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TESTO Relazioni che sappiano di paradiso

don Maurizio Prandi

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/09/2010)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Proseguendo nel nostro cammino sul discepolato, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda l'importanza del vedere, dell'accorgersi, dello spostare uno sguardo che troppe volte è centrato su se stessi (prima lettura e vangelo) e ci ricorda anche che da Dio tutto riceviamo, anche la vita eterna perché per quanto possiamo lottare e impegnarci, questa rimane un suo dono (seconda lettura).

Durante la settimana, nelle comunià, abbiamo anche fatto un piccolo percorso, celebrando l'Eucaristia, proprio in questa direzione, sottolineando alcuni verbi, così "normali", che corriamo il rischio di dimenticarne l'importanza. I verbi vedere e parlare (per quello che riguarda il mondo di Dio) e i verbi ascoltare e vedere (per quello che riguarda il mondo dell'uomo).

Che cosa cerchiamo, quali sono i nostri sogni, desideri? Ci domandavamo domenica scorsa. Oggi prima lettura e vangelo ci dicono che chi cerca la propria sazietà non può vedere e non può preoccuparsi dei propri fratelli bisognosi. Avere questa capacità, quella di preoccuparsi degli altri, dipende da che cosa occupa prima, riempie prima il nostro cuore... se il mio cuore è pre-occupato da quello che possiedo, se il mio cuore è pre-occupato dalla importanza della mia immagine, ecco che spazio per gli altri non ce n'è... non c'è nemmeno spazio per Dio. Parole forti, quelle che abbiamo ascoltato contro chi confida in sè e continua a vivere una vita spensierata e lussuosa... stare bene e stare sicuri, in sè non è un male, anzi... ma le persone a cui il profeta dirige le sue parole cercano un bene e una sicurezza che siano per se stessi e non per tutti. Ci troviamo di fronte a persone che operano esattamente nella direzione contraria a quella di Dio, che non si dà pace fino a che anche uno solo dei suoi figli non ha pace. Mi impressiona la insensibilità dei ricchi della prima lettura e del ricco del vangelo. La prima lettura ci dice anche qualcosa di più sulla radice di questa insensibilità: nasce dalla religione. Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria... il profeta si riferisce alla disputa circa la maggiore importanza tra il monte Sion (in Gerusalemme) e il monte Garizim (qualcosa di questo lo abbiamo imparato pregando anche sul testo dell'incontro tra Gesù e la donna di Samaria). Questi due monti si disputano, in un modo quasi magico, una promessa sicura di salvezza: credo in Dio che lì si rivela e allora sono tranquillo, quindi posso darmi spensieratamente alla gioia. E' chiara allora anche la condanna di un certo modo di credere... che sia un luogo o che sia un Dio, tutto diventa una scusa per coprire le pigrizie, i disordini, le ingiustizie, le offese ai poveri. Ecco che il profeta dicendoci che tutto questo un giorno finirà ci invita ad aprire lo sguardo, a guardare al futuro per costruirlo questo futuro, e non stare inchiodati nel nostro presente. In suo bel commento a queste pagine, don Giovanni Nicolini scrive: non sembra che questi ricchi di Israele abbiano una qualche coscienza e volontà di male; ne sono semplicemente immersi; per questo non mi sembra impropria l'espressione "spensierati di Sion" del v. 1. La loro condizione di ricchezza non è evidentemente considerata un'ingiustizia, ed è diventata la loro stessa fede, come denuncia ancora al v. 1 dove l'italiano rende con: "si considerano sicuri" il verbo che in ebraico dice il confidare e l'affidarsi, cioè l'atteggiamento forte del credente, qui stravolto dall'idolo della sua stessa ricchezza... E' quello che dicevamo domenica scorsa: si arriva ad un punto in cui la fiducia, l'abbandono, lo stare sicuri non è in Dio, ma nel Dio denaro.

Legato a questa prima lettura è il passaggio del vangelo di oggi. L'atteggiamento del ricco della parabola raggiunge un unico obiettivo: scavare un abisso così profondo che nemmeno Dio può attraversarlo... sono stato contento oggi, durante la condivisione della parola, della risposta che le persone hanno dato alla domanda: ma questo abisso chi lo ha costruito? Nessuno mi ha detto Dio, tuti hanno risposto che è stato il ricco a costruirlo con le sue mani. E' proprio vero, non lo scava Dio questo abisso... lo scava il ricco, con le sue scelte, con le sue decisioni, con il suo egoismo, con la sua cecità. Un abisso scavato con la sua libertà di desiderare un vivere traquillo, senza lasciarsi infastidire dalla povertà di Lazzaro. E' per questo che Dio non ci può fare niente, perché, ripeto è un abisso scavato liberamente e responsabilmente dal ricco. Tre anni fa, ad un campo scuola con i ragazzi delle medie, don Matteo Benetti ci ha detto una cosa bellissima commentando questa parabola e commentando l'abisso: Questo abisso è la vera definizione de "l'inferno": la distanza che creiamo tra noi e i nostri fratelli. Quando il ricco chiede che Lazzaro possa raggiungerlo con una goccia d'acqua, Abramo gli ricorda che per tutta la vita lo aveva avuto a fianco, sulla soglia di casa sua, ma non ne ha approfittato, anzi ha creato un abisso. Ogni giorno della nostra vita, allora, è l'occasione che ci è offerta per creare relazioni nelle quali chiamarci reciprocamente per nome e così generarci continuamente alla vita. Questo è "il paradiso" ed è a portata di mano, solo che spesso non ce ne accorgiamo.

La seconda lettura che abbiamo ascoltato ci riporta al tema che domenica scorsa ci ha accompagnato: i nostri desideri, i nostri sogni. San Paolo ci dice quanto sia importante nella vita a vere delle mete, perché vivere senza obiettivi non è possibile; san Paolo ci dice anche che questi obiettivi non li raggiungiamo da soli, infatti non dice devi esser giusto, fedele, paziente, mite... ma dice:tendi alla giustizia, alla pietà, alla mitezza, alla fede, alla carità, alla pazienza... mi piace molto questo, perché è un richiamo alla nostra fragilità e debolezza... non ci è chiesto di essere dei super eroi, chi è chiesto di "tendere", cioè dirigere la nosta vita lì, inclinarla lì, cercando di raggiungere la vita eterna... vita eterna che è dono di Dio perché è Lui, dice s. Paolo, che dà vita a tutte le cose e prendendoci per mano fa con noi quel pezzo di strada che da soli non saremo mai capaci di fare.

 

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