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TESTO Preghiere gradite a Dio e preghiere insopportabili per Dio

Marco Pedron  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parabola di oggi è molto semplice. Ci sono due figure simmetriche e contrapposte: il fariseo e il pubblicano.

Il fariseo si ritiene giusto. Già la parola fariseo non promette nulla di buono. Fariseo, infatti, significa "separato" e farisei erano coloro che dedicavano la loro vita all'osservanza della legge. I farisei erano fedelissimi ai dieci comandamenti, e rispettavano (!?) rigorosamente la legge in tutti i dettagli. Per questa scrupolosità erano separati dal resto della gente (che non poteva osservare tutti i precetti della legge intenta com'era a sopravvivere) che neppure toccava per non contaminarsi. Erano stimati proprio perché religiosamente perfetti.

Il fariseo è il modello della religiosità del tempo. Allora sorge spontanea una domanda: "Ma non erano quelli che perseguitavano Gesù? Non furono proprio quelli che lo uccisero? Non tentarono in tutte le maniere di metterlo a tacere?". Questa potrebbe essere la storia di come si possa essere giusti, religiosi, perfetti e lontani da Dio. Mi fa sempre riflettere che i fedeli di Dio (quale Dio?) abbiano ucciso il Figlio di Dio in nome di Dio. Un certo tipo di religione può uccidere la fede. State attenti!

Poi c'è il secondo personaggio: il pubblicano. I pubblicani erano amici dei Romani, considerati traditori perché collaborazionisti e per questo odiati dagli ebrei.

Entrambi salgono al Tempio per pregare: la preghiera ufficiale si svolgeva due volte al giorno alle nove e alle quindici. La preghiera del fariseo è lunga al contrario di quella del pubblicano che è molto breve.

C'è una signora che ogni volta che vado trovarla mi dice: "Padre sa quanti rosari dico al giorno? Cinque, Padre. Sono brava padre?". "Sì, signora, è bravissima!!!". Non si capisce più se li dice per pregare o per essere brava.

In greco il verbo "pregava tra sé" è tradotto in "egli pregava se stesso". Alcune persone pregano se stesse, adorano se stesse, utilizzano la preghiera per mettersi in buona luce davanti a Dio e agli uomini.

Il fariseo sta in piedi e prega in silenzio. La cosa era normale per un ebreo e ancora oggi avviene così. Ma Lc lo legge come un segno di superbia.

Il fariseo fa una preghiera di ringraziamento. Nella prima parte mette in luce la sia impeccabilità: ciò che lui non fa', si contrappone ai ladri, agli ingiusti, agli adulteri e ai pubblicani. A noi può sembrare sgradevole questa preghiera, ma c'è anche nei Salmi (Sal 26). Era una preghiera normale per un ebreo.

Nella seconda parte, invece, mette il luce i suoi meriti: ciò che lui fa. Digiuna due volte alla settimana quindi di più di quello che la Legge prescriveva (il digiuno era prescritto solo in alcuni giorni dell'anno) e paga le decime, cioè la decima parte del raccolto e di quanto si possedeva (frumento, olio, vino) che veniva devoluta al tempio e per i poveri.

La sua vita e la sua preghiera sono davvero impeccabili, ineccepibili, e formalmente è vero. Nessuno può appuntargli qualcosa. Quello che dice non è falso, è vero. Quando dice così, dice la verità. Il fariseo è veramente bravo.

C'è della gente a cui non si può davvero dire niente della loro vita. Non si trova nessun difetto: pregano, ottimi padri, lavoratori, non fanno del male a nessuno... se non fosse che è una vita senz'anima, una vita senza vita, sarebbero perfetti.

Il pubblicano, invece, all'opposto, se ne sta a distanza. Il pubblicano era l'emblema della profonda miseria morale: imbrogliava Dio, i poveri e l'uomo. Era immerso in quel giro del denaro, dove, quando ne sei dentro, è difficile uscirne. Faceva uno dei sette mestieri maledetti e proibiti agli ebrei. Quando dice di essere un povero peccatore dice la verità, non dice bugie. E il suo atteggiamento di battersi il petto lo conferma.

Gesù se la sbriga velocemente: uno se ne va giustificato cioè cambiato, reso giusto, e l'altro no. Perché?

Il fariseo inizia molto bene la preghiera: inizia con una lode a Dio. La funzione dell'uomo è quella di ringraziare Dio. San Paolo dice: "Rendete grazie a Dio in ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo". Se noi potessimo rendere grazie per ogni cosa, noi faremo della nostra vita una liturgia, una preghiera continua, un'eucarestia. Ma poi il fariseo opera un confronto con gli altri.

