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TESTO Traccia di comprensione per MI 5,1. Ml 3,1-5a.6-7b; Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18

don Raffaello Ciccone  

V domenica T. Avvento (Anno A) (12/12/2010)

Vangelo: Gv 1, 6-8.15-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

Lettura del profeta Michea 5,1. Ml 3,1-5a.6-7b

La prima lettura è costituita da due frammenti uniti insieme: il primo è tolto dal

profeta Michea, costituito da un solo versetto, il secondo dal profeta Malachia.
Michea 5,1

Al tempo di Michea la situazione economica e politica di Israele sta soffrendo

violenza e corruzione. Dai giudici dei tribunali, dai sacerdoti e dai profeti il popolo

si aspetterebbe giustizia, senso religioso e sobrietà e invece il popolo si sente

perseguitato dalla prepotenza di una minoranza e dalle classi dirigenti che sfruttano i poveri. Il re Ezechia è un buon uomo, ma troppo debole. In questo contesto Michea annuncia la profezia di speranza: sta per nascere colui che dominerà Israele, e proprio in un paese insignificante, il villaggio di Betlemme. Gli oppressi dovrebbero ricordarsi che alcuni secoli prima, a Betlemme, era nato il re Davide: da pastorello, Dio lo aveva posto in un nuovo regno e lo aveva trasformato in grande sovrano.
Ml 3,1-5a. 6-7b

Il seguito di questa prima lettura è costituito dalla profezia di Malachia che
preannuncia la venuta di Gesù.

Anche nel contesto di Malachia ci ritroviamo in un tempo di grande decadenza

(siamo attorno all'anno 450 a.C.). Il popolo si lamenta anche perché trova una grave contraddizione tra la propria convinzione religiosa e l'esperienza. La convinzione, che si direbbe avvalorata dalla visione della vita, è garantita nel versetto del Salmo 37,25: "Sono stato fanciullo ed ora sono vecchio, non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane"; ma l'esperienza mette, ogni giorno, sotto gli occhi, l'oppressione dei poveri da parte dei ricchi che prosperano, mentre il Signore non interviene.

Il Signore promette attraverso il profeta: "Manderò il mio messaggero e dopo di lui

un secondo e misterioso personaggio chiamato: "il Signore", "l'angelo dell'Alleanza", "il Signore dell'universo" (v 1).

Egli entrerà nel tempio e, come fuoco e come lisciva, purificherà i figli di Levi (v 3).

È importante questo richiamo alla purificazione del tempio che fa sorgere la

coscienza nuova di un popolo. Gesù si lamenterà dei sacerdoti e della classe

dirigente che avevano ridotto il tempio a "spelonca di ladri" (Mc 11,17).

La comunità cristiana rilegge la venuta di Gesù come una presenza nuova di Dio che porta fuoco e purificazione: la Parola e lo Spirito.

È chiaro che questo testo riconduce ad una riflessione sul nostro rapporto con Dio

nella Chiesa: nella chiesa come celebrazione dell'Eucaristia e nella chiesa come
presenza del popolo credente.

Se è pur vero che l'Eucaristia è carica di segni, questi segni vogliono manifestare una presenza nuova, ricca dei doni di Gesù: la Parola e lo Spirito dovrebbero aiutarci a preparare noi stessi come credenti che vivono nel mondo, rinforzati da forza nuova, dalla chiarezza dell'entusiasmo, dalla libertà interiore.

Fa tenerezza la conclusione di questo brano in cui si esprime la nostalgia di un

incontro e la difficoltà di dialogare nei rapporti con Dio: «"Tornate a me e io tornerò
a voi", dice il Signore degli eserciti».

Anche a noi viene rivolto lo stesso invito.

Lettera di san Paolo apostolo ai Galati 3, 23-28

Paolo, molto critico rispetto alla legge ebraica, ricorda, tuttavia, il senso profondo di un dono che, scritto da Dio, ha il compito di essere come un pedagogo. Il pedagogo era lo schiavo che si occupava dei figli di minore età del padrone, li conduceva a scuola per affidarli al maestro e aveva il compito di sorvegliare, preservare, mettere in guardia. La legge perciò ha svolto un compito prezioso, non si è contrapposta alla promessa che Dio ha fatto ad Abramo, unilaterale, dipendente da Dio e quindi stabile. Ma la legge ha mostrato i suoi limiti con la fede.

Giunti alla maggiore età, siamo diventati figli autonomi e liberi nella casa del Padre.

Con il battesimo siamo stati "rivestiti di Cristo". E a Cristo appartengono tutti i

credenti senza discriminazione. Qualsiasi differenza sussista nei diversi ambiti

(sessuale, sociale, civile, religioso) diventa irrilevante nell'ottica della identità nuova che viene conferita a chi diventa "uno in Cristo Gesù". Perciò le divisioni sociali e religiose non ci sono più in Cristo: giudei e pagani sul piano religioso; schiavo e libero, dal punto di vista dei diritti civili e sociali; maschio e femmina sul piano dell'identità di genere.

