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TESTO Fede, perseveranza e umiltà

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/10/2010)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

La fede è una virtù teologale che mentre ci ottiene familiarità con Dio ci aiuta a conseguire vantaggi personali e relativi alle relazioni con gli altri e come abbiamo detto più volte consegue anche le dovute ricompense. Ciò tuttavia non toglie che essa ha anche i suoi risvolti in negativo, perché nel suo ambito comprende oltre ai benefici anche sacrificate vessazioni e dure ed estenuanti visite di prova. Affidarsi a Dio in ogni situazione vuol dire infatti accettare le garanzie e le ricompense, ma, come del resto anche la Scrittura contempla più volte, anche saper soffrire maltrattamenti, ingiustizie, persecuzioni e cattivi eventi, a volte proprio nel momento in cui ci si mostra fedeli al Signore.

La fede si saggia infatti costantemente, come l'oro è provato con il fuoco (1Pt 4, 12), ma vi sono esperienze nelle quali, in effetti, è proprio difficile accogliere deliberatamente certi tormenti e certi tartassamenti a dir poco assurdi, come nel caso di quei due ragazzini - esperienza realmente accaduta!- colpiti a morte improvvisamente da un fulmine mentre sotto gli alberi assistevano ad una funzione liturgica davanti alle porte di una chiesa sovraffollata. O come nel caso di quella Signore che, proprio mentre rientrava da un viaggio devoto al Santuario di Padre Pio, veniva colpita improvvisamente da un infarto fulminate o altre situazioni simili che conducono sempre il credente alla tentazione di conclusioni disastrose, essendo difficile, in questi casi, conciliare la fede in un Dio buono e provvidente con l'esistenza del male sotto tutti gli aspetti.

Il profeta Abacuc, considerando lo stato precario del popolo contemporaneo in occasione dell'incursione di Nabucodonosor, è mosso dallo sconforto e si concede esclamazioni incalzanti del tipo: "Fino a quando Signore?"; si domanda cioè fino a quando sarà costretto a vedere iniquità e contese tutt'intorno e per implicito anche fino a quando debbano subire immeritato castigo i giusti e i retti, e si assisterà al trionfo incontrastato dei malvagi e dei prepotenti, che continueranno a passare inosservati nelle loro malefatte. Sono domande che ricorrono anche nel Quoelet, che interessano parecchi Salmi e che sottendono lo stato di angoscia e di dolore che anche in tempi odierni, poiché l'evidenza degli orrori della fame e delle guerre sanguinose causate da egoistici interessi di pochi danno luogo a situazioni di odio e di violenza, mentre le persone rette e probe sono costrette ad assistere ad una giustizia inesistente nei confronti di chi truffa', specula e raggira molte volte ai danni delle persone più deboli. Molte volte la giustificazione teorica per la quale Dio dal male trae sempre il bene non è sufficiente a consolare chi è stato appena gravato da un grave lutto immeritato o ha subito un torto o un'ingiustizia esorbitante alla quale mai potrà porre rimedio.

Vivere la fede è quindi molto difficile anche perché le devianze del presente, come afferma Paolo, ci conducono a vedere Dio in modo confuso, come attraverso uno specchio in attesa di una visione chiara e cristallina del suo volto nei tempi ultimi (1Cor 13, 9 e ss.) e viene da domandarsi: quali garanzie offre la fede di fronte a tante ingiustizie e oppressioni? Perché Dio consente determinate cose?

Come osserva Grun, il cristianesimo non propone una teoria né immediatamente una lezione o una strategia di difesa o di prevenzione dal male o da quanto possa distoglierci da Dio, ma semplicemente ci invita a concentrarci su una persona: Gesù Cristo. Egli che era Dio come il padre e lo Spirito Santo, si è fatto obbediente sottomettendosi in tutto alla volontà del Padre e sperimentando anche da parte del Padre l'abbandono, poiché così si esprime pochi attimi prima di spirare: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" Se lui, che viveva in terra la comunione con Dio Padre nella pienezza della sua divinità, ha sperimentato l'abbandono di Dio come non poteva avvertire la sensazione propria di chi soffre ingiustamente, nonostante tanta fedeltà e fervore devozionale verso il Signore? Come non poteva non provare il disappunto di chi soffre immeritatamente, di chi è costretto ad assurdi destini di sconfitta immeritata? Se lui che era Dio ha fatto esperienza dell'abbandono di Dio, certo avrà compreso l'amarezza delle pene immeritate.

