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TESTO Una vita bella perché amata

don Maurizio Prandi

I Domenica di Avvento (Anno A) (28/11/2010)

Vangelo: Mt 24,37-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

Oggi cominciamo un nuovo anno liturgico oggi. La prima sosta nelle nostre comunità qui a Cuba l'abbiamo fatta proprio sul verbo "cominciare" e sulla sua bellezza. Accogliere questo verbo significa essere consapevoli che qualcosa di nuovo bussa alle porte e chiede di entrare nella nostra vita; certo è qualcosa che ancora non conosciamo bene, ma che siamo disposti a ricevere con fiducia dalla mano di Dio. Una cosa la sappiamo già però, ed è il primo dono che riceviamo dalla bontà di Dio: la compagnia dell'evangelista Matteo, che ascolteremo ogni domenica alla luce di quello che secondo me è il messaggio centrale che lui stesso vuole trasmetterci Dio è sempre presente in mezzo a noi. Matteo pare proprio molto affezionato a questa idea, la ripete tre volte, prima all'inizio del suo vangelo: 1,23 - si chiamerà Emanuele, che significa Dio con noi; poi a metà: 18,20 - quando due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro; e alla fine: 28,20 - io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

La prima lettura ci dice che anche in una situazione difficile, terribile, possiamo sperare, confidare nelle promesse che Dio ha fatto al suo popolo; è proprio questa speranza ad animarci in questo tempo di attesa... sì, perché non possiamo dimenticare che il tempo di Avvento (l'avvento è la venuta imminente di qualcosa o qualcuno che aspettiamo ardentemente) è un tempo di attesa a tre livelli differenti: per noi cristiani è memoria della prima venuta di Gesù (e per questo diciamo che ci prepara al Natale anche se non è poi così corretto dal punto di vista della dottrina) che trasformò la storia mostrandoci quanto è grande l'amore di Dio; da quel giorno infatti e per sempre possiamo godere vivendo della intima relazione con Lui. Di più: Gesù viene oggi nella nostra vita, nei nostri fratelli e sorelle ammalati, nei poveri, nella parola di Dio che ascoltiamo, nelle nostre comunità (più o meno sgangherate..) nei sacramenti che riceviamo. Infine, ed è la venuta alla quale l'Avvento vuole prepararci più direttamente, Gesù ritornerà un giorno in maniera definitiva per quel giudizio di amore e di misericordia che tutti speriamo. Un tempo di ascolto quindi per disporci a ricevere Gesù nella nostra vita.

Ci accompagna un simbolo che è presente in tutte le letture di oggi: il giorno, così come è costituito nel suo alternarsi di luce e di tenebra, di chiaro e di oscuro. La nostra vita è così, come i giorni che viviamo: luce e oscurità. Il capitolo 35 del libro del profeta Isaia, dal quale è tratto il brano che ascoltiamo oggi, è un'oasi di pace in un momento molto difficile per il popolo d'Israele sconvolto dalla guerra, dalla morte, dal rischio di soccombere al nemico. In tutto questo però la speranza, una luce misteriosa si irradia da una collina e chi sale sul monte, chi si lascia illuminare sarà un seme di pace. Che bello che la parola di Dio ci chieda di salire, di fare fatica anche noi, di capire che non è Dio a fare tutto ma che ognuno di noi deve fare la sua parte. Dio ci chiede di salire, questa è la condizione per essere luce anche noi; la vita è questo cammino, è questo pellegrinaggio, è questa "collaborazione" tra Dio e gli uomini. Credo che il monte dal quale si irradia questa luce è il monte della Croce perché da lì e solamente da lì può nascere, sgorgare la pace. In settimana, ascoltando le letture tratte dal libro dell'Apocalisse ci ha colpito molto quell'immagine di tutti i morti riuniti davanti al trono. I nostri fedeli qui a Cuba erano molto impressionati dall'immagine e già vedevano un processo che aveva come conclusione la condanna da parte del re. Io interpretavo così: i morti, tutti i morti davanti al trono che soltanto domenica scorsa abbiamo detto essere la Croce di Gesù Re dell'universo, e se anche qualcuno ci trovasse non degni, le parole del Figlio, quelle che non passeranno mai, risuonerebbero come un eterno canto di misericordia: perdonali, non sanno quello che fanno... oggi sarai con me in Paradiso. Non so dire, ma questo a noi ha fatto bene e ci ha "tranquillizzato" un po'. Una volta ancora Dio in Gesù ci dice che non risolve niente, però desidera condividere un destino e il nostro sguardo allora non può non cambiare. Gesù è così importante per noi.. ma non perché cambia le cose, è importante perché ci vuole bene, e quando qualcuno ci vuole bene cambia tutto intorno a noi. La vita è bella non perché tutto fila alla perfezione, ma perché Dio ci ama.

Tenebre e luce anche nella seconda lettura. Una notte che volge al termine (avanzata) e il giorno che si avvicina e che ci invita a scegliere non il buio, ma la bellezza e lo splendore della luce. Scegliere di mettere, come abito, la vita di Gesù, trasformando le nostre vite in segni luminosi di onestà e trasparenza. Davvero bello infine, l'invito che s. Paolo ci fa a vivere alla luce del giorno senza nascondere niente.

Anche il vangelo ci propone le immagini della notte e del giorno. Forse è un abuso liturgico, ma noi abbiamo letto questo passaggio non dal versetto 37 ma dal versetto 36. 36 Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre. 37 Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.... A me aiuta molto scoprire che la mia condizione di non sapere né il giorno né l'ora è la stessa condizione di Gesù, mi aiuta a scorgere nella vita di Gesù la maniera giusta di coniugare il verbo vigilare, vegliare: una vita la sua, vissuta nell'attesa del compimento del progetto del Padre. Quello che ci è chiesto allora è di vivere così, quella vita bella, buona, capace di cogliere nel presente una parola importante, diversa dalle altre parole... così ha fatto Noè, che si stacca dalla mentalità di tutti e pur non sapendo il momento del diluvio si prepara. Don G. Nicolini ha un pensiero che mi piace condividere con voi: non sapendo l'ora, siamo invitati a fare della vigilanza l'atteggiamento di tutta la nostra vita: non facciamoci sorprendere dall'ora, ma viviamo sempre come in quell'ora. D'altronde, un simile atteggiamento toglie dalla vigilanza cristiana ogni nota di emergenza (viviamo un po' troppo secondo me, nella chiesa, in un perenne stato di emergenza che sinceramente trovo non in sintonia con il vangelo) e di ansietà, ma la trasforma in un'attenzione a vivere bene, positivamente, soprattutto nella carità, ogni tempo e ogni fatto della nostra vita. Credo che questo ci aiuta a recuperare la preziosità di ogni frammento della nostra storia personale e collettiva come una "storia visitata". Se la nostra attenzione si concentrasse in un punto specifico e determinato del futuro, il "presente" della nostra vita sarebbe insignificante; invece ogni istante va vissuto come apertura al futuro, nella vigilanza nei confronti della venuta del Signore.

 

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