Noi, attraverso Gesù, raggiungiamo la maggiore età e una preziosa grandezza e uguaglianza agli occhi di Dio e quindi agli occhi di ogni umanità.

Essere figlio di Dio, appartenere a Cristo, vuol dire ricevere la promessa fatta ad

Abramo, promessa di vita e di benedizione per tutti coloro che riconoscono in lui il

benedetto da Dio, cioè colui che è capace di promuovere la vita non solo della sua famiglia, ma delle nazioni del mondo.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 1,6-8. 15-18

Il testo del Vangelo di Giovanni riprende la figura del Battezzatore sulle rive" del

Giordano. La prima "parte" (1,6-8). presenta il ministero di Giovanni Battista in

termini di testimone del Verbo (la Luce), così come è presentato nel prologo.

La seconda parte (1,15-18) ricorda il primo dei tre giorni in cui è collocata (nel IV

Vangelo) la testimonianza storica del Battista rispetto a Gesù.

- Giovanni (significa: "Dio è clemente") è un uomo mandato da Dio. Viene espressa la missione che ha origine divina e che è stata già significata dall'imposizione del nome fin dalla nascita.

- Testimone/testimonianza: Giovanni è testimone. (Nei vv.7-8 viene ricordato 3 volte il termine testimone/testimonianza per richiamare il valore teologico (e non solo il valore giuridico come se si dovesse parlare davanti ad un tribunale). Infatti, è "una voce" che parla a nome di Dio: testimone di Dio.

- "Cristo, Elia, il profeta" sono le tre espressioni dell'attesa messianica che verranno subito dopo ricordate (1,19 ss). Il Cristo è "il Consacrato" che porta la potenza di Dio. Elia è atteso come il profeta che ritorna vivo alla venuta del Messia (Mc.3, 22- 23-Mt.l7,10-13).

- Il Battista ripeterà per tre volte: "Non sono io né il Cristo, né Elia, né il profeta"

(1,20) per negare ogni presunzione ed ogni grandezza. Qui anticipa: «Era di lui che io dissi: «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (v 15).

E così, solo dopo queste negazioni, arriverà ad un'affermazione umile, ma

coraggiosa e positiva: "lo sono voce di uno che grida nel deserto".

- v 15: vengono richiamate le precedenze rispetto all'alleanza con Dio. Giovanni

nega di essere lo sposo del popolo dell'alleanza poiché prima di lui qualcun altro, che venga dopo di lui, gli passa davanti. Nel contesto della presentazione, Giovanni ricorda: "Non sono io il Cristo, ma sono stato mandato davanti a lui. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa, ma l'amico dello sposo, che è presente, ascolta ed esulta di gioia alla voce dello sposo. "Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io invece diminuire" (Gv 3,28-30).

- v 16: nel richiamo della luce, essa viene contemplata nel Verbo di Dio (v 14:

contemplare la gloria) e viene ricevuta. La comunità cristiana è testimone di questa esperienza di Gesù che porta la grazia attraverso l'amore di pienezza che Egli ha donato. Essa esprime una professione di fede in ciò che Gesù ha portato. Si potrebbe dire che "grazia su grazia" è la pienezza, il rapporto che Dio ha iniziato con la creazione, con Abramo, con Mosé sul Sinai ed ora completa con Gesù: è la pienezza di vita.

- v 17: viene qui contrapposta la Legge che fu un patto bilaterale tra Dio e il suo

popolo con la grazia e la verità totalmente gratuiti. La legge è stata offerta da Dio

attraverso Mosé, e attraverso Gesù diventano realtà la grazia e la verità, cioè la

rivelazione perfetta e la salvezza, aperte completamente come dono a tutti gli
uomini, solo con Gesù.

- v 18: nell'Antico Testamento è continuamente richiamata l'impossibilità di vedere il volto di Dio. Lo stesso Mosé si sentì dire: "non potrai vedere il mio volto perché

nessun uomo può vedermi e restare vivo" (Es 33,20). Ma nella coscienza della

comunità cristiana, Gesù, colui che hanno conosciuto, visto, ascoltato e che ha

profondamente conosciuto il Padre, può permettersi di farlo conoscere e di rivelare

la ricchezza di Dio, del suo pensiero, la sua novità: "Tutto ciò che ho udito del Padre, l'ho fatto conoscere a voi" (15,15). In tal modo Gesù ci ha introdotti nel mondo di Dio, nella pienezza, fino al punto da farci diventare figli di Dio.

 

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