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TESTO Il tuo profondo conosce ogni cosa

Marco Pedron  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - Cristo Re (21/11/2010)

Vangelo: Lc 23,35-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Oggi è la festa di Cristo Re, cioè di Cristo termine, signore di ogni cosa e di ogni evento. E' una festa recente: non ha neppure cento anni. La vera festa di Cristo Re sarebbe il giorno dell'epifania, quando i Re Magi si inginocchiano davanti ad un bambino in fasce: i grandi della terra, i re, i sapienti che si inchinano di fronte ad un re, ad un bambino, a ciò che è piccolo. Come a dire: il vero re non è tanto chi comanda, chi sa, chi è potente, chi è in alto, ma il vero re è chi sa accogliere ciò che è piccolo, basso, umile e in divenire.

La festa di Cristo Re è nata negli anni '30, quando c'erano il fascismo e il suo re Mussolini. Allora Papa Pio XI volle contrapporre al re un altro re. Lì Mussolini, qui Cristo; al re politico, il re religioso. Si era pensato a questa festa come qualcosa di pomposo, di trionfale, di glorioso, come era per tutti i re mondani. Ma nel vangelo non c'è proprio niente di glorioso, né di trionfalistico.

Il vangelo di oggi, infatti, ci propone la scena del Calvario: Gesù è in croce e molte persone sono presenti sulla scena.

C'è la gente. La gente guarda, continua a guardare e continuerà a guardare. Osservate: il popolo non dice nulla, non reagisce, non si ribella, non si indigna, non chiede spiegazioni, non si muove. Davanti ha un'ingiustizia palese; davanti ha il figlio di Dio, una delle situazioni più crudeli della storia e non dice nulla. Come se non ci fosse. E' l'indifferenza.

A molta gente basta un po' di pane sotto i denti, qualche divertimento, "tirare avanti" e non essere disturbati. Non si sporcano le mani su niente "perché non si sa mai!". Non vuole essere coinvolta; non vuole avere problemi: non si espone e non prende posizione. Ma questa è già una posizione. Quando la gente dice: "Io faccio gli affari miei e non disturbo nessuno", questa è una posizione e non può giustificare, non ci può deresponsabilizzare. Non solo chi ha ucciso Gesù ne è il responsabile ma anche chi potendo fare qualcosa, anche solo alzando la sua voce, anche solo ribellandosi, anche solo opponendosi, non lo ha fatto.

Quando non mi indigno di fronte a ciò che succede allora lo accetto. Quando non prendo posizione di fronte a ciò che sta accadendo allora lo favorisco. Quando ciò che vedo non mi fa riflettere, piangere e cambiare allora favorisco il male. Quando ci sarà chiesto conto della distruzione del pianeta cosa risponderemo: "Io non ho fatto niente"?. "Quindi ti andava bene!". Allora ne sei colpevole. Quando ci sarà chiesto conto di milioni di persone che muoiono per la voracità dell'occidente, cosa risponderemo: "Io non ho rubato a nessuno"?. Quindi ti andava bene così. Quando di fronte a ciò che accade io non ho mosso il sedere, non mi sono interrogato, non ho tradotto la mia indignazione in azione e non mi sono messo in gioco, cosa risponderemo: "Io ho avuto paura"?. "Allora hai fatto i tuoi interessi, avevi paura di perdere qualcosa". Quando di fronte alla moda, alla linea di pensiero di tutti, alla corrente, alla banalità del vivere io la seguo, cosa risponderemo: "Ma lo facevano tutti"?. "Ma tu non hai una testa tua?". Colpevole.

Perché la gente non fa niente non vuol dire che non sia responsabile di ciò che succede. E' proprio per questa indifferenza, per questo stare a guardare e non intervenire che si compiono le peggiori crudeltà, che nazioni cadono sotto despoti e tiranni, che avvengono nel silenzio carneficine di uomini. E' proprio per questo disinteressarsi che i potenti possono fare ciò che vogliono. Loro lo fanno ma la gente, non intervenendo, ne è complice.

Poi ci sono i capi del popolo. I capi sbeffeggiano Gesù, si prendono gioco di lui e lo disprezzano. I capi sono quelli che sfruttano a loro vantaggio ogni situazione. Con abili manovre politiche, con una buona comunicazione "te la girano" e ottengono sempre ciò che vogliono ottenere.

Non si capisce come sia possibile che tutti i governi parlino di riduzione delle tasse ad ogni piè sospinto (manovra che suscita appoggio nella gente) e che il 48% degli italiani spenda tutto ciò che guadagna perché è impossibile "metter via" qualcosa.

