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TESTO Camminiamo nella luce del Signore!

don Alberto Brignoli  

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I Domenica di Avvento (Anno A) (28/11/2010)

Vangelo: Mt 24,37-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

E così, siamo nuovamente alle prese con il cammino di preparazione al Natale. Il cammino di Avvento (così come quello di Quaresima) ha delle dinamiche che ogni anno fanno il loro ritorno proprio in questa circostanza; dinamiche alle quali si accompagnano pure atteggiamenti nostri ben definiti.

Mi sembra di sentire già, ad esempio, quella voce che risuona in ognuno di noi intorno alla quarta domenica di Avvento, oramai alle porte del Natale, e che ci fa dire: "È arrivato il Natale e, preso da tante cose, non me ne sono nemmeno accorto e quindi ho un po' sprecato il tempo di Avvento".

C'è da dire che l'Avvento è un tempo liturgico alquanto "anomalo" rispetto, ad esempio, alla Quaresima. Se infatti la Quaresima ha un inizio piuttosto solenne con un giorno infrasettimanale reso ancor più particolare da un rito suggestivo come quello delle Ceneri, il tempo di Avvento inizia semplicemente all'interno di una scadenza settimanale fissa, quella di una messa domenicale in cui ci si accorge che qualcosa è diverso dal solito per via dei paramenti del sacerdote che diventano viola dopo tante domeniche "in verde", da una corona di rami di pino con quattro candele che sembra più natalizia che di Avvento, e forse anche da qualche canto differente dove il termine più ricorrente è l'invocazione "Vieni" rivolta al Signore.

La Quaresima porta con sé un austerità tutta particolare anche per via della pratica legata alle rinunce, ai sacrifici, alle penitenze (i "fioretti", come li definiamo popolarmente), oppure a momenti liturgici e di devozione popolare specifici per questo tempo (pensiamo alla "Via Crucis"), mentre in Avvento le devozioni particolari o i gesti di penitenza significativi non sono così evidenti. Per cui, ci viene quasi naturale "snobbare" un po' questo tempo liturgico, lasciando che passi quasi inosservato e che ci trascini quasi per inerzia verso il Natale che comunque, per esigenze di calendario, verrà con impeccabile puntualità il 25 dicembre.

Eppure, se ascoltiamo la Liturgia della Parola di questa domenica inaugurale dell'Avvento 2010 ci accorgiamo che c'è poco da starcene con le mani in mano. Il Salmo Responsoriale ci esorta a metterci in cammino e ad "andare con gioia incontro al Signore"; il Vangelo ci dice di "tenerci pronti perché il Figlio dell'uomo viene nell'ora che non immaginiamo"; la seconda lettura si spinge molto più in là, invitandoci con una certa decisione e anche con una certa dose di esagerato zelo ad abbandonare "orge e ubriachezze, lussurie e impurità, litigi e gelosie" per "rivestirci del Signore Gesù".

Solo la prima lettura appare come un testo relativamente "tranquillo" nonostante sia un testo profetico, in quanto non dà delle precise determinazioni su ciò che dobbiamo fare in vista della "imminente venuta del Signore". È proprio il caso di dire che l'apparenza inganna, perché - a mio modesto parere - è proprio quanto viene proclamato, pur senza indicazioni pratiche, nella prima lettura, a dare il senso a questo tempo di Avvento, per sua natura un po' "sfuggente".

Soprattutto la parte finale della prima lettura mi pare dica con forza il senso di questo tempo: ovvero, quando si proclama il rinnovamento totale e definitivo delle relazioni tra gli uomini sulla faccia della terra come conseguenza dell'arrivo del "giorno del Signore": le spade si trasformeranno in aratri, le lance in falci, e nessuno più si eserciterà per combattere una guerra. Da un mondo che distrugge con la guerra a un mondo che semina la pace; da un'umanità che taglia per spezzare una vita a un'umanità che taglia per via di un raccolto da mietere. Questo sarà il risultato della venuta del Signore che, nel suo giorno, "alla fine dei giorni", dall'alto del monte su cui è collocato il suo tempio, si siederà sul trono del suo giudizio e giudicherà in maniera inappellabile la storia per emettere la sua sentenza: la guerra non esiste più, nel mondo esiste solo una logica di pace.

Che utopia...sarebbe da raccontare agli abitanti dell'isola coreana dal nome impronunciabile che dopo una tregua durata 60 anni si vedono piovere addosso all'improvviso missili dal cielo, oppure ai civili afghani che ogni giorno scappano da bombe e raffiche di mitra... Come si fa a dire che questi "non impareranno più l'arte della guerra", quando la assumono sin da bambini quasi come il latte materno? E per di più, quella del profeta non è un'esortazione alla speranza ("speriamo che un giorno termini la guerra"), ma un vera e propria affermazione, data per certa, quasi scontata...

Cosa significa questo? Non sarà forse che dietro questa affermazione, che riguarderà certamente il futuro, ma che è data per certa, non ci sia il senso delle esortazioni che citavamo negli altri testi delle letture di oggi, e quindi del nostro camminare quotidiano, e quindi anche del Tempo di Avvento che oggi inauguriamo?

Non vorrà forse dirci, il Signore, attraverso il profeta Isaia, instancabile compagno di viaggio dell'Avvento, che quello della pace è il destino di gloria a cui ci chiama il Signore, ma che siamo chiamati già a costruire qui, oggi, senza tentennamenti, tenendo alta la guardia, senza farci prendere dalla pigrizia, con gioia, e attraverso atteggiamenti di riconciliazione, prima con noi stessi e poi di conseguenza con gli altri?

Non sarà che quest'Avvento, invece di essere il tempo "snobbato" dell'Anno Liturgico deve diventare un momento in cui costruire relazioni più giuste tra di noi rinunciando ad atteggiamenti litigiosi, a gelosie, a invidie e a ripicche reciproche?

Non sarà che quest'Avvento, invece di condurci "con inerzia" al Natale, ci deve vedere impegnati ad andare con gioia incontro al Signore attraverso una forte ascesi personale che ci porti a lottare in maniera decisa contro le debolezze della nostra natura umana (alcune elencate in maniera forte da Paolo nella seconda lettura), che spesso sottovalutiamo perché le riteniamo appunto "strutturali" alla nostra natura, ma che possono diventare ancora una volta motivo di ingiustizie commesse nei confronti dei più deboli?

Non sarà che quest'Avvento deve risvegliare in noi un po' di fede e di attenzione alle cose di Dio, invece di lasciare che la nostra attenzione sia catalizzata dalle vicende il più delle volte squallide dei personaggi noti della nostra società civile, politica e a volte anche religiosa?

Se il nostro spirito si irrobustisse in questo tempo di Avvento almeno quanto cerca di farlo nel tempo di Quaresima, il nostro canto non sarebbe più solo "Vieni, Signore, e risolvi i problemi di questa terra", ma si trasformerebbe nella bellissima esortazione con cui Isaia ci saluta, quest'oggi, al termine del suo esordio d'Avvento: "Vieni, popolo d'Israele: camminiamo nella luce del Signore".

 

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