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TESTO Missione e comunione ecclesiale: un pane spezzato per tutti i popoli?

don Alberto Brignoli  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Non è mia abitudine - devo confessarlo, e lo avverto come un limite della mia ignoranza - fare riferimento ai pronunciamenti ufficiali della Chiesa.

Quest'oggi però ritengo davvero opportuno riferirmi al Messaggio che Papa Benedetto XVI ha inviato per questa 84ª Giornata Missionaria Mondiale, e non tanto per dovere di circostanza, quanto perché il tema toccato (la costruzione della comunione ecclesiale come chiave della missione) è di grande attualità sociale ed ecclesiale, ed offre un ottimo spunto di riflessione, anche alla luce della Liturgia della Parola di questa domenica.

Tra le varie cose, il Papa ci dice che "la Chiesa diventa "comunione" a partire dall'Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo [...] Non possiamo tenere per noi l'amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti [...] Per tale ragione l'Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione. Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria, capace di portare tutti alla comunione con Dio". Sulla scorta di quanto affermato, il Papa prosegue: "In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli".

Ciò che deve quindi ispirare oggi la cooperazione missionaria tra le Chiese è la comunione che il cristiano è chiamato a realizzare tra i popoli, senza alcun tipo di distinzione: una comunione che - per i credenti - attinge forza e significato dall'Eucaristia, pane spezzato per tutti gli uomini. Quello che tuttavia mi chiedo - e che pure dalle parole del Papa si evince - è come ciò abbia la possibilità di venire concretamente realizzato quando non tanto il pane dell'Eucaristia (che peraltro rimane una prerogativa dei credenti in Cristo), ma il pane quotidiano, quello che si spezza a tavola, non è ancora segno di comunione tra tutti i popoli, bensì motivo di enormi disuguaglianze e conflitti.

Come è possibile sentirsi parte di un unico pane spezzato, quando il 20% della popolazione più ricca del pianeta si accaparra l'82% dei beni disponibili (tenuto conto che il solo 5% di questi ricchi detiene poi un terzo di tutte le risorse)? Quando il 20% più povero (1.360.000.000 persone, come tutta la Cina, per intenderci) ha accesso solo all'1,5% delle ricchezze? Quando questo famigerato "5% più ricco" in soli due giorni consuma quello che il 5% più povero produce in un anno? Come faccio, io cristiano del Nord del mondo, a sentirmi "missionario in comunione con tutti gli uomini" senza tener conto che oltre 1 miliardo di persone non ha accesso all'acqua potabile, e che così pure le persone sottonutrite nel mondo sono 1 miliardo (e spesso le due categorie coincidono)?

E non facciamo i "faciloni", dicendo che questi sono discorsi lontani dal nostro vissuto, quando solo in Italia sono oltre 3 milioni coloro che non mangiano a sufficienza, una cifra pari al numero dei nostri minorenni che soffre a causa della sovralimentazione (il 35% della popolazione italiana minore d'età). Vogliamo rincarare la dose? E allora compariamoli ai 6 milioni di bambini (10 al minuto, un centinaio nello spazio di tempo in cui pronuncio questa mia riflessione) che ogni anno nel mondo muoiono di fame o di malattie legate all'inadeguata alimentazione... sarebbe questa la comunione ecclesiale nell'unico pane spezzato per tutti gli uomini?

Sapete, in realtà, qual è la cosa che a me fa più specie? Pensare che tutto ciò avviene anche e soprattutto per colpa di quella terribile ed incomprensibile separazione che noi credenti in Cristo continuamente facciamo tra fede e vita, per la quale il nostro professarci uomini di fede, di Chiesa, di partecipazione ecclesiale è una cosa, mentre il nostro vissuto quotidiano può "tranquillamente" essere altro! Mi dà molto da pensare - riferendomi alla mia esperienza personale - che il continente numericamente più cristiano e più cattolico del mondo, l'America Latina, sia anche il continente con le maggiori disuguaglianze e i maggiori squilibri sociali! Mi chiedo cosa abbia potuto insegnare agli uomini il messaggio di comunione di Gesù Cristo quando per moltissimi credenti in ogni parte del mondo la solidarietà, la lotta per la giustizia, la lotta contro le disuguaglianze e l'iniqua ridistribuzione dei beni sono temi che esulano dalla fede e dal Vangelo! Che nesso esiste mai tra Vangelo e ingiustizia? Come può il Vangelo di Cristo essere comunione tra i popoli quando ci sono uomini credenti che hanno l'intima presunzione di essere più giusti degli altri, disprezzandoli in cuor loro?

È una storia vecchia come il mondo, e già Luca lo sapeva bene, quando decise di narrare nel suo Vangelo la parabola di Gesù che abbiamo ascoltato quest'oggi.

Ogni epoca e ogni luogo hanno il loro tempio, dove due uomini salgono a pregare, uno ritto ai gradini dell'altare e l'altro accovacciato su se stesso alla porta d'ingresso. Ogni religione ha gente che prega bene, ringraziando e lodando Dio con bellissime formule, e gente che non sa fare altro che mormorare poche cose, forse chiedendo anche di questo perdono a Dio. Ogni giusto ha i suoi motivi di vanto, e ogni peccatore i suoi motivi per cui vergognarsi. Ogni fariseo ha ragioni da vendere per sentirsi apparentemente ed esteriormente migliore di un pubblicano qualsiasi che - grazie a Dio - ha almeno il buon senso di rimanere in fondo al tempio, così nessuno lo vede entrare al cospetto di un Dio che certamente non ha delle belle cose da dire su di lui.

Invece il Signore è giudice che non fa preferenze di persone, che non è parziale a scapito del povero, e che - anzi - ascolta la preghiera dell'oppresso. Perché la preghiera del povero attraversa le nubi, e non desiste, finché l'Altissimo non sia intervenuto e abbia ristabilito l'equità.

Forse, allora, la missione come comunione ecclesiale riparte proprio da qui: da una preghiera che senz'altro deve ringraziare Dio per i benefici che ci concede, ma senza la sfrontatezza di addossare agli altri (singoli o popoli che essi siano) i mali di cui non sono solo essi colpevoli;

riparte dalla consapevolezza che come cristiani del Nord del mondo non siamo migliori degli altri solo perché proveniamo da una Chiesa di più antica tradizione, né perché ci siamo imbevuti di un cultura cristiana d'Occidente a cui ci intestardiamo inutilmente a pensare che la nostra società faccia ancora continuo riferimento, né tantomeno perché pensiamo erroneamente che le nostre chiese siano piene di fedeli più di quelle del Sud del mondo;

riparte dalla mancata pretesa di voler insegnare qualcosa agli altri, ritenuti da noi ignoranti sulle cose di Dio, come se noi ne sapessimo tanto;

riparte dalla necessità di dover fare e annunciare giustizia a tutti, senza preferenza di persone.

Ma se proprio non ci riesce di essere imparziali, facciamo come Dio, che usa preferenze per il povero e per l'oppresso, e per quelli che, con il cuore spezzato e lo spirito affranto, si rifugiano in lui.

 

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