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TESTO Missione e fede: salvati da un 10 per cento

don Alberto Brignoli  

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/10/2010)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,11-19

11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Già la scorsa domenica la Liturgia della Parola ha cercato di farci comprendere che la vita di fede si gioca sulla gratuità. Non possiamo stabilire con Dio un rapporto di "dare e avere", come se Dio fosse un contabile che ci deve retribuire per il bene che facciamo e al quale dobbiamo rendere omaggio nella misura in cui egli fa qualcosa di buono per noi.

Quest'oggi, il tema della fede come Grazia si incontra con il tema della fede come presenza di Dio nella nostra vita, presenza che ci cambia la vita. E ce la cambia, appunto, per Grazia: non certo per i nostri meriti, non perché abbiamo fatto qualcosa che fosse degno di nota, non perché "era ormai ora che facesse qualcosa per noi", ma semplicemente perché egli è Dio, e interviene nella nostra vita con quel criterio di gratuità (la Grazia, appunto) che non è vincolata ai nostri comportamenti. Mentre invece è vero il contrario, ossia che i nostri comportamenti non possono non essere vincolati all'azione della Grazia di Dio nei nostri confronti. Meglio ancora: i nostri comportamenti non possono non essere la conseguenza della presenza di Dio nella nostra vita. Altrimenti, non c'è risposta dell'uomo alla Grazia di Dio che si rivela in ognuno di noi per mezzo di Gesù Cristo. Altrimenti, per farla breve, non c'è fede.

Faccio un esempio concreto. Se noi ci rivolgiamo a Dio per chiedere a lui una grazia o un favore di cui sentiamo di avere bisogno, per quanta fede ci possiamo mettere nel farlo, si dovrà forse Dio sentire vincolato ed obbligato ad esaudirci, pena il nostro volontario allontanamento da lui? Credo che siamo tutti concordi a dire di no: Dio è Dio, per cui non è certo a noi che deve rendere conto delle sue scelte, anche perché spesso appartengono a quel grande mistero della sua volontà che a noi non è dato di comprendere. Eppure, quante volte ci comportiamo così: chiediamo a Dio una grazia, e se lui non ce la concede, ci arrabbiamo con lui e lo mandiamo a quel paese, dicendogli che "non è così che si fa". Poi però, quando avviene il contrario, non siamo sempre altrettanto onesti nell'attribuire a Dio il merito di quell'azione, quasi fosse scontato che lui doveva ascoltarci. E se lui, a questo punto, se la prendesse con noi per questa nostra ingratitudine? Invece a quanto pare non è così: la grazia che egli ci concede rimane, nessuno ce la toglie. Di certo, non saremo capaci di sentirne tutta l'efficacia, se non la guardiamo con occhi di gratuità e di gratitudine, cioè di Grazia. E se pur ne abbiamo ottenuto un beneficio materiale, fisico, tangibile, con difficoltà sperimenteremo la pienezza del beneficio spirituale che da esso ne proviene, ovvero la salvezza.

Perché se Dio concede una grazia all'uomo non è perché l'uomo possa sentirsi appagato e felice: anche quello, ma non solo. È innanzitutto perché l'uomo si lasci cambiare la vita dall'incontro con lui: in poche parole, perché l'uomo si salvi per mezzo di lui.

Possiamo quindi immaginare la delusione di Gesù che concede una grazia enorme come quella della guarigione a dieci lebbrosi, e su dieci uno solo ha la grandezza d'animo, la consapevolezza (diciamo pure la fede) di tornare indietro lodando Dio a gran voce per ringraziarlo del dono ricevuto. Per gli altri, il gesto di grazia di Gesù (chiesto gridando a lui a gran voce) pare fosse qualcosa di scontato, di dovuto.

Come mai? Come mai solo uno su dieci, il 10 per cento, ragionando da matematici, coglie la grandezza della Grazia di Dio nella sua vita? Eppure tutti dimostrano di avere fede in lui, perché gridano a lui la loro disperazione. Solo un 10 per cento... Tra coloro che ricorrono devoti a Cristo, solo un 10 per cento si dimostra meritevole di ricevere la Grazia di Cristo che salva. E oggi ci lamentiamo perché la frequenza alla messa domenicale in Italia è diminuita, quantificabile intorno al 28% dei cristiani? È quasi il triplo di quei discepoli di Gesù sanati dalla lebbra e grati nei suoi confronti... Questo per dire che la mancanza di risposta alla Grazia di Dio da parte di chi si dice credente, una presunta "ingratitudine" alla gratuità di Dio, non è un fatto nuovo, ma è la storia di sempre.

E allora, guardiamo con onestà a tutto il brano di Vangelo di oggi, e accettiamo senza riserve e senza mugugni un altro particolare: che quell'unico lebbroso capace di riconoscere in sé i benefici della Grazia di Dio, quel 10 % fedele a Gesù, per dirla così, è un samaritano. Con tutto ciò che questo comporta: straniero, disprezzato, ritenuto infedele perché professante un'altra fede, separatista e quindi politicamente scorretto, e per di più... lebbroso, ovvero una delle peggiori categorie della società israelita di quel tempo, in quanto identificabile con l'immondo non solo in senso fisico, ma soprattutto in senso morale. Ebbene, quest'uomo è additato da Gesù come modello di fede, al punto che viene salvato proprio in virtù della sua fede. A dispetto del restante 90 % (la quasi totalità) che considera scontata la Grazia ricevuta da Dio, per cui Dio è visto come soggetto alle loro richieste. Non c'è quindi affatto bisogno di tornare a ringraziarlo. Ma non sono loro a salvarsi, e nemmeno ad essere presi a modello di fede, e quindi nemmeno possono aiutare gli altri a salvarsi.

Chi si salva e diventa modello dell'uomo aperto alla salvezza è il samaritano, il povero e reietto, per di più della peggior categoria. Mi viene da dire che saranno i poveri che ci salveranno. Salveranno se stessi e salveranno noi, perché ci insegnano (nella misura in cui lo vogliamo capire) il senso della gratuità e quindi la virtù della gratitudine.

Sapete bene quanto questo mese provochi in me continui riferimenti alla missione. Ebbene, nella mia non lunga esperienza missionaria sono stato quotidianamente a contatto con situazioni di povertà, alcune veramente estreme, altre estremamente dignitose, altre ancora camuffate sotto altre sembianze come quelle della menzogna, del raggiro, della delinquenza.

Ma quando mi penso di fronte al giudizio di Dio, un giudizio che avrà come unico capo d'imputazione la carità mancata e quella non eseguita come si deve, mi vedo già di fronte, seduto al banco della giuria popolare, quel 10% di discepoli dalle sembianze non attraenti e certamente fuori dagli schemi classici della salvezza, che però sono amati da Dio in modo speciale prima di tutto perché poveri e poi perché capaci di rendere grazie a Dio.

E la sorpresa sarà grande, quando mi accorgerò che non sono lì né per giudicarmi né tantomeno per condannarmi, ma per accogliermi con la stessa misericordia con cui sono stati accolti e salvati da Dio.

Sarà poco gratificante: ma prego Dio che ad ogni missionario, e ad ogni cristiano in generale, faccia la grazia di sperimentare la forza salvifica di quel 10 per cento...

 

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