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TESTO Fedeli e riconoscenti

don Daniele Muraro  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/10/2010)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Gesù accetta l'adorazione del Samaritano e ne fa notare la singolarità. In precedenza erano stati i cittadini Samaritani a non voler ricevere Gesù, perché diretto a Gerusalemme. Ora sono i Galilei a disinteressarsi di Lui, forse perché già soddisfatti della loro condizione e compiaciuti della loro legge.

Dal canto suo Gesù dimostra di apprezzare entrambe le cose: le prescrizioni di Mosè e l'autonomia di giudizio dell'unico guarito. Infatti indirizza tutti i malati di lebbra dai sacerdoti ma propone ad esempio il solo che torna a ringraziare.

Se non si fossero mossi alla ricerca dei ministri loro indicati quei lebbrosi non sarebbero stati guariti; tuttavia questo è ancora poco. Venire sanati dal Signore senza entrare in relazione con Lui, vuol dire lasciare le cose a metà.

Al momento di vedere Gesù i lebbrosi si fermano a distanza e Lo invocano ad alta voce: "Maestro, abbi pietà di noi!". La legge proibiva di avvicinarsi di più, ma non impediva di coltivare una speranza di riabilitazione, per quanto difficile. Dai sacerdoti di Mosè si poteva ottenere infatti una dichiarazione di avvenuta guarigione. Il fortunato allora sarebbe potuto uscire l'isolamento e vedersi restituito alla civile convivenza.

Di questo si accontentano i nove Galilei. Pensano che le forze di cui di nuovo si sentono pervasi saranno loro sufficienti a cavarsela da soli nella vita. Non sanno di avere bisogno anche della grazia di Dio.

I nove lebbrosi non si pongono delle domande sul modo della loro guarigione, né si interrogano sulla qualità del loro guaritore. L'incontro con il Mistero resta fugace e la spiegazione del buon esito rimane confinata nell'ignoto, tanto come allora la causa del contagio.

Dopo averla usata una volta per chiedere pietà, tengono la loro voce per sé; non la adoperano per lodare Dio e ringraziare. La guarigione è merito dell'obbedienza, la salvezza premio della fede. Perciò tutti e dieci i lebbrosi sono purificati, uno solo salvato. Gli altri nove sono sani, uno solo, lo straniero samaritano, è sano e salvo.

Le mediazioni esterne sono importanti, ma il destino di ciascuno si decide davanti alla persona del Signore. È motivo di conforto trovare con chi compartire le disgrazie; solo di fronte a Dio si trova il senso della propria esistenza, comprese le sofferenze e le sconfitte.

Chi incontra Gesù non è svincolato dalla legge, ma è invitato ad elevarsi al livello della grazia. Dalla supplica è inseparabile la lode; se l'umiltà mantiene le distanze, la riconoscenza le supera. Per avere il cuore pieno di gratitudine, occorre mantenersi stranieri, sorpresi di quello che si riceve e compresi dell'indegnità rispetto al dono.

L'uomo completo è colui che è in relazione positiva con la società, con il prossimo, e anche con Dio. La lebbra lo intacca menomandolo. Perciò nella tradizione cristiana questa malattia fu sempre vista come simbolo del peccato capace di rovinare la fisionomia della persona, ossia l'immagine di Dio nell'uomo.

Fra le tante forme di lebbra spirituale possibili e di fatto presenti nella storia, scegliamo quella di Naamàn, il comandante dell'esercito del re di Aram (Siria). Egli si impunta nel non voler adempiere la prescrizione del profeta Eliseo, ossia di immergersi per sette volte nel fiume Giordano.

Sentiamo le sue parole: "Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele?". In partenza si era fatto tutta un'altra idea della forza di guarigione del profeta: " Ecco, io pensavo: "Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra".

Per questo se ne va sdegnato. Sono i suoi servi a farlo ritornare sulle sue decisioni. "Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: 'Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: 'Bàgnati e sarai purificato'".

In questo modo Naamàn venne distolto dall'indignazione verso ciò che gli era stato chiesto e poté ottenere la guarigione. Quanti richiami mossi dal sincera sollecitudine per il prossimo cadono nel vuoto a motivo di tale esasperata opposizione verso che ciò promuove al bene!

Ma questo è solo l'ultimo gradino della depravazione che deturpa l'immagine di Dio nell'uomo. Ordinariamente esso è preceduto da un desiderio male orientato, che potremmo chiamare concupiscienza effimera, e ancora prima da una protervia fantastica.

La protervia è l'atteggiamento di colui che si protende al di fuori. Diventa malvagia quando non approda ad un incontro, ma si appoggia solo su stessa, perdendosi in fantasticherie senza tenere conto della realtà.

È un comportamento insipiente che per la delusione delle aspettative svanite si può trasformare in ira fumosa. Allora ci se la prende con chi non ha colpe.

Invece il Samaritano si inginocchia e ringrazia. Parallelamente Naamàn, sperimentata la potenza della parola del profeta, si accontenta di un carico di terra, quanta ne possono portare due muli, non trovando modo migliore di mostrare la sua riconoscenza verso il Dio di Israele.

Quell'uomo era guarito anche nello spirito avendo ricevuto rinnovata non solo la sua figura fisica, ma anche la mente, lasciando così da parte le illusioni caduche e affidandosi al Dio vivo e vero, quello che oggi noi ritroviamo nel Vangelo e nei sacramenti.

 

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