre e con il tempio. Ma vengono ripensati anche i rapporti con i discepoli i quali fanno parte dell'unica famiglia di Gesù (12,50: "Chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi è mio fratello, sorella e madre").

Così viene posta la domanda: "I re esigono tasse o tributi degli estranei o dai familiari?".

Si parla di "tasse" (tasse indirette e tariffe doganali) e di "tributi" (imposte dirette pro capite corrispondenti a due dramme all'anno per ciascuno).

Chiarita l'autonomia dal tempio (probabilmente si riflettono qui alcune riflessioni della prima comunità cristiana di ebrei convertiti che si sentono ancora in collegamento con il tempio), Gesù si preoccupa di non recare scandalo e di non disorientare le persone deboli. Non interessa esibire la propria autonomia quanto rispettare la fragilità dei piccoli con una comprensione amorevole e discreta. È l'atteggiamento della Chiesa che deve avere con tutti gli uomini, credenti e non.

Il dono della moneta d'argento, trovato nel primo pesce pescato (che corrisponde al valore di quattro dramme), risolve insieme il problema della tassa, il rispetto della fragilità dei discepoli, ma anche il significato dell'opera di Gesù alla vigilia della sua morte che già si affaccia all'orizzonte e che potrebbe travolgere ogni fiducia in ogni fedele.M

 

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