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TESTO Al servizio di tutti

don Fulvio Bertellini

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (21/09/2003)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Il destino di Gesù

Nel Vangelo di Marco ritroviamo altri due annunci della Passione, che segnano una sorta di crescendo drammatico, man mano che ci si avvia alla conclusione. L'evangelista prepara gradualmente l'ascoltatore ad accogliere l'avvenimento decisivo, in cui Gesù si manifesta pienamente per quello che è: l'avvenimento della croce e della risurrezione. Annota anche l'atteggiamento dei discepoli: incomprensione e paura. Il rifiuto di approfondire la questione. Troviamo qui qualcosa che ci accomuna a loro: anche per noi la croce è una realtà scomoda, che possiamo facilmente dimenticare.

Inevitabile scontro

Non è possibile però mentire a lungo, a se stessi o agli altri. Men che meno, ingannare Gesù. La domanda è precisa e tagliente: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Veniamo così a sapere che non solo avevano circondato la rivelazione di Gesù di un diplomatico silenzio, ma avevano anche avviato una discussione sostitutiva, per aggirare un argomento scomodo. E alla radice della discussione, una motivazione chiaramente sbagliata. Il silenzio dei discepoli è un silenzio di autoaccusa, il riconoscere di aver sbagliato.

Parola che brucia

Anche noi ci scontriamo inevitabilmente con la domanda di Gesù. Di che cosa discutiamo? Per che cosa ci arrabbiamo? A che cosa teniamo? Qual è la radice dei nostri litigi? Non importa se in famiglia, nella Chiesa, nel lavoro... il tarlo che sempre ci rode è il desiderio di autoaffermazione. La ricerca del primo posto. La voglia di essere il più grande. Sempre la Parola di Gesù smaschera la nostra finzione e le nostre false ragioni. Ma indica anche una via alternativa.

I primi e gli ultimi

Destinatari del discorso sono i Dodici. Coloro che hanno già una certa preminenza nella comunità. Coloro che sono più esposti alla tentazione del potere. Soprattutto, coloro che devono conservare e trasmettere le parole e gli atteggiamenti di Gesù. Rivolgendosi a loro, Gesù fa capire che non si tratta di un discorso puramente sapienziale, di buona educazione o buon gusto. Tutti i saggi hanno sempre insegnato ad essere umili e a non darsi tante arie. Ma le parole che Gesù rivolge ai Dodici non vogliono insegnare buone maniere: vogliono trasmettere uno stile nuovo. In cui chi comanda si mette realmente al servizio degli altri. E non per darsi una patina di credibilità o di democrazia. Nella comunità da servire è presente il Cristo.

"Accoglie colui che mi ha mandato"

Il gesto simbolico dell'abbraccio al bambino apre ai discepoli una prospettiva nuova: Gesù si identifica con lui. In quel bambino è possibile riconoscere Gesù stesso, incarnato, sofferente, risorto. E in Gesù è possibile ritrovare il volto del Padre: "Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato". Il discorso, che vale innanzitutto per i piccoli e i poveri all'interno della comunità cristiana, tende a dilatarsi per ogni uomo. Accolto in nome di Cristo, diventa immagine di Cristo. Così nei secoli i santi hanno inteso la persona del povero, da San Francesco, a san Vincenzo, fino a Madre Teresa. L'intendiamo anche noi così oggi? O ci limitiamo alla semplice beneficenza?



Flash sulla I lettura

"Dissero gli empi: "Tendiamo insidie al giusto...": il libro della Sapienza, tardivo, scritto in greco, fonde all'interno della sua riflessione di carattere sapienziale varie tendenze della Scrittura; in questo brano recupera il tema, per noi cristiani importantissimo, del giusto perseguitato, che si avvia con la letteratura profetica (soprattutto Geremia), si ritrova in moltissimi salmi di supplica (tra cui il salmo responsoriale di questa domenica: "... sono insorti contro di me gli arroganti/ e i prepotenti insidiano la mia vita..."), e prosegue nei testi apocalittici e nei libri storici più tardivi.

"...ci è di imbarazzo... ci rimprovera le trasgressioni della Legge/ e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta": il nemico e persecutore che appare qui non è un estraneo, ma appartiene al popolo stesso di Israele: conosce la Legge, sa cosa vuol dire trasgredirla, ha addirittura ricevuto un'educazione in proposito. Non è un semplice nemico, ma un fratello che è diventato nemico, e il punto discriminante è la fedeltà all'Alleanza e alla Legge. Il trasgressore considera irrealizzabile la legge, inevitabile il peccato, ormai superata la dimensione dell'Alleanza, e tenta di accomodarla nel facile compromesso. Il "giusto" invece mostra con la sua vita che la fedeltà al Dio dei padri è possibile, e in tal modo smaschera la malafede dell'empio, scatenando la sua avversione.

"Se il giusto è Figlio di Dio, egli l'assisterà...": il contrasto tra il giusto e l'empio ha una dimensione propriamente religiosa: mentre il giusto confida in Dio, gli empi lo mettono alla prova.

Rilettura Cristologica: l'immagine del giusto perseguitato nel suo contrasto con gli empi è applicata ai Vangeli a Gesù e alla sua passione. Diventa quindi una chiave di comprensione preziosa dell'immagine di Cristo.

Attualizzazione: potremmo sentirci anche noi dei "giusti perseguitati", nella nostra situazione contemporanea che appare così sfavorevole alla fede cristiana. Una simile interpretazione può essere accettabile se ci porta a perseverare con coraggio e umiltà nella nostra scelta di fede. Ma porta con sé il rischio del vittimismo, della presunzione, della pretesa di condannare che non la pensa come noi, anche all'interno della Chiesa. Possiamo davvero sentirci giusti, e bollare gli altri come empi?


Flash sulla II lettura

"Dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni...": il disordine e il male operare all'interno della vita comunitaria derivano da un male interiore, che è importante saper riconoscere, e distinguere dalla vera sapienza.

"La sapienza che viene dall'alto è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole...": Giacomo dà i criteri per poter riconoscere la "sapienza che viene dall'alto", ossia la presenza stessa dello Spirito in noi, che guida e ispira le nostre azioni. Prima ancora di discernere se le nostre singole scelte sono giuste o sbagliate, è importante chiedersi se lo Spirito è in noi, se ci lasciamo ispirare dalla sapienza. Giacomo prosegue infatti parlando di "guerre e liti": probabilmente contese e divisioni all'interno della comunità, in cui ciascuno portava le sue buone ragioni. Non sempre le buone ragioni sostengono cause giuste. Giacomo invita a cercare le motivazioni profonde, e ad eliminare ogni scelta o pretesa dettata da gelosia, invidia, rivalsa paura...

 

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