Di fronte agli altri, io posso giocare al trucco della menzogna, dell'apparenza, della mia funzione, del mio ruolo; posso mascherarmi e crearmi certe immagini. In fondo, chi lo sa? Chi mi vede dentro? Ma di fronte a Dio questi teatrini cadono, questi trucchi cadono tutti e si rimane davanti alla propria verità, nudi e spogli. La vera preghiera è quella che mi fa entrare nella grande verità di me stesso. E la grande verità di me stesso è quella per cui senza menzogne, senza false apparenze mi ritrovo di fronte a Dio.

Gli altri vedono il mio involucro, ciò che io voglio far vedere: vedono la mia pelle, l'esterno, il fuori. Mi vedono pregare, andare in chiesa, fare certe cose, cosa vuoi che dicano? Cosa possono dire? Diranno: "Ma che bella persona! Che bravo cristiano! Che uomo santo". Gli altri non mi possono vedere dentro e questo io lo so. Allora io posso nascondere agli altri e soprattutto a me tutto ciò che è negativo, ciò che è imperfetto, ciò che è doloroso, i miei limiti, le mie zone d'ombra, i miei lati oscuri. Posso addirittura nascondermeli così bene che me ne dimentico, che neppure mi accorgo di averli più: li metto in cantina, in soffitta. Non li vedo più e quindi, credo, che non ci siano. Non li vedo e così mi posso vedere "più" degli altri: più bravo, più giusto, più umano, più religioso. Così mi confronto e mi ritengo di più degli altri. Dio, però, mi vede e mi conosce dentro.

La vera preghiera è quella dove non ci si nasconde ai suoi occhi. Ti dice: "Questo sei tu, guardati, riconosciti, vediti". E a volte non ci piace guardarci. Gli altri, quelli sì, che ci piace guardare. Ma noi, noi no!!!

La preghiera del pubblicano non si nasconde la verità: "Abbi pietà di me peccatore". Perché lui è così. Il pubblicano chiede misericordia, pace, riconciliazione, sui suoi ricordi negativi, sul malessere e sulle sue zone vuote, sulle ferite e sulle sue mancanza d'affetto, sul male che ha inflitto agli altri, sul peccato e sugli errori suoi. Il pubblicano riconosce la sua situazione, la sua realtà. Il pubblicano non si mente e non si inganna.

Solo quando uno si riconosce povero davanti a Dio solo allora può ricevere la ricchezza, che è Dio stesso. Il pubblicano sa di aver bisogno della mano di Dio che venga, che lo accolga, che lo abbracci, che gli ridia dignità e che lo salvi dalla fossa. Lui sa di essere ammalato e sa di aver bisogno del medico che è Dio. Per questo torna a casa giustificato, cioè, amato, liberato e pacificato.

C'è una preghiera gradita a Dio e una preghiera insopportabile per Dio.

Il fariseo non risulta gradito a Dio perché si nasconde dietro a ciò che fa. Il fariseo non è onesto con se stesso, si mente, si dice un sacco di balle non perché sia sbagliato quello che dice (che è proprio vero) ma perché vede solo una parte di sé. Gli ripugna ammettere di essere anche lui come il pubblicano un peccatore.

Chi di noi può credersi così perfetto da dire che lui non odia nessuno? Non c'è qualcuno che eliminereste? Se la risposta è no, allora guardati meglio, amico.

Non è vero che abbiamo le nostre falsità e le nostre ipocrisie? Non è vero che siamo attirati dal proibito anche se poi non lo facciamo? Non è vero che in certi giorni Dio ci sta proprio antipatico e che lo odiamo? Non è vero che abbiamo desideri e impulsi sessuali, e a volte anche perversi? Non è vero che facciamo pensieri di tutti i tipi? Non è vero che in certi momenti ci disperiamo e disperiamo di Dio e le paure ci assalgono? Non è vero che ci facciamo paura in certe reazioni? Non è vero che abbiamo tradito la fiducia degli altri, che abbiamo a volte volontariamente ferito? Non è vero che ci piace sentirci dire: "Ma come sei bravo!" (noi sminuiamo naturalmente la cosa, ma ci piace, eccome!). Non è vero che ci piace sentirci più bravi, più intelligenti, più belli, più simpatici rispetto gli altri? Non è vero che in silenzio gioiamo quando qualcuno preferisce noi ad un altro? Non è vero che ci aggiustiamo le cose in modo da far comodo a noi? Non è vero che sotto sotto ci sentiamo di più di molte persone?

