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TESTO Una buona relazione

don Maurizio Prandi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La Liturgia della Parola di questa domenica ci aiuta, con una nuova riflessione sulla preghiera a scendere in profondità in noi per capire la verità, la sincerità dei gesti che poniamo e delle scelte che facciamo. A questo mi richiamano il vangelo, con la nota parabola del fariseo e del pubblicano e la prima lettura. Entrambi mettono in luce il nesso, il rapporto profondo che c'è tra preghiera e autenticità.

La prima lettura credo ci dica una verità importante mettendo in evidenza quali sono i tratti costitutivi dell'autenticità: per essere veri è necessario essere umili e poveri; il brano di vangelo, percorrendo lo stesso sentiero ci invita a riconoscere da che cosa siamo abitati, se da un "io smisurato", delirante, o dalla consapevolezza della nostra fragilità, debolezza; se da un desiderio di sentirci comunque giustificati grazie ai nostri "piccoli adempimenti", o da un anelito di conversione, cambiamento, per poter camminare e accogliere la misericordia di quel Dio che sempre avrà pietà di noi, in ogni momento della nostra vita.

Sento il vangelo di oggi di una importanza fondamentale, per me e per le mie comunità. Parto da una intuizione di Enzo Bianchi che riflette sulla vicinanza-lontananza del fariseo e del pubblicano. La preghiera dovrebbe unire, ma questi due, separati fisicamente credo da pochi metri, vivono una distanza abissale. La domanda che Gesù ci pone oggi raccontando questa parabola è: cosa significa pregare insieme? Semplicemente stare fianco a fianco, l'uno accanto all'altro in uno stesso luogo, in una stessa liturgia? E' possibile pregare accanto ed essere separati dal confronto, dal paragone, dal disprezzo... l'autenticità della preghiera, dell'offerta fatta al Signore nel culto, passa attraverso la qualità buona delle relazioni con i fratelli che pregano con me e con me formano il corpo di Cristo (E. Bianchi). E' proprio quanto don Michele (il mio nuovo compagno di cammino nella missione di Cuba), diceva oggi durante un breve momento di condivisione quando ci siamo proposti l'obbiettivo di andare all'idea più semplice, più essenziale della preghiera: è un buon rapporto con Dio ed è un buon rapporto con i fratelli.

In questo senso, non è preghiera quella del fariseo, perché né desidera la relazione con Dio, né rispetta i fratelli, si può dire che nemmeno conosce Dio, perché conosce soltanto se stesso e la "bontà" delle cose che è convinto di fare per Dio. Ci può aiutare la traduzione letterale del primo versetto del vangelo ascoltato: per alcuni che in sè confidano in quanto giusti... Già qui capiamo quanto è facile togliere Dio, metterlo da parte. Dio, per quest'uomo, ha un unico ruolo: essere testimone della sua giustizia, della sua bontà, delle sue virtù, della sua capacità di compiere la legge. Disprezzando, ringrazia! Non ha capito niente! Dalle parole che dice tra sé (parla tra sé e quindi non è un uomo aperto, rivolto, ma profondamente chiuso e solo) capiamo che non è lui che deve ringraziare Dio, ma è Dio che "deve mettere un voto alto sulla sua pagella" per le tante cose belle che fa. Disprezzando, (non sono come gli altri), dimostra anche di non conoscere la Scrittura e in particolare la prima lettura di oggi, che in modo chiaro ci ha detto che Dio non fa differenze, preferenze di persone. Disprezzando rifiuta di accogliere la visita di Dio prima negli altri uomini e poi in chi sta pregando con lui (non sono come gli altri uomini... non sono come questo pubblicano...).

Che differenza rispetto al pubblicano, che è capace di mettere Dio al centro e quindi possiamo dire che veramente prega, riconosce che soltanto Dio può salvare la sua vita e si mette nelle sue mani. Non dobbiamo dimenticare che il cammino che da tre domeniche a questa parte abbiamo cominciato pone la fede al centro della nostra riflessione e la preghiera è uno dei modi nei quali diciamo la qualità della nostra fede. Ricordate la domanda con la quale si concludeva il vangelo domenica scorsa? Ma il Figlio dell'uomo, quando tornerà troverà questa fede sulla terra? La fede dei piccoli... essere piccoli come un granellino di senapa per poter aver fede, la fede della vedova, oggi la fede del fariseo e la fede del pubblicano... la fede come atto nel quale scegliamo in chi credere, se in noi stessi, come se al mondo ci fossimo soltanto noi, o in Dio e nella sua misericordia che ci aiuta a conoscere la nostra verità, la nostra fragilità, la nostra debolezza, accettandole senza rimanerne schiacciati.

La solitudine del fariseo, scelta e voluta, che lo porta a cancellare Dio dalla sua vita, ci permette di accostarci ad un'altra solitudine che porta a tutt'altro risultato, a tutt'altra meta. E' la solitudine di Paolo, che nella seconda lettura scrive: Nella mia prima difesa in Tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato... il Signore però mi è stato vicino, mi ha dato la forza... L'abbandono, la solitudine non ha chiuso la vita di Paolo, anzi! La sua vicenda ci dice che è possibile, anche nelle difficoltà (un processo), sperimentare la presenza di Dio ed annunciare il vangelo, che proprio perché è stato occasione di apertura nella nostra vita, apre squarci di bene e spazi di ascolto nella vita degli altri.

Il confidare nella bontà di Dio del pubblicano invece, ci aiuta ad interpretare il v.8 della seconda lettura, quando s.Paolo scrive della corona che il giusto giudice consegnerà a coloro che attendono con amore la sua manifestazione. Anche qui si parla di relazione con Dio una relazione fondata sulla certezza dell'incontro non con un poliziotto. Non c'è paura per la manifestazione di Dio ci dice Paolo, al termine di una vita davvero spesa, donata. Ha imparato ad attendere quel momento lui e tutti coloro i quali quella manifestazione hanno accolto, giorno dopo giorno, vivendo semplicemente e umilmente la vita.

maurizioprandi@obistclara.co.cu

 

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