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TESTO Commento su Luca 18,9-14

Monastero Domenicano Matris Domini  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Contesto

Questa parabola si trova solo nel vangelo di Luca. Insieme al brano della domenica scorsa, che parlava del giudice iniquo, costituisce un piccolo "catechismo sulla preghiera". Il brano del giudice iniquo esortava alla preghiera incessante. Questa parabola invece indica il modo di pregare che è più gradito a Dio. Insieme abbiamo anche il tema della giustificazione, che fa già capolino nel brano precedente e compare qua e là fino a Luca 19,10.

Ora, disse anche questa parabola per alcuni, che erano persuasi in se stessi d'essere giusti e disprezzavano gli altri.

Con questo versetto Luca, secondo una sua abitudine, costruisce l'introduzione sulla base del contenuto della parabola. Nell'atteggiamento del fariseo, come appare dal suo modo di pregare, l'evangelista vede espressa la fiducia in se stessi e il disprezzo per gli altri. L'evangelista formula dunque un giudizio morale negativo su tale condotta, ma rivolge la parabola (e l'avvertimento) non contro o a favore dei farisei, che non nomina nell'introduzione, ma a chiunque si comporta in questo modo nella comunità cristiana.

Egli ha in mente un tipo di pietà pericolosa - che vede rappresentata dai farisei - e che rischia di insinuarsi anche nella mentalità di alcuni credenti.

L'evangelista racconta la parabola per «chi è intimamente persuaso di essere giusto», espressione che può essere tradotta anche come «chi si fida in se stesso (e non in Dio), perché è giusto».

E' giusto chi ha una condotta di vita conforme al volere di Dio; nel giudaismo è la condotta che risulta dall'osservanza della Legge. Di per sé, una tale pietà non ha nulla di riprovevole. Luca tuttavia ha di mira un tipo di pietà che porta l'uomo religioso a contare sulle proprie opere, e a prendere la propria perfezione come criterio di giudizio per misurare - e condannare - gli altri; una pietà che, nonostante le apparenze di impeccabilità, disprezza Dio.

La descrizione del fariseo della parabola appare una caricatura: la sua preghiera mette in luce la superbia di un uomo che vanta i propri meriti. Luca, un pagano convertito, viveva nell'ambiente ellenistico, ed era difficile per lui capire la mentalità religiosa reale del giudaismo palestinese, nonché il senso che le parole di Gesù dovevano avere immediatamente per i suoi ascoltatori.

«Due uomini salirono al tempio per pregare, l'uno fariseo e l'altro pubblicano.

La parabola inizia con la presentazione dei due personaggi, che sono tra di loro in forte contrasto:
- il fariseo, uomo fedele alla Legge, esempio del "pio".

- il pubblicano, uomo giudicato disonesto, amico dei Romani, esempio del "peccatore".

I due salgono al tempio a pregare. La preghiera ufficiale si svolgeva due volte al giorno: la mattina attorno alle ore 9.00 e il pomeriggio verso le ore 15.00. Ma il giudeo poteva recarsi in qualsiasi momento del giorno al tempio a pregare.

La parabola dà un insegnamento sulla preghiera, ma soprattutto vuole gettare luce su due atteggiamenti tipici degli uomini dinanzi a Dio.

Il fariseo, stando (ritto), pregava fra sé (dicendo) questo:"Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, o anche come questo pubblicano;

Segue la descrizione del fariseo. Egli stava in piedi e pregava dentro di sé: questo significa che pregava mentalmente oppure pregava sottovoce. Questi due atteggiamenti sono stati letti come un atto di superbia, ma di per sé era proprio così che si svolgeva la preghiera personale del giudeo.
Egli innalza la propria preghiera di ringraziamento a Dio.

Nella prima parte egli mette in luce la sua impeccabilità nei confronti del Decalogo: egli non ha trasgredito la Legge. Non mentisce, e quindi non può essere giudicato come ipocrita.

Dispiace il fatto che egli si contrapponga agli altri uomini, come se tutti fossero rapaci, ingiusti (imbroglioni) e adulteri!

Però in fondo tale preghiera è ben calata nel suo contesto. Il fariseo è proprio un bravo ragazzo e non si mescola con i peccatori, come il pubblicano. Egli sa che questa sua vita così impeccabile è dono di Dio e quindi Lo ringrazia.

digiuno due volte la settimana, pago la decima di tutto quanto guadagno".

Nella seconda parte della preghiera, il fariseo elenca le sue prestazioni. Non solo osserva i comandamenti della Legge, ma fa più di quanto la Legge prescrive. Egli nomina due opere meritorie che corrispondono alla pratica farisaica del tempo di Gesù:

- digiuna due volte la settimana: oltre al digiuno pubblico occasionale e ai digiuni privati, esisteva anche un digiuno volontario regolato per i giorni di lunedì e di giovedì. questa pratica serviva a colmare le eventuali omissioni e trasgressioni involontarie del fariseo, ed era anche intesa come espiazione per i peccati del popolo.

- paga la decima: quest'ultima era richiesta al contadino su frumento, olio e vino, e sul primogenito del bestiame. Nell'incertezza che il contadino abbia assolto a questo dovere, il fariseo paga la decima sui prodotti in questione, o più in generale su tutti i prodotti della terra che compra al mercato, o addirittura paga la decima su tutto quanto acquista, come lascia intendere l'affermazione del v. 12b.

