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TESTO Due uomini salirono al tempio a pregare

don Luca Orlando Russo

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Il problema della giustizia davanti a Dio, quindi del rapporto con la Legge, è molto presente nel vangelo di Luca. Già nel capitolo 15, a proposito della parabola dei due figli, questo problema si era posto in maniera molto chiara e già in quell'occasione, Gesù aveva chiarito la sua posizione e aveva offerto il suo insegnamento.

Non sono mancati anche in tanti altri episodi, narratici dal terzo evangelista, accenni più o meni espliciti al problema del rapporto dell'uomo con la Legge. In questa parabola sembra che l'attenzione di Gesù si voglia concentrare soprattutto sulle conseguenze relazionali che ha un cattivo rapporto con la Legge. Sì, il pericolo è di fare della propria osservanza della Legge un piedistallo per svettare sugli altri e guardarli dall'alto in basso e, cosa molto più grave, tutto ciò allontana da Dio e non permette di poterlo incontrare.

Il fariseo della parabola è caduto in quella stessa trappola nella quale era caduto anche il fariseo Saulo di Tarso, per cui, quando comprese quale sottile tranello si nascondeva dietro un certo tipo di osservanza della Legge, esclamò: «La forza del peccato è la Legge»! (1Cor 15,56). Della sua povera giustizia l'uomo non perde tempo a farne uno strumento di potere nei confronti del Signore e degli altri.

Non è facile, ammettiamolo, essere sempre capaci di non trasgredire, di rispettare alla lettera quanto la nostra coscienza di credenti ci suggerisce, ma quando ci riusciamo ecco affiorare subito il problema dell'autosufficienza, dell'autogiustificazione. A volte sembra quasi che ce la mettiamo tutta ad essere corretti perché vogliamo sfuggire a quel momento che viviamo con una grande esperienza di fallimento che è il chiedere perdono.

In guerra col perdono, ci costruiamo una nostra giustizia, per vivere di quella e solo di quella, in modo da non dover dipendere da nessuno; senza volerlo a volte manipoliamo la giustizia obiettiva, in modo da ritagliarci un ideale di giustizia a proprio uso e consumo, uno spazio cioè soggettivo in cui ciò che conta è "sentirci a posto", ossia "non essere colpevole", chiudendoci così, in nome della nostra giustizia, alla misericordia, dunque anche all'autentica giustizia, - giacché come può essere veramente giusta una coscienza che rifiuta la misericordia? -, fino a calpestare, col rifiuto del perdono, sia la giustizia che la misericordia.

Povero fariseo si era costruito un sua giustizia, con il solo obiettivo di "sentirsi a posto" e non dover dipendere da nessuno, nemmeno da Dio.

 

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