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TESTO Giovanni dà testimonianza a Gesù

Ileana Mortari - rito ambrosiano  

V domenica T. Avvento (Anno A) (12/12/2010)

Vangelo: Gv 1, 6-8.15-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

E' la terza volta che, nel nuovo rito ambrosiano di Avvento A, incontriamo la figura di Giovanni Battista. Nella 2° domenica di Avvento lo avevamo visto nel vangelo di Luca, intento a predicare penitenza e conversione di vita; nella 3° Matteo ce lo presenta con il dubbio inquietante se Gesù di Nazareth sia o meno il Messia atteso.

Nel vangelo odierno lo ritroviamo in due brevi brani tratti dal Prologo del vangelo di Giovanni, che all'inizio presenta in tutto il suo splendore la luce, il Verbo, cioè il "progetto di Dio" che è vita in abbondanza e quindi parla del Battista come "un uomo mandato da Dio" (v.6), direttamente, al di fuori delle istituzioni religiose di allora, un profeta con un compito ben preciso, di nome Giovanni, che significa "dono del Signore" (in ebraico: Yohanan = Dio fa grazia). Egli è "testimone della luce": il suo compito è condurre non solo i figli di Israele, ma ogni uomo ("perché tutti credano" - v.7) a riconoscere il Messia-Luce.

Il Prologo, che racchiude in sintesi, "in nuce", tutto il vangelo di Giovanni, annuncia in sintesi quello che poi l'intero vangelo spiega. Così qui presenta il Battista come testimone; poi il cap.1, vv.32-34, ce lo mostra mentre, al momento del battesimo di Gesù, ascolta la voce del Padre e vede lo Spirito scendere e rimanere sul Cristo: per questo può "testimoniare" e condurre l'uomo alla fede in "Gesù-Luce".

"Egli rappresenta, in una figura tipica, tutti i che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di testimoniare nel mondo la presenza della luce divina; il suo messaggio ha di fatto una portata universale" (Dufour). Allora e oggi, il compito di Giovanni Battista è quello di destare nel cuore di uomini spesso indifferenti o paghi di sé l'anelito alla luce; e di risvegliare quel desiderio di vita in pienezza che, magari inconsapevolmente, ciascuno porta dentro di sé.

Tutto questo egli lo fa nella piena coscienza di essere inferiore a Gesù (v.15: "Egli è avanti a me"): il Nazareno, se si guarda al tempo storico della rivelazione, è più giovane del suo testimone, viene dopo il Battista, e tuttavia è superiore a lui per natura, grazia e missione: non è solo il Messia atteso, ma è colui che preesiste al tempo ed è Dio stesso! Giovanni ha ben chiaro il suo ruolo e forse in questo versetto c'è piuttosto una nota polemica contro quei discepoli del Battista che, ancora al tempo della redazione finale del vangelo (90-100 d. Cr.) continuavano a vedere in lui - e non in Gesù - il Messia (cfr. Atti 18,24; 19,7). Infatti, pur a una notevole distanza cronologica dalla sua morte (29 d. Cr. circa), la figura del Battezzatore risulta ancora imponente nei contesti giudaico-cristiani.

Alla testimonianza di Giovanni corrisponde la dichiarazione del gruppo credente: "Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia" (v.16). "Pienezza" (greco "pleroma") è una formula biblica stereotipa che nei salmi indica la totalità e ampiezza dell'azione creatrice e sovrana di Dio. Ora tale pienezza, o ricchezza di vita divina, è propria anche del Figlio Unigenito, fonte inesauribile dei beni salvifici, come si capisce dal dono che Egli fa agli uomini di "grazia su grazia"; la grazia è la salvezza che viene effusa in pienezza; "grazia su grazia" ne indica un'effusione piena e costante.

A questo punto l'evangelista sottolinea chiaramente la distanza tra le due diverse tappe della salvezza, l'Antica e la Nuova Alleanza, i cui mediatori sono rispettivamente Mosè e Gesù: nella rivelazione provvisoria del Sinai Dio ha fatto al suo popolo il dono prezioso della Legge; ma nella rivelazione messianica e definitiva ecco che, per nella nuova mediazione, giungono agli uomini "la grazia e la verità, per mezzo di Gesù Cristo", "il Figlio Unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità" (v.14 c).

Grazia ("hesed" in ebraico) indica un amore di benevolenza, di compassione, di misericordia senza fine; derivando da una radice che significa "essere fermi", sottolinea la duratura affidabilità di Jahvè come Salvatore (cfr. il significato di grazia visto sopra. Quanto a verità, l'espressione nella Bibbia rimanda non solo a ciò che è vero, ma, prima ancora, a ciò che è solido, ciò su cui si può fare affidamento. Gesù stesso è la verità (cfr. Giov.14,6); così "essere nella verità" (tipica frase giovannea) significa collocarsi in un legame solido con Dio e ad esso affidarsi.

Grazia e verità non annullano, ma superano la Legge antica, aprendole nuovi orizzonti e sprigionandone l'autentico significato. In Gesù, "pieno di grazia e di verità" Dio ha detto la sua ultima, definitiva Parola e ha compiuto le sue promesse.

Un primo fondamentale effetto della presenza del Figlio Unigenito nel mondo è la risposta a un bisogno primordiale insito nell'uomo: incontrare Dio.

"Dio, nessuno lo ha mai visto": Giovanni qui ribadisce quanto affermato da tutto l'Antico Testamento: l'uomo non è in grado, finché vive quaggiù, di vedere Dio così come Egli è; non potrebbe sostenere la sua vista, non solo perché peccatore, ma prima ancora perché creatura fragile e provvisoria, incapace di contenere il Mistero divino che lo ha suscitato.....L'insegnamento biblico è coerente: nessun uomo può conoscere Dio, se Dio in qualche modo non gli si rivela; né tanto meno può stabilire un rapporto personale con Lui, se Dio per primo non gli viene incontro...........Nessuno ha mai visto Dio, ma l'Unigenito, che è Dio e che è uno col Padre, fattosi uomo, ha permesso agli uomini di "vederlo", di conoscerlo, nella misura suprema consentita all'uomo su questa terra Gesù, il Logos fatto carne, ha "espresso" (è un traduzione di "exeghèsato" = rivelato) Dio nella forma più completa accessibile all'uomo, cioè vivendo da uomo tra gli uomini; ha vissuto Dio da uomo, perché l'uomo diventi uno con Dio."

(da "Il Logos di Dio" di Emilio Fermi, Ediz. SBC, pp.91-93 passim)

"Chi ha visto il Figlio ha visto il Padre" (Giov.14,9), perché Gesù è l'esegesi, la spiegazione, il racconto del Padre che crea, salva, dà la vita.

Come si è visto dai tre passi citati, il mirabile vangelo di Giovanni, a cui il Prologo ci introduce, esemplifica ampiamente il denso contenuto delle parole che abbiamo letto nella pericope odierna, come di tutte le parole dell'inno iniziale.

Leggendo la narrazione giovannea e soprattutto meditandola a lungo, si può incontrare la Luce testimoniata dal Battista, vederla brillare nei gesti miracolosi compiuti dal Nazareno, "segni" che rimandano alla sua divinità; e si potrà conoscere sempre meglio la straordinaria personalità di Gesù, perennemente unito al Padre in una comunione che è offerta ad ogni credente; in una mutua immanenza che, travalicando qualsiasi utopia ultraterrena, prende addirittura dimora nell'uomo stesso; e in una pienezza di vita che viene partecipata a chiunque accoglie il Verbo incarnato.

 

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