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TESTO Commento su Luca 17,5-10

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/10/2010)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Non è la prima volta che nell'Evangelo ricorre la metafora del granello di senape, richiamato oggi da Luca. Già in Matteo (13,31) al granello di senape, il più piccolo fra tutti i semi, destinato però a diventare il più grande fra tutti i legumi, viene paragonato il Regno dei Cieli, piccolo anch'esso inizialmente, ma destinato a crescere sempre più. Nel brano lucano, al granello di senape viene invece paragonata la fede.

La fede e l'umiltà sono le due caratteristiche indispensabili per poter seguire Gesù. È molto interessante la risposta che Gesù dà ai discepoli i quali gli chiedevano di "aumentare" la loro fede. Gesù sposta subito la prospettiva dal piano quantitativo al piano qualitativo. È cioè necessario avere una fede grande anche solo come un granello di senape, ma una fede autentica. Ma che cos'è che autentica la mia fede? Il fidarsi e l'affidarsi a Dio piuttosto che al proprio io. In queste ultime domeniche questa contrapposizione "Dio-io" viene costantemente ripresa, come ad esempio nella 23a domenica del tempo ordinario quando viene bene posta in evidenza la necessità di mettere al centro Lui, il Signore, che deve diventare l'orizzonte ultimo della nostra esistenza. Al di là addirittura di ogni pur legittimo ed importante affetto. E per poter realizzare questo obiettivo (come ci ricordano le letture delle ultime due domeniche) dobbiamo essere poveri, consci cioè della nostra fragilità e dalla nostra costante dipendenza dagli altri e da Dio. Questa insistenza non è casuale. Non esiste infatti cosa più difficile nella nostra esistenza che decentrarsi dal proprio "io", il che significa, in ogni contesto: familiare, sociale, politico, professionale ed anche ecclesiale, ritenersi importanti, anzi indispensabili... "Se non ci fossi io... che cosa accadrebbe?". La fede è esattamente l'opposto di questo atteggiamento. Non c'è fede senza umiltà, come dimostra la nota parabola del fariseo e del pubblicano.

In un mondo secolarizzato fidarsi e affidarsi al Signore è ancora più difficile. La secolarizzazione non ha eliminato, come spesso si sente dire, la fede e il riferimento religioso dall'esperienza del soggetto, ma l'ha resa periferica, mentre prima era, come ricordava Bonhoeffer, "al centro del villaggio". Il compito che ci attende è dunque quello di riportare la fede - anche piccola come un granello di senape - al centro della nostra vita, incominciando proprio dalla nostra famiglia. Decentrandosi dal proprio io, dalle proprie esigenze, per cogliere fino in fondo, spesso anche con fatica, le esigenze dell'altro, della moglie, del marito, dei figli, incontreremo il Signore al centro della nostra vita.

C'è un bel brano di Carlo Carretto che racconta come tutto questo sia stato per lui una bella scoperta. Mi permetto di riportarla perché potrebbe diventare una bella scoperta anche per ognuno di noi, per ogni vescovo, ogni prete, ogni laico, ogni famiglia: «Per molti anni avevo pensato di essere "qualcuno" nella Chiesa. Avevo perfino pensato questo sacro edificio vivente come un tempio sostenuto da molte colonne piccole e grandi, e sotto ogni colonna la spalla di un cristiano. Anche sulle mie pensavo gravasse una seppur piccola colonna. A forza di ripetere che Dio aveva bisogno degli uomini e che la Chiesa aveva bisogno di militanti vi avevamo creduto (...). Ora ero là in ginocchio, sulla sabbia della grotta che aveva preso le dimensioni della Chiesa stessa; e sentivo sulle mie spalle la famosa colonnina del militante. Forse era questo il momento di vederci chiaro. Mi trassi indietro di colpo, come per liberarmi di quel peso. Che cosa avvenne? Tutto rimase al suo posto, immobile. Non una scalfittura alla volta, non uno scricchiolio. Dopo 25 anni mi ero accorto che sulle mie spalle non gravava proprio niente, che la colonnina era falsa, posticcia, irreale, creata dalla mia fantasia, dalla mia vanità. Avevo camminato, corso, parlato, organizzato, lavorato, credendo di sostenere qualcosa; e in realtà avevo sostenuto proprio nulla. Il peso del mondo era tutto su Cristo Crocifisso. Io ero nulla, proprio nulla...» (Lettere dal deserto).

Traccia per la revisione di vita

1) Che cosa significa per me "fidarmi ed affidarmi"?. Mi fido di Dio e mi affido a Lui con cuore umile e povero? Nella mia famiglia si vive la fiducia e l'affidamento reciproco? Siamo disposti reciprocamente a rinunciare al nostro "io" per cogliere le esigenze di coloro che ci vivono accanto? Ci rendiamo conto che questo atteggiamento vissuto nella nostra famiglia ci apre alla fede, piccola ma feconda come un granello di senape?

2) Nella Chiesa, nella nostra comunità, ci sentiamo "importanti" oppure ci sentiamo "servi inutili"?

Commento a cura di Luigi Ghia

 

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