I potenti fanno i loro interessi e si prendono gioco della gente (mica glielo dicono!). Con quelli che se ne accorgono (Gesù), invece, sono feroci e li condannano alla gogna pubblica.

Poi ci sono i soldati. I soldati hanno le armi e la forza. I soldati rappresentano l'ignoranza e l'ottusità delle persone ("gli si accostavano per porgergli aceto") che credono di essere libere, credono di essere forti, credono di essere qualcuno (hanno le armi) e, invece, non sanno che sono solo schiave di poche persone e di pochi capi.

Quante persone si ritengono libere e fortunate perché si possono permettere "certe cose" e neppure si accorgono di essere schiave del sistema e di essere delle marionette senza midollo in mano di poche lobbies che gestiscono in tutto la loro vita ma che gli fanno credere di essere libere e potenti.

Poi ci sono anche i due malfattori. Uno dei due è arrabbiato con la vita, con Dio e con tutti, come se fosse colpa degli altri la sua sorte. Ma ciò che gli accade è la conseguenza della sua vita. Tutto l'odio, la rabbia per la sua vita, lo scarica e lo getta addosso a Gesù.

Quanta gente è arrabbiata, risentita con tutti: dentro sono insoddisfatti e gettano fuori tutta la loro frustrazione per una vita che non li ha resi felici, né realizzati.

Tutti gli dicono: "Salva te stesso". Ma la frase è ironica, sarcastica. Quello che dicono a Gesù è quello che dovrebbero dire a sé. Sono loro che si devono salvare; sono loro che devono cambiare; sono loro che non si rendono conto che proprio essi sono i condannati, gli imprigionati, i condizionati, gli schiavi. E non se ne accorgono.

Dovrebbero dire: "Non lui, ma me stesso devo salvare". Credono di vedere uno crocifisso e invece stanno vedendo un uomo libero. Credono di essere liberi e invece sono crocefissi dalle loro paure e condizionamenti. Credono di vedere e, invece, sono ciechi. Credono di vivere e non sanno che sono morti dentro.

Ma c'è anche un malfattore che capisce e accoglie Gesù. Anche in quella situazione di impotenza totale si può fare qualcosa: dirgli di sì e accoglierlo.

Il malfattore riconosce il suo errore e chiede perdono. Tutti guardano a Gesù: "Salvi se stesso". Solo il malfattore guarda a sé: "Noi giustamente, ma egli non ha...".

Salvezza è guardare a sé; condanna è guardare agli altri: "Se tutti facessero, allora anch'io; io faccio come tutti". Salvezza è riconoscere il proprio errore, la propria non-luce, la propria cecità; salvezza è aprire gli occhi.

Questo è quello che ciascuno di noi può fare: "Se finora ho vissuto così, da oggi si cambia. Oggi ti accolgo e ti faccio entrare in casa mia. Oggi ti dico di sì. Oggi cambio. Oggi inizio".

Se finora ho vissuto nel disinteresse, oggi cambio. Se finora ho vissuto delegando, da oggi si cambia. Se finora ho incolpato gli altri della mia infelicità, da oggi si cambia. Se finora ho imprecato e bestemmiato contro Dio per ciò che accade, da oggi si cambia. Se finora ho vissuto nella paura e nella difensiva, da oggi si cambia. Questo è il paradiso: da oggi posso cambiare. Se finora è andata così, oggi posso cambiare. Non è mai troppo tardi per iniziare. Mai!

Quel "salva te stesso e anche noi" è terribile. Come a dire: "Se tiri fuori il tuo potere mi servi".

"A cosa serve Dio?". "A niente!". Se pensi che Dio serva a far soldi, a dare lustro alla tua immagine di brava persona, ad essere rispettato, a risolverti i tuoi problemi di relazione, a coprire le tue insicurezze, a tappare i tuoi buchi, allora Dio non ti serve proprio a nulla. Ne rimarrai deluso. Se pensi di chiamare in causa Dio per ciò che non va nella tua vita o nel mondo; se pensi di chiamare in causa Dio di fronte a tutte le disgrazie che succedono ne rimarrai molto deluso. Perché questo Dio non ti serve.

"Stai attento a non usare Dio!". Dio è la forza delle tue gambe: ma sta a te camminare.

Dio è l'amore del tuo cuore: ma sta a te protenderti, incontrare e abbracciare.

