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TESTO Perdono e regalità

don Maurizio Prandi

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2010)

Vangelo: 2Sam 5,1-3|Col 1,12-20|Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Nell'ultima domenica dell'anno liturgico la chiesa ci invita a celebrare la regalità di Gesù e la liturgia di questo giorno ci aiuta a comprendere il vero senso del verbo regnare. Per le nostre comunità qui a Cuba è anche la fine di un lungo percorso che dal mese di maggio fino ad oggi ci ha visti in cammino con Gesù verso Gerusalemme e verso la sua morte in croce, meta del suo peregrinare terreno.

A prepararci a questa festa ci hanno aiutato anche i brani di vangelo e le letture ascoltati in settimana:

- il peccatore Zaccheo, che accoglie in Gesù il perdono di Dio;

- il servo "malvagio" della parabola delle mine, che, al contrario, ha riposto in un sudario (traduzione letterale del termine che la nostra Bibbia traduce con fazzoletto) la sua mina, considerando così i doni di Dio e la sua misericordia come qualcosa di morto, incapace di dare frutto;

- il pianto di Gesù appena giunto a Gerusalemme, perché sa che nei suoi responsabili civili e religiosi non incontrerà l'umanità capace di riconoscere ed accogliere il dono;

- i poveri e i semplici del vangelo di venerdì che accolgono la parola di Gesù ed aderiscono ad essa al punto da pendere dalle sue parole... ci ha colpito molto la traduzione letterale, che è: ascoltando erano appesi a lui dove questo verbo pendere è sempre usato nell'antico e nel nuovo testamento in riferimento alla crocefissione. Ecco dove ci porta l'ascolto, ad essere crocefissi con lui per risorgere continuamente nella novità del vangelo.

La festa di oggi, facendoci contemplare la Croce di Gesù, ci dice tutta la bellezza del volto del Dio in cui crediamo, bellezza confermata anche dalle letture ascoltate.

La prima lettura ci dice che Dio considera gli uomini non come dei sudditi ma come sua famiglia: Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Il secondo libro di Samuele ci racconta oggi come il cammino del popolo d'Israele giunga ad un punto di unità e la divisione tribale e territoriale tra le tribù del sud e del nord è così superata. Il card. Martini, parlando ai suoi preti e spiegando loro proprio questo versetto (2Sam 5,1), facendo un percorso attraverso altre pagine che citano la stessa espressione (2Sam 19, 12-15 e Gen 29,14) dice che questa espressione significa essere membri della stessa famiglia (bello anche il nostro testo in spagnolo: somos de tu misma sangre). Tutti gli anziani allora, in rappresentanza di tutte le tribù fanno un patto, un'alleanza e, pur non scorrendo lo stesso sangue nelle vene, pur non essendo della stessa famiglia di Davide, in forza di questa alleanza lo diventano. Il consanguineo, per l'ebreo della Bibbia, è colui per il quale ci si batte fino alla morte per difenderlo scrive il card. Martini. Io credo che questa idea trova la sua spiegazione nel passaggio di vangelo che abbiamo ascoltato, dove Dio, in Gesù dice ad ognuno di noi: Tu sei mia carne, tu sei mie ossa, lo stesso sangue scorre nelle nostre vene, siamo l'uno per l'altro, non ti abbandonerò mai. La croce ci dice fino a che punto arriva la fedeltà di Dio e dove dovrebbe arivare la nostra.

La seconda lettura nel suo inizio credo rafforzi questa idea facendoci riflettere sul verbo partecipare, essere famiglia di Dio è anche questo partecipare di una eredità. Il testo in spagnolo, che parla di una herencia aiuta a comprendere meglio: "sorte" veniva chiamata quella porzione di terra che veniva assegnata a sorte ad ognuna delle tribù nella terra promessa, e quella terra diventava la loro eredità. Solo i familiari di qualcuno, di norma, hanno accesso all'eredità: che bello allora scoprire oggi di essere, appunto, ognuno di noi questa terra feconda, di una fecondità ricevuta per dono, per grazia. I versetti 13 e 14 sottolineano questo aspetto della gratuità e ci dicono che la relazione con Dio si può instaurare perché Lui ci libera dal buio, dall'oscurità, da tutte quelle situazioni negative che sembrano chiudere il cielo sopra di noi per "trasferirci" nel regno di suo figlio e questo grazie a Gesù e alla sua vita donata per amore. Davvero noi con le sole nostre forze non ce la possiamo fare: è Dio che ci libera e ci "trasferisce" anzi, "ci ha trasferito" perché è un qualcosa di accaduto una volta per sempre; che bello: se istintivamente possiamo pensare che il premio arriva alla fine di una fatica, qui s. Paolo afferma che la salvezza è un'opera di Dio già compiuta. Don Giovanni Nicolini scrive: il trasferimento è già avvenuto... non si tratta di ricevere un premio alla fine della vita, ma di custodire e di far fiorire il dono della vita eterna in questa strada dell'esistenza terrena lungo la quale camminiamo verso la casa di nostro Padre. In settimana, abbiamo condiviso, in parrocchia a Manacas, un'idea che sento vicina a questa, ascoltando la prima lettura della messa tratta dal libro dell'Apocalisse e l'invito che la voce fa a Giovanni (e in lui ad ogni ascoltatore della Parola credo): Sali quassù... quello che ci è impossibile con le nostre forze si può fare grazie all'aiuto di Dio è e subito fui in spirito...

Il brano di Vangelo ci auta a comprendere come una volta di più sono i semplici e coloro che avvertono che cambiare è possibile a capire qualcosa di Gesù, e come i capi, i forti, si chiudono all'incontro con Dio. Una regalità derisa quella di Gesù, dai capi del popolo e dai soldati, una regalità insultata dalla disperazione di uno dei due malfattori crocifissi con lui, una regalità contemplata dal popolo (che peccato che nel testo in spagnolo si perda questo particolare così importante) presente sotto la croce, silenzioso, attento, infine una regalità riconosciuta dal cosiddetto buon ladrone. Per tutti vale però lo stesso particolare: la regalità di Gesù è affermata nelle parole dei capi, dei soldati, dei compagni di supplizio, nella scritta sopra il suo capo. Mi colpisce molto quanto ha scritto E. Bianchi sul buon ladrone: lo lego al cammino circa il discepolato che abbiamo fatto fino ad oggi. Scrive che è la figura del discepolo, perché attua la correzione fraterna (non hai timore di Dio), riconosce il male commesso e ne è pentito, riconosce l'innocenza di Gesù e infine chiede misericordia confessando la sua regalità. Mi piace questo legare la regalità al perdono, Gesù dalla croce perdona e perdona tutti, per questo è re, ma non semplicemente dei giudei: è re dell'universo, di ognuno di noi che ci riconosciamo bisognosi della misericordia di Dio.

Possa essere così anche per noi: vivere nel timore di Dio, che non è vivere nella paura, ma è capacità di riconoscerne la presenza, celebrandola ogni giorno in quell'ascolto della Parola che ci porta ad essere "appesi a Lui".

maurizioprandi@obistclara.co.cu

 

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