Gesù ha sofferto anche la falsità di chi lo accusava ingiustamente, la persecuzione di chi, come scribi e farisei, non si arrendeva alla sua divinità nonostante l'evidenza dei miracoli e alla concretezza di atti di misericordia che sono propri solo di un Dio Amore, ha sopportato le prevaricazioni e gli insulti, le persecuzioni, il tradimento vile di uno dei suoi e il rinnegamento da parte di colui che egli aveva scelto a pietra angolare della sua Chiesa.

Gesù ha anche previsto per i suoi discepoli persecuzioni, angosce e astute perversità da parte di avversari e nemici menzogneri: "E mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia" e ha annunciato ai suoi che sarebbero stati condotti nei tribunali e avrebbero subito ogni sorta di condanna. Ma aveva anche concluso che chi persevera fino alla fine sarà salvato.

Perseveranza. Questa è quindi la parola chiave perché la nostra fede possa ravvivarsi e alimentarsi come una fiamma anche nel vortice dei problemi e delle angosce; essa ci sprona a non demordere ma ad osservare la croce di Cristo quando si è costretti a portare la propria; a persistere nella fedeltà assoluta a Dio nella circostanza di eventi tristi e di immeritate cattiverie e a subire gli oltraggi e le pene di quella che noi definiamo la fatalità. Se la fede ci sottopone a prove e a raccapriccianti delusioni, essa, quando si poggia sulla fiducia e sulla speranza, rende facile l'aggravio di tante ostilità. Purché la speranza si fondi in nient'altro che nella croce dello stesso Signore e purché la croce diventi la chiave di interpretazione di tutto il male a cui siamo costretti. Paolo esorta Timoteo (II Lettura) con parole di conforto che servono allo stesso tempo da imput ministeriale e apostolico nel fronteggiare ogni avversità: "Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo."

Gesù indica un espediente sempre valido e attuale perché la fede dei suoi discepoli sia sempre all'altezza di ogni avversità, e questa risorsa è quella dell'umiltà: essa è il presupposto della fede e di ogni altra virtù e suppone sempre disposizione al servizio e all'abnegazione nei confronti di Dio, fiducia disinvolta e indiscussa in Lui soprattutto al momento del dolore e della prova, affidamento alla croce come preambolo della resurrezione. Che un padrone si mostri così burbero e crudele da pretendere che il suo servo, stremato dalla fatica nei campi, non si rifocilli e provveda subito a servirlo a tavola, questo non sempre è possibile che succeda. Quello che fra le righe vuole sottolineare Gesù è appunto l'umiltà e la disposizione paziente che molte volte richiede la nostra fede in lui e la perseveranza nonostante le prove ingenti e massacranti e se la fede si combina con la perseveranza e con l'umiltà essa diventa davvero prerogativa abnorme in grado di smuovere le montagne e sradicare alberi. Forse essa non provocherà questi fenomeni in senso materiale, ma certamente otterrà i dovuti effetti di gratificazione e di ricompensa.

Ma l'intendimento parabolico di Gesù sottende anche un altro significato: sarà Dio stesso, alla fine, il padrone comprensivo che non soltanto non pretenderà sforzi mostruosi dai suoi servi fedeli, ma sarà disposto a passare a servirli egli stesso a tavola, così come Gesù insegna in un altro discorso parabolico sulla vigilanza: Dio non solamente ricompensa la nostra fatica e il nostro sudore, ma si dispone anche a servirci nella misura della nostra fedeltà. Per questo motivo la fede non deve soccombere alla nostra debolezza né gli ostacoli e le prove devono sminuirne la forza e l'efficacia; piuttosto essa va rinvigorita dall'umiltà e dalla penitenza.

 

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