Dio è la voce che dalla coscienza sale alle tue labbra: ma sta a te parlare.
Dio è lo sguardo dei tuoi occhi: ma sta a te aprirli.
Non chiedere mai a Lui ciò che tocca a te.
Non delegare mai a Dio i tuoi compiti.

Dio è forza ma non fa azioni di forza. Dio è luce ma non ti spiaccica davanti la verità. Dio è potente ma non violenta nessuno. Dio è la vita ma non costringe.

Il quadro dei due malfattori è una scena molto profonda. Sono due malfattori, due uomini giustiziati giustamente (almeno secondo le leggi di quel tempo). Quello che subiscono non è ingiusto come per Gesù: sono due malfattori, hanno ucciso. Sono uomini che hanno sbagliato a vivere, che hanno fallito, che hanno mancato il bersaglio della loro vita (peccato in ebraico è mancare il bersaglio). Sanno di aver sbagliato. Ma uno dei due lo ammette e può ricevere il perdono, l'altro no.

Non si può ricevere nessun perdono se non si accetta di aver sbagliato. Nessuno ti può perdonare se tu non accetti la tua ferita o il tuo errore. Giuda era morso dal senso di colpa per ciò che aveva fatto ma non l'aveva accettato. E si è ucciso. Così chi non sa accettare il proprio errore e non si sa perdonare si uccide, non si concede nessun'altra possibilità di vita.

Come i due malfattori noi sbagliamo e falliamo in tanti modi e in tante maniere. Ogni sbaglio ci produce un senso di colpa: "Non dovevi farlo; non dovevi agire così; non dovevi essere così". E che si fa? O ci si ostina nel non vedere o si accetta questa realtà che ci fa male.

Un uomo ha lasciato la moglie e due figli e si è rifatto una vita. Fa un sacco di cose per i suoi figli avuti dal primo matrimonio ma nel profondo si sente in colpa verso i suoi figli (e non lo vuole ammettere) perché sa di aver provocato loro molto dolore. Perdonarsi è ammettere, esprimere che è vero che ha ferito i suoi figli; è accettare di aver fatto soffrire i propri figli ma che è degno di vivere ancora.

Le donne che abortiscono hanno un tremendo senso di colpa latente: uccidere una vita è uccidere la propria vita. Stabilire che una vita non è degna di vivere è stabilire che la propria vita è indegna di vivere. E che si fa? Finché questo senso di colpa profondo non esce, non viene scoperto e ammesso, non esce alla luce nel profondo, si sentiranno con un macigno con un'onta, con una macchia indelebile.

Alcuni genitori sanno di non aver educato in maniera sana i propri figli. E si sentiranno in colpa verso di loro, sentiranno di non avergli dato l'essenziale: l'amore; o di non avergli trasmesso la fiducia della vita.

Tu te la puoi raccontare sulla tua vita dicendoti che ce l'hai messa tutta, che di più non potevi fare. Ma il tuo profondo sa se ti sei accontentato o no, se ti sei adattato o no, sa se hai avuto paura di vivere, di osare e di rischiare o no. E siccome a lui non puoi mentire, lui sente la colpa.

Tu puoi tradire tua moglie e magari lei non lo viene mai a sapere. Puoi dirti di non sentirti affatto in colpa (perché non lo senti). Ma il profondo sa ogni cosa e sa cos'abbiamo fatto. Accettare il perdono è accettare che tu hai tradito la sua fedeltà, è vederti debole, vulnerabile, fallibile. E non vorresti vedere così. Non vorresti ammettere che tu, proprio tu hai agito così. Ma finché non lo ammetterai rimarrai legato al senso di colpa nascosto e non potrai ricevere nessun perdono.

Tu puoi aver rubato sul lavoro: nessuno lo sa, ma il tuo profondo sì.

Tu puoi mentire agli altri sul tuo conto, nasconderti, far vedere solo ciò che vuoi far vedere; puoi perfino convincerti che la falsità è la verità ma il tuo profondo conosce ogni cosa.

Il nostro profondo, la nostra coscienza, il Dio in noi, conosce ogni cosa di noi. A Lui non possiamo mentire. Anche se noi ce le nascondiamo lui lo sa. Anche se noi ce le dimentichiamo lui le sa tutte. Il nostro profondo sa e conosce tutto di noi e tutte le nostre colpe. E anche se io tento di metterci una pietra sopra lui sente la colpa (il senso di colpa nascosto provoca molte malattie).

Ammettere, riconoscere, sentire il male che si è fatto ci fa altrettanto male quanto averlo fatto. Ma è l'unica strada per il perdono, per ritornare a vivere, per la salvezza.

