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TESTO Fedeli e attivi

don Daniele Muraro  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/10/2010)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Dopo avere ascoltato nelle parabole dell'amministratore e di Lazzaro tanta abbondanza di merito per chi vive secondo verità superiori e le ricompense associate, appassionati dai beni futuri, i discepoli si rivolgono al Signore con una invocazione: "Accresci in noi la fede!".

In precedenza, dopo aver dubitato, i discepoli subirono il rimprovero di essere "uomini di poca fede"; ora vogliono crescere in questa fede, nell'aspettativa che si trasformi in visione.

La fede viene raccomandata nelle difficoltà: "Niente è impossibile a chi crede!" fino a "spostare le montagne." Si tratta di espressioni rintracciabili altrove nel Vangelo. Qui più misuratamente Gesù preferisce nominare un gelso, pianta che non godeva di molto favore allora. Essa non fiorisce, e non vi ricava miele. I suoi frutti sono poca cosa rispetto alla chioma, florida ma inutile (non si conosceva il baco da seta).

La retta fede allontana da ogni insufficienza e senso di inutilità. "Tutto è possibile a chi crede"; se davvero la fede obbedisce all'Onnipotenza, allora tutte le cose obbediranno alla fede. Una fede consistente poi è anche costante.

Confondersi per poco è difetto infantile, da abbandonare nell'età adulta. San Paolo confessa: "Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino." Propria dei bambini è la volubilità e l'accontentarsi di spiegazioni superficiali.

Invece una fede adulta richiede intelligenza e perseveranza. Perciò Paolo raccomanda ai suoi cristiani: "Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi."

Volendo introdurre un modello di inaffidabilità, gli antichi presentavano lo schiavo, tanto veloce a promettere sotto la minaccia del castigo, quanto svelto a trascurare l'impegno, una volta "schivato" il pericolo. A tale debolezza di carattere lo riduceva la sua triste condizione.

Noi non possiamo avere la fede degli schiavi, ma dei figli, di coloro i quali sono familiari con Dio e, cresciuti alla sua presenza, sono diventati responsabili dei loro atti.

La conquista di una fede adulta deve esaltare un credente? No, perché egli, pur nel suo sforzo di elevarsi nella fede, rimane pur sempre un servo. Non si deve dimenticare che è un figlio adottivo, ancora in cammino verso la casa del Padre. L'ossequio della fede da prestare al Signore è anche umile, altrimenti traligna.

Una fede intensa è per ciò stesso operosa. Solo a Dio si può prestare un servizio libero senza per questo sentirsi sminuiti dall'impegno operato. Comportarsi da servi, senza la mentalità dello schiavo, è questa la sfida del cristiano.

Uno dei primi scrittori romani Marco Porcio Catone dall'osservazione pratica era arrivato a questa conclusione: "La vita dell'uomo è simile al ferro che, adoperandolo, si logora. Ma se non lo adoperi, la ruggine lo consuma. Così degli uomini vediamo che, facendoli lavorare, si logorano; ma se non li fai lavorare, l'ozio e il torpore fanno più male che non il lavoro".

Catone di schiavitù se ne intendeva, essendo un grande proprietario terriero per l'epoca. Non vogliamo certamente tornare a quei tempi, ma la sua constatazione rimane valida.

La differenza tra una zappa levigata dall'uso e una zappa corrosa dalla ruggine è che la prima ha dato da mangiare a generazioni di persone, la seconda non è mai stata utile.

Se ci si è prefissi una meta si cammina più spediti, chi si permette il lusso di andare a zonzo torna a casa svagato e il più delle volte deluso. Se ci proponiamo un risultato da raggiungere anche il nostro impegno sarà più serio e il buon risultato quasi garantito.

C'è un tempo in cui la vita sembra una passeggiata, ma è breve. Per lo più essa consiste di un duro lavoro, in qualsiasi settore ci si applichi. Così il Signore vuole che non trascuriamo di mostrarci servi suoi, per riconoscerci un giorno il merito della fedeltà e il premio dell'amicizia.

Recita una preghiera della Chiesa: "O Signore, aiutaci a vincere ogni forma di pigrizia, di mollezza e di egoismo, donaci il gusto del lavoro assiduo e serio per il premio celeste." Chi lavora è inquieto e sollecito." Il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta.

La fede è come una lanterna; non illumina tutto, ma rischiara i dieci metri intorno. Ad ogni nuovo passo in avanti, la lanterna allunga il suo raggio e apre lo sguardo a sempre nuovi traguardi. Tutte e due le cose sono importanti: camminare e avere la lanterna. Ai discepoli che chiedevano di vedere più in là il Signore non risparmia l'invito a camminare più spediti, ma sempre con la luce della fede a segnare la direzione.

Poter dire: "Siamo arrivati" sarà una gran bella soddisfazione, significherà che siamo nella piena luce del Regno di Dio compiuto, ma per intanto, finché rimane poca o tanta ombra, non smettiamo di avanzare.

Verrà un giorno in cui diventerà inutile anche quello per cui con tanta passione per intanto ci adoperiamo, ma allora non sarà inutile, né fuori luogo, poter esclamare: "Signore, come mi è stato ordinato, tutto quello che potevo fare, l'ho fatto".

Non smettiamo di considerarci semplicemente servi in vista di venir riconosciuti un giorno nient'altro che figli.

 

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