Chi di noi è senza tutto questo scagli per primo la pietra. Eppure c'è qualcuno che la scaglia. Eppure c'è qualcuno che ha così tanto buio dentro, che non vedendo tutto ciò, si permette di giudicare, di credersi poi non così male e di non essere affatto così. Alcune persone hanno così tanto eliminato tutto ciò che neppure sentono più qualcosa a riguardo. Allora credono di essere a posto su ciò; credono che ciò non li riguardi, come il fariseo. E' per questo che alcuni pregano molto ma ti odiano quando parli loro di conoscersi. Perché sanno che da qualche parte tutto questo c'è ed è comodo per loro non vederlo. Ti dicono che ciò che conta è pregare. Ti dicono che questo conoscersi, questa psicologia, questo spiritualismo new age non centra. Sono tutte scuse: in realtà hanno paura di vedersi.

Non vogliono vedersi nella realtà perché se si conoscessero scoprirebbero di non essere come credono e questo li farebbe male, molto male; questo distruggerebbe la "bella immaginetta" di sé che si sono creati.

Si vede subito se uno se la racconta: uno che giudica (segno inequivocabile), uno teso nel corpo, che non riesce nel contatto fisico, uno sempre in ansia, uno che ha manie di perfezione, uno che non accetta gli sbagli, uno che non parla mai di sé, di ciò che ha dentro, uno freddo... segni chiari che una parte di sé viene nascosta a se stessi. Naturalmente uno che è così ti dirà che assolutamente non è vero: che anzi lui prega molto e si conosce bene.

La preghiera non dev'essere pia, dev'essere vera, sincera, onesta: "Non dirti bugie!". Pregare è aprire tutte le stanze della mia vita e della mia anima e lasciare che Dio porti la sua luce su tutto ciò che è oscuro, che non conosco e che non vorrei affrontare; su tutto ciò che grida che urla e che io soffoco o zittisco perché è duro da sentire; su tutto ciò che fa male, che è doloroso e che non ascoltando mi illudo che non ci sia; su tutto ciò che io non voglio accettare ma che Lui accetta di me; su tutto ciò che io non voglio amare ma che Lui ama; su tutto ciò che io voglio cancellare dalla mia vita ma che Lui accoglie; su tutto ciò che io mi nascondo per paura ma che Lui non teme; su tutto ciò che io ho messo in cantina a marcire ma che Lui vuole far vivere.

Perché Dio non teme nulla. Io ho paura ma Lui no. Lui ha vinto il mondo. Lui non teme nulla e può amare ogni cosa. Allora: Lui può andare dove io non posso andare. E pregare è lasciarsi condurre da Lui. Pregare è permettergli di entrare dove io mi vergogno, dove io mi faccio schifo, dove io mi nascondo perché Lui ama ogni cosa. Non vorrei farlo entrare lì: vorrei fargli vedere solo la "faccina bella", "tutta sorrisi e generosità", perché a me e non a Lui fa male vedermi diversamente. Ma io non sono solo così. A volte gli dico: "Qui no", e io so che è perché mi vergogno troppo.

A volte farei di tutto perché non entrasse in certe stanze; certe cose non vorrei mai ammetterle, non vorrei mai rendermi conto, mai vedermi per quello che sono, mai vedere come le mie motivazioni siano così piene di secondi fini, mai vedere il mio tremendo e disperato bisogno d'amore. Ma è così. Anche se non accetto la realtà, la realtà non cambia.

Ma quando lo faccio entrare e Lui porta il suo amore, la sua accoglienza, la sua carezza, l'olio per le mie ferite, allora io sento una forza e una pace immensa. E se Lui mi ama e mi accetta allora posso anch'io accettare tutto questo di me e posso smettere di vergognarmi, di nascondermi, di non far vedere certe cose.

La verità vi farà liberi. La preghiera vera vi farà liberi e anche tanto male! Perché pregare è spogliarsi nudi, svestiti di fronte a Dio. Invece noi spesso facciamo come Adamo ed Eva che di fronte alla propria nudità si nascosero.

Il fariseo o il pubblicano sono due modi su cui io posso impostare la mia vita. Il pubblicano riconosce la grande verità: "Io non sono solo quello che penso di essere o solo quello che vorrei essere; sì io, proprio io sono meschino, limitato, colpevole. C'è una facciata di me che odio, che detesto, che rifiuto e non voglio vedere ma la devo riconoscere. Io non sono solo luce ma sono anche ombra".

