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TESTO Traccia di comprensione per Dn 7,9-10.13-14; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

don Raffaello Ciccone  

Domenica di Cristo Re (Anno C) (07/11/2010)

Vangelo: Dn 7,9-10.13-14|1Cor 15,20-26.28|Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Lettura del profeta Daniele 7, 9-10. 13-14

Nel libro di Daniele ci viene proposta una famosa visione apocalittica, con le quattro bestie, simboli dei quattro regni che hanno dominato il piccolo popolo d'Israele: il leone che rappresenta Babilonia, l'orso che rappresenta il popolo della Media, il leopardo con quattro teste, simbolo dei Persiani che scrutano in ogni direzione in cerca della preda, la quarta bestia, un mostro terribile, richiama il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori.

Alla fine dell'anno liturgico ci viene suggerita quella riflessione sul senso della Storia, che ha sempre tormentato gli ebrei, in particolare nel II secolo a.C., quelli che subivano l'oppressione culturale e religiosa di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.). Questo Antioco era uno dei Seleucidi, i successori di Alessandro Magno nella zona siriaca; egli tentava di far penetrare la cultura ellenistica, quindi pagana, anche in Palestina, ma si scontrava con i partigiani della tradizione ebraica, col risultato che la società in Palestina era fortemente divisa e contrapposta. Quando si giunse alla crisi e allo scoppio della rivolta maccabaica, i fedeli tradizionalisti ebbero la meglio in modo totalmente inaspettato, e Antioco IV morì di lì a poco (1 Mac 6,1-16).

Tutto questo portò a rileggere la storia di Israele e del mondo allora conosciuto cercando di individuare con quale logica Dio ne tenesse le redini del tempo e le sorti d'Israele. Israele aveva avuto il suo momento di gloria al tempo di Davide e Salomone (X sec. a.C.). Ben presto si era diviso in se stesso; poi erano giunti i primi conquistatori, gli Assiri, quindi i Babilonesi, poi ancora i Persiani, e infine i Greci; ma ecco che, proprio quando l'oppressione si era fatta più dura, un manipolo di eroi fedeli alla Legge ("tôr'"), riesce ad avere il sopravvento e a riprendere il controllo della Terra Promessa.

Nella visione appare il Vegliardo circondato da miriadi di esseri celesti. Egli siede sul trono, giudica i regni e li fa concludere nel tempo e nella morte. Appare, accanto, un nuovo sovrano, "sulle nubi del cielo, simile a un figlio di uomo". Viene dal cielo e non dagli abissi dell'oceano come le bestie detronizzate. Riceve i poteri regali su tutti i popoli della terra e il suo regno non avrà fine. Probabilmente all'inizio questo "figlio di uomo" rappresenta il popolo d'Israele ("resto santo" del popolo di Dio), il governo dei "santi" e non si dice se il suo governo sia spirituale o terreno.

Lungo la storia, poi, lentamente, prende forma un'attesa messianica, aperta al futuro: e l'attesa prepara ad accogliere l'Inviato del Signore, il Re Messia. Di fatto, Gesù applicherà a se stesso l'espressione "figlio dell'uomo", mettendovi dentro sia l'aspetto più umano della sofferenza (Lc 22,22), sia quello più divino della facoltà di rimettere i peccati (Lc 5,24), sia quello conclusivo della storia (escatologico) del giudizio finale (Lc 21,27.36).

E questa è l'interpretazione che darà Gesù ricordando la parabola del Giudizio finale (Mt 25,31), accettando di rispondere al sommo sacerdote circa la propria identità (Mt 26,64). Dio stesso, signore della storia, intrama i fili del tempo e del futuro e a tutto consegna un fine e un progetto che è Gesù. Nel momento in cui i cristiani celebrano Gesù come re dell'universo e come loro re, ricordano di seguire le sue tracce, accettando la sofferenza per il regno dei cieli, contribuendo, per quanto possono, alla remissione dei peccati, guardando al presente e al futuro in prospettiva di eternità e avendo, come unico criterio di valutazione, la vita e la parola di Gesù.

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 20-26. 28

Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo sta sviluppando la tematica sulla risurrezione dei cristiani. Egli dice: essa prende consistenza dalla risurrezione di Gesù. Ci sono molti testimoni (vv 5-8) ma alcuni, a Corinto, negano che i cristiani possano risorgere, dimenticando di riflettere sulla risurrezione di Gesù stesso. Una tale posizione si allinea con il pensiero dei Sadducei e con la negazione della filosofia greca.

