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TESTO Fedeli e perseveranti

don Daniele Muraro  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/10/2010)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

In questa parabola e in quella della settimana prossima Gesù mette in scena due personaggi per volta e ne descrive gli opposti caratteri. In maniera più evidente di altri, il giudice e la vedova e poi il fariseo e il pubblicano riproducono virtù e vizi ricorrenti.

L'insegnamento di entrambe le parabole riguarda la preghiera e il modo di praticarla: oggi la necessità di pregare senza stancarsi, la prossima la dovuta umiltà senza la quale non si è graditi a Dio.

La richiesta di pregare sempre senza interruzione può sconcertare. Altrove Gesù aveva dichiarato che la preghiera non consiste in discorsi interminabili: "Non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole".

La contraddizione è solo apparente. Dio non si lascia smuovere da discorsi ampollosi e declamatori, prolissi e ridondanti, ma dalla semplicità e rettitudine dei suoi fedeli.

La preghiera è un devoto affetto della mente rivolto verso Dio. Tale adesione al Signore permane fintantoché non viene distolta da un atto contrario e perciò si può dire che non smette di pregare chi non desiste dal ben fare.

Ne abbiamo una immagine potente nella figura di Mosè, come descritto nella prima lettura. Le sue braccia rimangono alzate verso il cielo a intercedere la vittoria dall'alba fino al tramonto del sole, e anche per l'aiuto di Aronne e Cur non vengono lasciate cadere, nonostante la stanchezza.

Chi è investito di un'autorità, a secondo del grado, comanda su alcuni dei suoi simili, ma chi prega, l'abbiamo già detto, ha potere di influire su Dio stesso.

E infatti, pur notando ingiustizie nelle sue sentenze, al giudice della parabola si inchinava tutta una città, ma una povera vedova con la sua insistenza riesce ad aver ragione anche dell'iniquità di quest'uomo.

Vivendo senza timore di nessuno, uomo o Dio che fosse, egli si presentava tremendo per tutti, meno che per quella vedova confidente in Colui che aiuta i deboli e consapevole delle sue buone ragioni.

La morale della parabola non si risolve nell'istigazione ad essere molesti presso gli uomini, ma nell'esortazione a perseverare nelle proprie richieste presso Dio. Gesù assicura che Dio Padre è ben disposto fin da sùbito ad esaudire chi si rivolge a Lui con fede.

Anche se talvolta sembra che Dio non ascolti, i credenti non possono dubitare della sua promessa di giustizia, e continuando ad invocarlo nella fede otterranno soddisfazione delle loro istanze.

C'è una sentenza che spiega bene il senso di questa parabola: "Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!".

La riserva più comune contro la pratica dell'orazione è quella del tempo. La pressione dei troppi impegni ed occupazioni sottrae momenti preziosi alle devozioni di modo che a fine giornata si è troppo stanchi per pensare a Dio.

Sembra che una preghiera regolare e prolungata sia lusso che solo gli eremiti o i monaci di clausura si possono permettere, almeno ai nostri giorni. Notiamo tuttavia che Gesù ambienta la parabola non nel deserto, dove lui pure una volta si era ritirato, ma in mezzo alla gente, in una città abbastanza grande da avere un tribunale e un giudice dedicato alla discussione delle cause civili.

Troveremo un'altra vedova prima di concludere la lettura del Vangelo quest'anno. Sarà nell'episodio delle monete gettate nel tesoro del tempio. Lì avremo la prova che Dio tiene veramente in considerazione la preghiera degli umili. Ma già fin d'ora possiamo dire Dio non guarda alla forma, bensì alla sostanza del nostro rapporto con Lui.

Non sempre potremo pregare nel silenzio, nella calma esteriore e nella tranquillità interiore, ma in ogni momento della giornata possiamo rivolgerci a Dio con brevi invocazioni, magari richiamando alla memoria una parola del Vangelo o una frase di un salmo.

Lo stesso Signore non ebbe tanto agio nel tempo della sua missione di lodare il Padre come certo desiderava, ma, secondo la lettera agli Ebrei: "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito."

In mezzo alla confusione del mondo, si deve levare più forte il grido di pace del nostro animo, finché arrivi fino al cospetto di Dio. Non possiamo impedire tutto il male che sconvolge questa nostra terra, ma ce ne possiamo dispiacere presentando a Dio l'aspirazione ad un modo diverso di vivere.

Egli ci ascolterà, perché questo è anche il suo desiderio. "Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra" diceva il salmo. Se non smettiamo di alzare i nostri occhi verso il monte che è Dio, da Lui troveremo sostegno e speranza.

Perciò l'ultima domanda del Signore ci colpisce dolorosamente, come una freccia: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"

Nei secoli passati non ci si poneva il problema, avere fede era un atteggiamento ovvio, semmai ci si interrogava su quale fede avere. Ora invece ci accorgiamo che per avere fede, occorre tanta fede, ossia non si può dire di credere in Dio, se anche non Lo si ama, in particolare dimostrando questo amore nella confidenza e nello slancio interiore della preghiera.

 

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