Accettare il perdono di Dio è dirgli tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo fatto, tutto il male che abbiamo causato, piangerlo ed esprimerlo, aprirsi e lasciare che Dio si prenda cura delle nostre ferite.

Il demonio (che ci lega ai sensi di colpa) dice: "Per questo pagherai!". Ma Dio dice: "Oggi sarai con me in paradiso. Cioè: oggi ripartiamo. Oggi cancelliamo tutto e tu torni a vivere. Sì hai sbagliato, ma adesso basta".

La croce e soprattutto il crocifisso è il centro della nostra fede.

In ebraico "croce" è selab (s-l-b) e questa parola indica due cose: 1. l'arpione (s) nel cuore (leb); 2. l'immergersi nell'ombra (s-l) per condurre la creazione (b) verso il suo lato di luce.

La croce è l'arpione della vita che ti trafigge il cuore.

Tu vivi, sei contento, ti pare di avere tutto e di non aver bisogno di niente. Hai una casa, hai una famiglia, hai dei figli, una moglie, non hai il mutuo da pagare: di cos'hai bisogno? Ma è proprio tutto questo? Ascoltati bene: sei a posto così? E' proprio vero che ti basta? O non è che te lo fai bastare, non è che fingi che tutto vada bene?

Allora la vita ti arpiona, ti trafigge, ti lacera il cuore, cioè ti fa male. Ma non perché voglia farti male ma perché ti vuole insegnare qualcosa di nuovo, ti vuole portare più in profondità. E se non ti lasci portare continuerai a soffrire e a ripetere la sofferenza dalla quale non impari.

Ad un certo punto inizi a diventare nervoso, irascibile, scontento. E sì che hai tutto: "Ma perché mi lamento, non mi manca niente!". E' proprio vero? Ne sei proprio sicuro? Hai tutto di cose, ma l'aver tutto di cose è il tutto della vita? O c'è dell'altro? La vita, allora, ti ferisce perché tu possa vedere che questo non è tutto. Se la tua vita non ha un'anima, uno spessore, un senso, a che serve tutto quello che fai? Se la tua vita non è capace di donare amore, verità, ascolto, saggezza a che ti serve vivere? Se la tua vita non è appassionata per qualcosa di grande, di vero, cosa credi che basti: appassionarsi alla squadra di calcio? Credi che il lavoro possa riempire di passione, di vita, di felicità il tuo cuore?

Ogni volta che soffri non chiederti: "Perché a me?". Ma chiediti: "Cosa devo imparare?". Ogni volta che soffri non dire a Dio: "Ma cosa ti ho fatto (niente!)?". Ma: "Cosa mi vuoi insegnare?".

Croce è lasciarsi trafiggere, ferire, perché la vita ci insegni ciò che ci deve insegnare. Perché la vita ci trafigge per guarirci e ci ferisce per salvarci.

La croce è l'arpione di Dio che ti trafigge il cuore per abbandonarti a Lui.

Vivi, sei contento, non hai grossi problemi. Ti attacchi ai tuoi soldi in banca e ai tuoi campi. Ti attacchi al tuo buon nome o a ciò che gli altri vedono dall'esterno ("una brava persona"). Ti attacchi all'illusione che a te certe cose non sono mai successe, che certi errori non li hai mai fatti, che non hai di che vergognarti poi così tanto. Ma senza accorgertene tutto questo è diventato il tuo idolo, il tuo Dio. Senza accorgertene ti sei attaccato al tuo buon nome, alla tua bella immagine, a ciò che sei e ne sei fiero.

Allora Dio ti arpiona, ti lacera il cuore perché tu possa fare solo di Dio il tuo Dio. Ecco una malattia, un incidente, un imprevisto: qualcosa che in un attimo ti spiaccica davanti che tu confidavi in te, nella tua salute, in ciò che tu ti eri costruito. Ma tutto questo non ti salva. Ed ecco la sorpresa: tutto è vano, tutto quello che hai in questi momenti non ti serve assolutamente a nulla, né aggiunge un minuto alla tua vita.

Molte persone quando hanno una malattia consistente si attaccano a Dio, ritornano a pregare, ritornano ad andare in chiesa: perché? Perché dove ti attacchi in questi momenti? A niente, solo Lui tiene. E' che, una volta guariti, si dimenticano di tutto.

