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TESTO La preghiera dei deboli

don Maurizio Prandi

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/10/2010)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Possiamo sintetizzare così la liturgia della Parola che oggi riceviamo dalla bontà di Dio: la preghiera è sempre preghiera dei deboli. Vero che pregare è un verbo che decliniamo spesso e volentieri quando siamo in situazioni di povertà, necessità e di bisogno, ma è altrettanto vero che la preghiera ci sorprende a volte in atteggiamento di pretesa, di sicurezza sprezzante, di superbia (come avremo occasione di vedere nel commento alle letture di domenica prossima).

Le letture di oggi ci aiutano a recuperare quella dimensione di piccolezza e di umiltà della quale nelle ultime due domeniche abbiamo sottolineato l'importanza per definire le condizioni che "rendono possibile" la fede. La preghiera non è opera dei forti, ma dei deboli scrive E. Bianchi, e mi piace davvero tanto: è la debolezza di Mosè che non riesce a tenere le braccia alzate ed è la debolezza di una vedova, debole perché donna, debole perché privata dell'affetto, dell'amore della sua vita, debole perché, (nonostante l'invito della Scrittua a operare come Dio, che si prende cura dell'orfano e della vedova), nessuno prende le sue difese.

Se c'è una "forza" che conta, nella vita, ci dicono le letture di oggi, non è la forza fisica, ma la forza che viene dalla fede, dallo stare saldi in Dio: forza che è perseveranza (mi pare bello ricordare qui quanto domenica scorsa ci diceva San Paolo nella seconda lettura: se perseveriamo, con lui anche regneremo), non stancarsi mai. La vedova del vangelo di oggi ci aiuta tanto, credo, in questo: ricordo che in un suo commento don Giovanni Nicolini ci invitava a ricordare che questo perseverare è la volontà e la capacità di "rimanere sotto", di "sopportare": siamo in pieno nel cammino di queste domeniche allora! E' la grande bellezza di un'umiltà e di una debolezza che si manifestano come la vera forza.

Sento molto vicini il testo della seconda lettura di domenica scorsa e la figura di questa vedova: s. Paolo non ci diceva che dobbiamo "sopportare con Lui", (vecchia traduzione), ma solo che dobbiamo sopportare! Secondo me, qui è la bella interpretazione di don Giovanni: Forse perché questa è la prova suprema della nostra partecipazione alla sua Passione: la solitudine! Forse questo è il punto supremo della prova della vita cristiana. Forse su questo dobbiamo supremamente vigilare gli uni sugli altri: quando siamo chiamati a celebrare la solitudine di Gesù! E siccome appunto siamo come bambini, siamo bambini, la solitudine è la prova più delicata! Leggevo qui la capacità di lottare, sola contro tutti, di questa donna della quale l'evangelista Luca ci parla e mi pare di capire che la fatica e la lotta diventano allora chiavi di lettura importanti per quello che riguarda la nostra vita spirituale.

La prima lettura, insieme ad un contesto che per me è sempre problematico (quello della battaglia, della guerra, del passare a fil di spada tipico della mentalità del primo testamento) ci dice due cose importanti: intanto che Dio cammina con noi nella prova, nelle difficoltà, nelle battaglie della nostra vita e poi ci dice della bellezza della preghiera, che l'autore del libro dell'Esodo ci presenta nella sua dimensione di fatica, ma anche nella sua dimensione comunitaria. Scrive Enzo Bianchi: La preghiera è uno sforzo, è opus, lavoro e come ogni lavoro è faticoso, per il corpo come per lo spirito: ma quella immagine indica anche un aspetto della dimensione comunitaria della preghiera. La comunità cristiana non è solo il luogo in cui si è chiamati a pregare gli uni per gli altri, a intercedere, ma anche a porsi a servizio della preghiera dell'altro. Sostenersi ed incoraggiarsi nella fede e nella preghiera, è compito richiesto ai credenti della comunità cristiana.

E' molto bella l'interpretazione che la cristianità negli anni ha dato a questo episodio vedendo nel gesto di Mosè e nella sua fatica la passione di Gesù sulla Croce. E' lì la forza di noi credenti, in un Dio che si passare a fil di spada, è li il vero combattimento di Dio per noi, è lì la vera vittoria. Ci aiuta anche il contesto nel quale la prima lettura è collocata nel libro dell'Esodo: Amalek è il primo nemico che incontra Israele e lo incontra in un momento di prova e di difficoltà a causa della mancanza di acqua e di cibo. Amalek approfitta, (diremmo noi vigliaccamente), di una situazione di estrema debolezza, mi pare un bell'esempio di come anche noi siamo chiamati a reagire quando ci troviamo in una situazione di povertà spirituale, quando siamo tentati di abbandonare, lasciar perdere perché la presenza del Signore non ci appare più così certa, così evidente.

Il brano di vangelo che abbiamo ascoltato apre il capitolo 18 del vangelo di Luca nel quale, (scusate il mio ripetere sempre la stessa idea!!!), Gesù ci parla del mistero della sua e nostra piccolezza. Ancora una volta siamo confermati nel fatto che la fede e la preghiera di cui oggi siamo testimoni grazie a questa donna, possono fiorire soltanto nei piccoli e in chi sa che a questa piccolezza deve in continuazione convertirsi. Il primo versetto ci dà l'obiettivo: la necessità di pregare sempre, senza stancarsi. In questi primi giorni di ottobre, dove la figura di grandi santi ci è venuta incontro (Francesco, Teresa di Lisieux, Teresa d'Avila), il nostro istinto ci porta a considerare che la preghiera continua è per spirito di grande forza, maturità. Il vangelo ci dice qualcosa di diverso: quanto Gesù chiede è compiuto da una persona che trova tutta la sua forza a partire dalla sua debolezza. Un'altra cosa molto importante è questa: il verbo che la traduzione italiana rende con senza stancarsi e che può indurre a intendere la preghiera come una gara di resistenza, in realtà va tradotto con senza scoraggiarsi, senza perdersi d'animo ecco che la vedova del vangelo ci aiuta a dire che la preghiera è un atto di profonda, incessante, umile fede. Sento anche la domanda che Gesù pone al termine di questo brano di vangelo come un invito forte a vivere l'esperienza della piccolezza e della povertà per poter dire, un giorno, dove saremo, se radicati nelle nostre sicurezze o fiduciosamente abbandonati nelle mani di Dio.

Ricevo la seconda lettura di oggi come un ulteriore invito a stare saldi in Dio e nel dono che lui ci fa della sua Parola, che, come scrive don Paolo Farinella, è fondamento della vita e contenuto della preghiera. Paolo proclama la bellezza di una vita immersa nella Parola di Dio (Timoteo fin da piccolo è stato iniziato all'ascolto della Sacra Scrittura e la sua vita è stata illuminata e condotta dalla Parola) e denuncia l'urgenza di seminare, annunziando. Lo fa con quel verbo così forte: ti scongiuro, che alla lettera sarebbe ti testimonio. E' Paolo, che a partire dalla sua esperienza, invita ciascuno di noi a vivere come lui, facendo della parola di Dio il cuore e il respiro della vita.

 

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