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TESTO Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

mons. Gianfranco Poma

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/10/2010)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Nella domenica XXIX del tempo ordinario leggiamo l'insegnamento di Gesù sulla preghiera (Lc.18,1-8), omettendo il brano che riguarda la venuta escatologica del Figlio dell'uomo (Lc17,20-37) che è un aspetto essenziale del messaggio cristiano e che illumina il senso cristiano della preghiera.

Il tema affrontato da Gesù in questo contesto è il Regno dei cieli, oggetto centrale del suo messaggio. La domanda di un Fariseo sulla venuta del Regno diventa per Gesù l'occasione per correggere il pensiero del suo interlocutore e di precisare il suo insegnamento.

Al Fariseo che gli pone la domanda su "quando", la risposta di Gesù è su "come" viene il Regno di Dio, perché comprenda che la sua questione non ha senso quando comprenda il senso in cui Gesù parla del Regno di Dio. Affermando "il Regno di Dio è dentro di voi (o in mezzo a voi)" (17,21), Gesù propone una concezione diversa da quella dei Farisei che sembra lasciare a Dio l'intera responsabilità di far venire il Regno, come se l'uomo avesse solo il ruolo di spettatore. Al contrario, Gesù collocando l'uomo nel cuore del progetto di Dio, gli rivela il senso e gli apre lo spazio della sua responsabilità morale, che consiste nello sviluppare e nel far venire il Regno. Quello di Gesù è, dunque, un appello all'azione: noi non dobbiamo attendere ciò che di fatto è nelle nostre mani e che compete a noi di realizzare. Il Regno "dentro di noi", appare dunque come una forza che deriva dalla Parola "ascoltata e accolta", che diventa "la fede che agisce e che salva". Molte volte Luca usa la metafora vegetale del grano che germoglia: il seme viene dall'esterno, ma accolto all'interno del terreno, germoglia e produce energia moltiplicata. Se la pienezza del Regno è talmente grande che va al di là del tempo (è escatologica), la sua esistenza e la sua azione è reale già adesso, attraverso l'uomo, in una forma nascosta e mai compiuta.

"Il Regno dei cieli è dentro di voi" (Lc17,21): ma se questo è vero, se non è solo una speranza per il futuro, perché l'esperienza concreta va spesso in direzione opposta? Perché i malvagi, i prepotenti trionfano? A questo punto si innesta il discorso di Gesù: occorre seguire Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme per vivere con Lui una esperienza nuova e percepire la realtà della presenza del Regno. "Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai": la preghiera è la via per entrare in sintonia con il Regno, per sperimentarne la forza, per avere la certezza che già adesso è presente, pur essendo sempre in attesa della sua pienezza. La preghiera non è per niente un modo per sfuggire alla durezza della realtà, per alienarsi dal presente in attesa di un futuro felice: è anzi il coraggio di immergersi nella realtà più vera. Gesù insiste sulla necessità della preghiera, sulla perseveranza nella preghiera, sul non perdere il gusto della preghiera anche nei momenti nei quali si può arrivare persino a sentirne il ribrezzo.

E pronuncia la parabola: come avviene spesso nel Vangelo di Luca, sono messe di fronte due persone che si trovano in condizioni opposte, un potente e una povera donna, un giudice che non teme Dio e non rispetta nessuno, una povera vedova che crede nella giustizia e in chi ha il dovere di amministrarla. Nella situazione che sta vivendo questa donna si ripresenta in realtà l'esperienza fondante della fede di Israele: lo scontro tra il Faraone e Mosè, tra la potenza umana e l'onnipotenza di Dio che è con il povero. Qui, il giudice può tutto, è potente, è ricco, non ha nessun senso di Dio e nessun rispetto per gli uomini, mentre la povera vedova è forte soltanto del suo senso di giustizia. Di fronte a un giudice che non crede in niente se non nel suo poter fare quello che vuole senza essere turbato da nessuno, la vedova senza alcuna esitazione esprime la sua richiesta: "Fammi giustizia contro il mio avversario". Il gioco di parole che la frase greca contiene, esprime bene il modo di porsi di questa donna vedova: il tempo imperfetto dice il suo atteggiamento costante nel chiede giustizia contro il suo "anti-giustizia". La forza del giudice è fondata solo sulla sua presunzione ma la forza della povera donna è fondata sulla giustizia: avrebbe ogni motivo per scoraggiarsi ma il suo bisogno, la sua povertà diventa il suo coraggio. Il giudice non può resistere a lungo e "dice dentro di sé" (anche l'uomo più chiuso non può non avere un momento, nella sua solitudine, nel quale si ascolta interiormente): "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, siccome questa donna mi turba, le farò giustizia, perché alla fine, venendo, non mi faccia male". Il commento del Signore ci sorprende: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto". Chi ha vinto alla fine? Ancora una volta le situazioni si sono capovolte: "di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono... ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili..." "Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente". Comprendiamo, adesso, che cos'è la preghiera e perché bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai. La preghiera non è il cercare di costringere Dio a fare quello che noi vogliamo che faccia; è il respiro di chi vive affidato a lui, ricordando che egli è un Padre che è sempre all'opera nella nostra esistenza e nella storia; è il distendersi della nostra vita in sintonia con la sua volontà che vuole la giustizia vera per tutti gli uomini; è l'entrare in comunione con lui perché attraverso di noi passi il suo amore concreto per tutti. Ma certo, la preghiera è il non aver paura della nostra povertà; è la spogliazione della nostra volontà per essere strumento della volontà del Padre; è l'affidarsi alla sua logica e ai suoi tempi ma con la certezza che lui riempie la nostra povertà. La preghiera è il linguaggio della nostra fede: posti a vivere nel mondo, costantemente tentati di incrociare le braccia, di cedere allo scoraggiamento è solo la fede che ci sostiene. Quando Luca scrive, si rivolge a una comunità tentata di scoraggiamento: "Quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?" E' una frase che sembra pessimista, ma che vuole in realtà mettere in guardia i credenti di ogni tempo: l'amore del Padre non può venir meno, ci ha donato tutto donandoci il Figlio. Quando tutto si fa oscuro è allora che l'amore è più grande, ed è la fede: qui Gesù vuole darci una grande lezione sulla fede. Se la frase con cui si chiude il nostro brano è una domanda, quella con cui inizia dice in che cosa consiste la fede: "Bisogna pregare senza scoraggiarci mai". All'interno di questa inclusione, ci è presentato l'esempio della vedova povera che ha vinto la prepotenza del giudice al quale non importava niente di nessuno.

 

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