Dio è l'unico gancio che non mi lascerà cadere nel nulla. Tutto il resto non mi può tenere: né i miei soldi, né la mia bravura e neppure le persone per quanto mi amino. Dio ti ferisce perché tu possa abbandonarti solo e soltanto a Lui, perché tu possa confidare solo in chi salva.

La croce è l'immersione nell'ombra della vita per trovare luci più profonde.

Nella Genesi si racconta che la donna è tratta dalla costola di Adamo. "Costola", che non è affatto costola, è selah (s-l-ah) e vuol dire "l'altro lato". "L'altro lato" è "l'ombra (s-l) alla sua sorgente (ah)". La parola selah vuol dire anche "zoppo": un lato, una gamba senza l'altro non consente di stare dritto. Adamo (che è l'umanità e non l'uomo) starà diritto solo quando avrà generato, avrà portato alla luce l'altro lato, la sua ombra.

Allora la croce è l'incontro con tutta l'ombra che c'è in ogni uomo: chi di noi può dirsi esente dall'aggressività, dall'odio, da malattie dell'anima, da nevrosi, da paure, da pensieri ossessivi o perversi, dai demoni interiori? Solo chi ingenuamente non si conosce può dire: "Tutto questo non mi riguarda". "Non ti riguarda perché non lo vedi, non perché non ci sia. Non ti riguarda perché temi l'incontro con questo tuo lato interno e lo fuggi, fingi che non ci sia".

La croce è l'arpione, il gancio sicuro che mi permette di scendere nei miei demoni, nel mio deserto, in ciò che mi fa paura, senza perdermi. Mi devo con-frontare con ciò che mi abita; devo af-frontare, devo mettermi di fronte ciò che sono anche se mi spaventa, anche se mi ferisce, anche se mi fa male perché è la mia verità.

La croce ti tiene saldo: "Non aver paura di conoscerti, di tirare fuori i tuoi lati oscuri, le tue ferite, le tue angosce. Esprimi e incontra tutto il mondo interiore che sta vivendo nel tuo sottosuolo. Se tu sei agganciato a me niente ti può distruggere, niente ti può annientare. Chi è ancorato in Me può affrontare ogni cosa".

La croce è l'immersione nell'ombra per condurti verso la luce di Dio.
Nella sua croce di morte Gesù è sceso negli inferi.

Quello che sembrava un cammino verso la morte è stato invece un cammino verso la vita. Quello che sembrava un cammino verso il buio è stato un cammino verso la luce. Quello che sembrava un cammino di abbandono del Padre è stato un cammino verso il Padre.

La croce è lo scendere di ogni uomo nel buio, nella notte e nella morte. La croce è quando la tua ragione non ragiona più, cioè, quando non si può più spiegare ciò che accade, quando tu perdi il controllo della situazione, quando ti sembra di andare verso il nulla e la notte, quando ti sembra di essere risucchiato dal male o dalla fine.

Si dice che il vescovo Filippo Franceschi abbia detto: "Credevo fosse una fede forte ed era solo una buona salute". Viene un momento in cui tutto ciò che credi, tutta la tua fede, tutte le tue sicurezze non ti garantiscono più nulla. Non conta più nulla quello che sai o la tua religione: viene un momento in cui devi fare un salto nel vuoto, fidarti che sarà così e che andrà bene. Non c'è nient'altro.

La croce è il momento dell'impotenza, quando tutte le tue ragioni umane o di fede, quando tutte le tue spiegazioni e il tuo buon senso non reggono più e tutto cade (e devono cadere!). Allora ti sembra di essere abbandonato da Dio. Allora ti senti impotente di fronte ad un destino che è ingestibile, a-razionale e incontrollabile. Allora non ti resta che fidarti di Dio.

Quando tutte le certezze sono crollate allora emerge la unica e vera certezza: Lui. Quando rimane solo il buio allora emerge la luce. Quando tu non hai più nessuna pila o candela o lanterna per illuminare il buio ma sprofondi nel buio totale allora emerge il Sole.

Ad un certo punto mi arrendo e mi devo (o mi toccherà) lasciarmi portare lì dove non voglio andare.
Ad un certo punto mi devo arrendere e fidarmi.
Ma la strada del buio sarà la strada della luce.

La via della morte sarà la via della Vita.

Pensiero della Settimana

Al termine della strada non c'è la strada, ma il traguardo.
Al termine della scalata non c'è la scalata, ma la sommità.
Al termine della notte non c'è la notte, ma l'aurora.
Al termine dell'inverno non c'è l'inverno, ma la primavera.

Al termine della morte non c'è la morte, ma la vita.

 

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