All'inizio della storia Adamo ed Eva vollero farsi come dei (così insinuava il serpente) cioè perfetti. Ma questo fu il loro grande peccato. Questo è il grande rischio per ogni uomo. Ci fa male, è doloroso, è disillusorio vedersi per quello che si è realmente. E' una grande sconfitta della vita incontrare il proprio lato aggressivo, peccatore, buio, violento e nero. Perché tutto sommato crediamo di non essere poi così tanto male. Per questo è più facile pregare che conoscersi; o aiutare gli altri piuttosto che guardarsi nella propria verità.

Il fariseo rifiuta il suo lato buio, la sua verità. Lui non vede quello che egli è. Non lo vede, se l'è nascosto, non lo conosce e così crede che non ci sia. Come i bambini che per eliminare una cosa la nascondono. Perché non vedere una cosa di noi ci fa credere che non ci appartenga, che non ci sia. Ma è un'illusione.

Ma attenzione: non vedendolo in sé (lui non è "come questo pubblicano") dove lo vede? Lo vede nel pubblicano, negli altri. Proietta negli altri quello che lo riguarda, che lui è. Quello che odi degli altri è quello che non accetti in te. Quello che giudichi degli altri è proprio quello che giudichi e non sopporti di te. Allora amico, conosciti, fai contatto con la tua parte sconosciuta perché ciò che dici degli altri ti riguarda.

Tutte quelle persone che non fanno altro che giudicare gli altri dovrebbero guardarsi e si vergognerebbero. Giudicano gli altri perché se si guardassero dentro si metterebbero le mani nei capelli. Ma non lo fanno perché altrimenti (come il fariseo) si accorgerebbero che gli altri sono il loro specchio. Tutte quelle persone che hanno da dire sempre e su tutto stanno nient'altro che facendo la guerra a se stesse e alla propria vita che dev'essere molto insoddisfacente. Tutte quelle persone che vogliono da sé e dagli altri la perfezione, che non accettano nessun sbaglio, nessun errore, dovrebbero aprire gli occhi sul loro marcio e sui propri scheletri.

Bisognerebbe dire a loro: "Ma guardati". Bisogna che Dio ogni tanto mi dica: "Marco caro, guardati!". La verità ci irrita, ci fa male, ci fa arrabbiare, ci fa perdere i gangheri perché non vorremmo che qualcuno dicendocela ci scoprisse. E se una cosa che ci viene detta ci fa male, ci disturba o peggio ancora "ci manda in bestia" allora di certo quella cosa ci riguarda. Perché se non ci riguardasse non ci provocherebbe proprio niente.

Uno combatte per anni quel tratto del carattere di sua madre e poi si ritrova ad essere come lei. "Sei come tua madre!". "No, non è vero", e con tutte le forze tentiamo di negare la realtà. E, invece, è così. Tu ti credi elastico, aperto, disponibile e uno ti dice: "Sei rigido e ottuso nelle tue posizioni". "No, non è vero!". E, invece sì, apri gli occhi e guardati.

Quante volte le persone dicevano: "Io non lo farò mai!" e poi trovatesi nella stessa situazione lo hanno fatto. Attivisti del movimento della vita che hanno abortito; pacifisti violenti in famiglia; uomini di fede irreprensibile che sono di una intransigenza e di un dispotismo assoluto. Allora: non giudicare gli altri e non crederti più di loro. Quante volte le persone hanno giudicato certi comportamenti e poi si sono ritrovate proprio loro a rifarlo. Perché per chi presume di sé, a volte, capita proprio quello che diceva che non avrebbe mai fatto o che non gli sarebbe mai capitato. E' la vita che vuole farti imparare ciò che tu non vuoi imparare.

Di Buddha si racconta che un giorno un giovane irreprensibile e santo, andò da lui e lo pregò di accettarlo come discepolo. Buddha gli disse: "Hai mai rubato?". Il ragazzo rispose: "Mai". "E Buddha: "Allora va' e ruba, e quando avrai imparato a farlo potrai ritornare da me".

Un invito a rubare? No. Un invito a distruggere le proprie false immagini di bravi e perfetti, di uomini senza ombra, senza negativo, senza male. Io sono quel fariseo e io sono quel pubblicano.

Pensiero della Settimana

Quando non sai dove andare o cosa fare; quando ti vergogni di te o di ciò che hai fatto; quando ti rendi conto di aver rovinato o ferito la vita di qualcuno o di aver fallito la tua; per qualsiasi cosa

va' da Lui e non aver paura: "O Dio abbi pietà di me peccatore".

E, se viene dal tuo cuore, la Pace di Dio scenderà nel tuo cuore.

 

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