Anche in questa enumerazione il fariseo non esagera, dice la verità. La descrizione presenta quindi un condensato di osservanze e prestazioni che permette all'ascoltatore della parabola di porre il fariseo nella definizione del "pio" o "devoto".

Ora, il pubblicano, stando lontano, non voleva neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto dicendo: "Dio, sii benigno con me peccatore!"

Il pubblicano sta a distanza, è il posto che compete a chi è lontano da Dio.
Due gesti rivelano la sua condizione di grande peccatore:

- non voleva, cioè non osava alzare gli occhi al cielo: atteggiamento spesso, ma non necessariamente, messo in relazione con il pregare. Nel pubblicano denota uno stato di vergogna, di confusione.

- si batteva il petto, sia in segno di pentimento, sia come gesto di disperazione.

La preghiera del pubblicano è molto concisa e ricorda l'inizio del salmo 50: egli si consegna interamente alla misericordia di Dio, non avendo niente da presentare che meriti il perdono.

Il ritratto del pubblicano fatto da Gesù corrisponde all'opinione che il giudeo ha di lui: un peccatore, non un uomo ingiustamente giudicato dalla società, non un santo misconosciuto, anche se Luca gli riconoscerà un atteggiamento autenticamente umile.

Il pubblicano sa di essere interamente peccatore; non si dà neppure la pena di enumerare - in un parallelismo antitetico al fariseo - l'elenco dei suoi peccati. Non ha altra scelta che riconoscersi tale e implorare la misericordia divina, l'unica cosa che può chiedere, non avendo nulla di buono da offrire a Dio, neanche la sua conversione, poiché secondo l'opinione comune, essa aveva valore e poteva suscitare il perdono divino soltanto dopo una lunga preparazione; nel caso del pubblicano, egli avrebbe dovuto abbandonare il suo mestiere e restituire al 120 per cento tutto ciò che aveva disonestamente acquisito. Non c'era da disperarsi?

Vi dico, questi discese a casa sua giustificato, a differenza dell'altro;

Se non si fosse trattato di una caricatura, gli ascoltatori di Gesù non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere nella descrizione del fariseo il tipo dell'uomo giusto dinanzi a Dio, un modello da ammirare; e in quella del pubblicano, un peccatore senza scampo.

Con un solenne "vi dico", Gesù afferma di conoscere e di proclamare il giudizio di Dio: «Vi dico, questi discese giustificato, non l'altro». La risposta di Gesù doveva apparire sconcertante e scandalosa. Il pubblicano che si riconosce peccatore è proclamato gradito a Dio (senza dover fare penitenza!); e lo stesso Dio rifiuta la salvezza escatologica a colui che si sforzava di arrivarci con tutti i suoi mezzi, costringendosi a penitenze e a una scrupolosa osservanza della Legge.

Storicamente Gesù ha forse rivolto la parabola in modo speciale ai farisei che criticavano il fatto che egli frequentava i peccatori, i pubblicani, offrendo loro la buona notizia della vicinanza di Dio. Nel suo comportamento Gesù rende visibile e rivela l'amore del Padre per i lontani, la Sua volontà di fare il primo passo, senza aspettare che sia l'uomo a farlo.

Gesù attacca una deviazione della pietà farisaica o la sostanza stessa del fariseismo?

Possiamo dire che egli attacca un aspetto sostanziale del fariseismo. Con questa parabola egli vuole mettere in luce che il fariseismo ha un atteggiamento fondamentalmente sbagliato nei confronti di Dio. A differenza di quella del pubblicano, nella sua preghiera predomina l'«io» come soggetto dell'azione, e manca la richiesta di perdono. Il fariseo ringrazia Dio pensando a se stesso. Non ha bisogno di perdono perché non pecca e quindi non è in debito con Dio, e provvede lui stesso a riparare eventuali mancanze con opere meritorie. Egli riduce Dio alla funzione di un contabile. E' vittima di una pietà che non gli permette di riconoscersi peccatore e di aprirsi al Dio di Gesù, che in modo nuovo, chiama l'uomo alla conversione.

Al contrario del fariseo, il pubblicano, consegnandosi senza riserve a Dio, confessando il dipendere totalmente dalla grazia divina, si è messo nell'atteggiamento giusto, un atteggiamento che rende onore a Dio perché Gli permette di poter dare gratuitamente.

poiché chiunque si innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato».

Quest'ultima sentenza è stata aggiunta dalla tradizione o da Luca stesso. Con essa la parabola viene interpretata alla luce della situazione nuova nella quale vive la comunità post-pasquale. Gli ascoltatori sono ormai i cristiani stessi. Non si prende più di mira i farisei, ma coloro che tesi alla perfezione sono inclini a giudicare il prossimo e ad avanzare pretese di autosufficienza dinanzi a Dio.

Il racconto avverte di non pregare con arroganza come il fariseo e incoraggia a rivolgersi a Dio con umiltà, come il pubblicano. Il versetto introduttivo indica che Luca applica questa lezione non soltanto al momento della preghiera, ma alla vita cristiana in generale, ai rapporti all'interno della comunità.


Meditatio

- Mi è capitato mai di innalzare a Dio una preghiera di ringraziamento per tutti i suoi doni?

- Anche io sono una persona che talvolta giudica gli altri in modo negativo?

- Quale è solitamente il mio atteggiamento verso Dio nella preghiera? Somiglio più al fariseo o al pubblicano?

- Quale secondo me l'atteggiamento davvero umile davanti al Signore e ai miei fratelli e sorelle?


Colletta

O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell'umile penetra le nubi; guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa' che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

 

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