S. Paolo non discute, ma afferma che la risurrezione dei credenti, a somiglianza di quella di Gesù, esprime una concezione globale della vita cristiana. Cristo è contrapposto ad Adamo: il primo uomo aveva aperto la strada della morte, Gesù apre la strada della vita. Viene usata qui l'immagine ebraica della "primizia": dono di novità che viene offerto a Dio e inizio di abbondanza.

Nel linguaggio apocalittico, usato nei racconti che riguardano la conclusione della storia, Cristo appare come colui che "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e potestà e potenza". Gesù, in tal caso, si mostra Signore e Re, capace di vincere i nemici terribili di Dio e dell'uomo.

Lettura del Vangelo secondo Matteo 25, 31-46

Ci troviamo davanti ad immagini drammatiche e, al limite, spietate. Siamo così obbligati ad immergere il testo, in modo particolare, nella cultura del tempo e soprattutto nello spirito con cui Gesù vuole insegnare ai suoi il significato della storia e della vita. Dobbiamo tener presente infatti che, solo qualche giorno dopo la proclamazione di questo testo, Gesù sarà arrestato, condannato e crocifisso, mentre egli stesso esprimerà infinito amore e infinito perdono per chi lo uccide o lo tradisce.

Perciò questo testo va riletto secondo un linguaggio tipico dei predicatori del tempo che volevano scuotere gli ascoltatori con immagini impressionanti. Ma il motivo non è tanto quello di suggerire ciò che avverrà nell'eternità, che resta il mistero del Dio misericordioso che si apre a noi, pur sapendo che le nostre scelte di male possono procurarci un rifiuto totale verso Dio. La teologia delle "ultime cose", come tutta la riflessione teologica, non si basa su un testo solo o su una parola, ma sulla ricchezza globale del messaggio.

Qui si vogliono fornire insegnamenti su come comportarsi oggi, su che cosa veramente vale, su che cosa significhi seguire Gesù e come veramente incontrarlo. Matteo usa l'immagine del pastore che, alla sera, quando raccoglie il suo gregge, divide i capri dalle pecore. Queste sono coperte di lana e amano il fresco della notte e stanno volentieri all'aperto, mentre i capri, i più sensibile al freddo, vanno collocati al riparo. Così i rabbini, quando parlavano del fuoco della Geenna, non si riferivano all'inferno, ma al fuoco sempre acceso nella valle attorno a Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie.

Nello stesso tempo, la parola "eterno", in questo contesto, ha il significato di "tempo lungo, indefinito". In altri termini siamo di fronte ad una parabola che esprime il giudizio sulla storia, sul mondo e sulle azioni di ciascuno, su che cosa veramente è il riferimento alla volontà di Dio. Gesù è presentato come "Figlio dell'uomo" (24,30), accompagnato da "tutti i suoi angeli": la corte celeste che fa da cornice al giudizio finale. Egli è re, giudice, viene chiamato "Signore" (25,34) e si dice "Figlio di Dio" (25,34).

Tutto si svolge come un dialogo tra il re e i due gruppi divisi tra destra e sinistra (nella simbologia religiosa la mano destra richiama gesti e situazioni favorevoli). La verifica è sul "fare" e sull'"aver fatto" in rapporto ai bisogni e alle necessità quotidiane delle persone. Non c'è nulla di eroico, ma il richiamo alle opere di misericordia (ne sono elencate 6, numero imperfetto) richiede attenzione a queste e ad altre che potrebbero sorgere nella realtà di ciascuno, allungando l'elenco stesso.

I giusti non sanno neppure di aver soccorso il Signore stesso nei bisognosi. Non c'è neppure un accenno a gesti religiosi di culto, né ai temi dell'Alleanza ebraica. Quello che conta sembra essere il puro gesto materiale di aiuto. Tutti sono chiamati alla salvezza, passando attraverso l'attenzione a chi è povero. E' una splendida, terribile e semplice sintesi che angoscia nella storia e si pone come vera attenzione.

Matteo scrive per una Comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi superficiali, incapace di impegnarsi seriamente sulla carità. Da qui l'invito a non accontentarsi di dire: "Signore, Signore" (Mt 7,21: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli). Quello che conta è l'essenziale agli occhi del Padre.

Il problema perciò non è quello di vedere Gesù nel povero (nessuno lo vede), ma nell'identificarlo in chi soffre, in coloro che Cristo ha scelto come i suoi amici e che sono gli ultimi della terra. Questa pagina paradossale ci indica che Gesù, nello stesso tempo, è il povero umiliato e il re-giudice che giudica.

 

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